Tranquilli, l’incendio sta per essere spento! I cervelloni di Bce e Fmi stanno per inviare dei dirigenti in Grecia per studiare la situazione e Barack Obama ha chiamato Angela Merkel convenendo sulla necessità di un’azione veloce ed efficace. Traduzione dal burocratese: alla Bce si sono resi conto che il giochino tedesco sta sfuggendo di mano e cercano una soluzione rapida, la quale sarà sicuramente tardiva e insufficiente.



Due potenziali bancarottieri politici si chiamano per decidere le prossime mosse: non prendiamoci in giro. Le società di rating, in mano alle banche e all’establishment Usa, per due anni non si sono resi conti della crescita esponenziale del debito privato delle banche, la cosiddetta “leva” e ora, invece, sono diventate precisissime e puntualissime nel punire l’eccesso di debito degli Stati.



I quali, è vero, hanno truccato o gonfiato i conti ma non meritano di essere massacrati: vanno messi in riga, questo sì ma non per far fare soldi a chi sta scommettendo allo scoperto sul crollo e sulle oscillazioni delle piazze finanziarie. Appare infatti un po’ poco credibile che il declassamento del rating sul debito spagnolo effettuato l’altro giorno da S&P sia arrivato a mezz’ora dalla chiusura dell’indice Ibex, crollato poi del 3%.

Stanno volontariamente utilizzando la crisi per rifarsi dell’esposizione greca: le banche, i soggetti istituzionali, in questi giorni si stanno comportando in maniera alle soglie della delinquenzialità. Fanno pagare ai contribuenti, attraverso i salvataggi di Fmi e Ue, la contabilità allegra di Grecia, Spagna e altri e nel frattempo fanno incetta di cds e utilizzano le società di rating, che controllano, per muovere i corsi azionari in modo a loro favorevole.



Non fatevi ingannare dai titoli degli istituti che crollano: le banche, ormai, fanno solo investment banking e quindi hanno un portafoglio di investimenti da portare avanti, i loro bilanci se li fanno mettere a posto dagli Stati – vedi la Germania – e poi fanno profitti sul mercato drogato del debito e delle certificazioni ad personam delle società di rating.

La Grecia, infatti, è di fatto già insolvente e una ristrutturazione del debito, seria, sarà presto necessaria: un default porterebbe con sé, infatti, un duplice effetto. Perdite pesantissime per le istituzioni finanziarie che detengono titoli di debito greco e rischio di contagio, di fatto già partito, verso Portogallo, Spagna, Irlanda e in ultima istanza, Italia in un perverso effetto domino.

Il problema sostanziale è che un peggioramento del debito e quindi un’ulteriore avversione dei mercati porterà con sé, inevitabilmente, il crollo del valore degli assets a livello globale: fatto, questo, che potrebbe contemplare un calo della crescita, almeno negli Stati Uniti, attorno al 2% in base a calcoli compiuti da Nouriel Roubini.

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La Grecia, nei fatti, è oggettivamente la punta dell’iceberg, però i crolli generalizzati poco si accoppiano con la sostanziale tenuta dell’euro sul mercato dei cambi: c’è qualcosa di strutturale ed eterodiretto in quanto sta accadendo, in molti stanno beneficiando del cosiddetto incendio in atto e le sole parole di Olli Rehn, Commissario agli affari economici e monetari dell’Ue, non possono essere sufficienti a spiegare questa discrasia in atto.

 

D’altronde se il destino della Grecia dipendesse dalle banche europee, sarebbero guai seri. Mentre i governi cercano l’accordo su come salvare il salvabile, gli istituti di credito la loro decisione strategica l’hanno infatti già presa: fuggire da Atene. A gambe levate. Stando ai dati della Banca internazionale dei regolamenti, negli ultimi tre mesi del 2009 le banche europee hanno infatti mediamente ridotto l’esposizione sulla Grecia del 29%: dopo lo scoppio in ottobre della crisi, hanno “scaricato” sul mercato 79 miliardi di dollari di debiti targati Atene.

 

Insomma, le banche sapevano o almeno avevano intuito il rischio, i capoccioni di Bce e Ue no: confortante essere governati da gente del genere. Questo cosa comporta? Questa fuga ha causato l’impennata dei rendimenti su livelli insostenibili, tanto che ora la Grecia non riesce più a rifinanziare (dunque a rimborsare) i suoi debiti. Fin che questo resta un problema greco non succede nulla, almeno a livello di contagio ma se la stessa fuga contagiasse altri Paesi come Portogallo e Spagna sarebbe un gran brutto segnale.

 

E sta accadendo, almeno a giudicare dall’impennata dei rendimenti: la fuga da Madrid e Lisbona è già in atto. Anche perché da quando la Bce ha ridotto le sue operazioni di rifinanziamento, le speculazioni con i titoli di Stato (il cosiddetto carry trade) sono diventate meno convenienti. Ecco, allora, il perché del forte di rischio di contagio: quest’anno gli Stati dovranno emettere tantissimi titoli di Stato, visto che Deutsche Bank stima che il fabbisogno di liquidità di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna sfiori, nell’intero 2010, i 900 miliardi di dollari.

 

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Riusciranno a ottenerlo? È questa, oggi, la domanda da porsi. E il grande rischio che ci sta di fronte. La Borsa di Atene, ieri, è schizzata al +8% dopo il formale ok di Berlino al salvataggio: follia. La stessa che pervade da due anni almeno le azioni di soggetti istituzionali e regolatori, altro che speculazione ed hedge funds, le vere locuste sono le stesse persone che millantano di cercare soluzioni ai presunti danni del libero mercato.

 

P.S. Le banche spagnole e italiane sono quelle maggiormente esposte verso la cosiddetta “Europa periferica”, mentre la maggiore esposizione delle banche francesi a livello periferico è proprio verso l’Italia: basta un singolo cortocircuito bancario, un errore di intervento e saranno guai davvero, ma davvero seri. L’ultimo outlook di Citi sul debito sovrano, in tal senso, è agghiacciante.