Qualche numero, molto più efficace delle parole. Lo spread tra bond decennali greci e bund tedeschi è a quota 412 punti base. National Bank of Greece ha perso in Borsa il 4,4%, come Alpha Bank, mentre Efg Eurobank ha ceduto il 7,5%. Insomma, una specie di tsunami che ha investito la Grecia.
I mercati, si sa, quando decidono di picchiare, lo fanno per primi e per fare male. Non a caso gli istituti bancari ellenici hanno chiesto al governo altri 17 miliardi di euro, 14 di prestito e 3 in special bonds, per far fronte alla situazione: ce la farà Papandreou a venire incontro a questa ennesima richiesta dopo i 18 miliardi elargiti nel 2008 dal precedente governo? Difficile dirlo. Certamente quei soldi non li metteranno di tasca loro l’Ue, ovvero Francia e Germania, ne’ tantomeno il Fmi.
Anche perché, spiace dirlo, i primi a non credere al piano di salvataggio sono proprio i greci, anzi i cittadini greci più abbienti che hanno già ritirato 10 miliardi di euro di depositi dalle banche per trasferirli a Cipro e in Lussemburgo: nessuno di noi, ovviamente, vorrebbe correre il rischio di veder sparire i propri risparmi dalla sera alla mattina, ma affidarli alle sussidiarie estere che stanno comprando cds sul sovereign debt greco a man bassa equivale a condannare a morte il proprio paese dopo aver comprato la sua polizza vita. Capita anche questo nel mondo post-crisi, come gli ottimisti descrivono i giorni che stiamo vivendo.
Una cosa è certa, anzi tre. Le prime due riguardano due bolle pronte a scoppiare, il real estate cinese e i debiti sovrani. La terza: c’è un mercato che potrà garantire profitti a chi avrà il fegato di gettarcisi a capofitto nel breve termine, ovvero le commodities. Le quali, dopo apprezzamenti assurdi e volumi spaventosi, l’altro giorno hanno ritracciato, petrolio in testa: anche chi specula, ha un cuore. O, meglio, un cervello.
Ma a venire incontro a chi con le contrattazioni over-the-counter intende costruirsi la pensione dorata ci hanno pensato ieri due metereologi americani. E non è uno scherzo. Secondo William Gray e Phil Klotzbach della Colorado State University, infatti, ci saranno più uragani del solito durante quest’estate nell’Oceano Atlantico, fatto che inciderà pesantemente sul mercato delle commodities, esattamente come nel 2005 quando Katrina e Rita squassarono le valutazioni di petrolio e gas naturale per le troppe raffinerie andate in tilt nel Golfo del Messico: oplà, i prezzi andarono alle stelle.
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Quest’anno, stando ai due accademici, gli uragani saranno quindici, sei più dello scorso anno. Ma le commodities non sono solo gas e petrolio, basti pensare che l’uragano Wilma, nel 2005, fece schizzare alle stelle i futures sul succo d’arancia, avendo distrutto intere coltivazioni in Florida. Già, il succo d’arancia. Come il cacao e la pancetta di maiale, sono beni trattabili attraverso futures che fanno fluttuare i prezzi al di là dei reali andamenti di domanda e offerta: mettici di mezzo gli uragani che creano realmente situazione di contrazione di quest’ultima e il gioco è fatto.
Ci saranno davvero questi uragani devastanti oppure sarà l’ennesimo allarme come lo scioglimento dei ghiacciai del Polo o la pandemia di influenza suina (chi ha comprato titoli farmaceutici sta bevendo un daiquiri su una spiaggia tropicale alla faccia vostra e del Tamiflu)? Chi lo sa, certamente chi specula ma anche chi realmente commercia in beni potenzialmente a rischio, tenderà a coprirsi. Nel frattempo, ci si lancia sul mercato dei futures in cerca di facili guadagni che da qui a qualche mese – diciamo la primavera inoltrata – faranno gonfiare in maniera assurda i prezzi nel timore di catastrofi naturali che faranno scarseggiare questo o quel bene.
Previsioni forse azzardate ma prese con molta serietà dal Financial Times: e questo già dice tutto. Per quanto riguarda il debito, la bolla è dietro l’angolo poiché storicamente e ciclicamente i debiti governativi vengono nascosti agli investitori fino a quando la fine della fase più acuta di una crisi non li fa saltare fuori in tutta la loro gravità: è esattamente questo il momento. Mercato immobiliare cinese e debito, sono in questa fase. Non è un caso che la Cina cominci a preparare il terreno per un cambio nella politica valutaria.
Stando alle dichiarazioni dell’economista del governo cinese, Ba Shusong, Pechino potrebbe ampliare la banda giornaliera di scambio dello yuan e consentire alla moneta cinese di apprezzarsi gradualmente. Quanto ai tempi di decisione, Ba Shugong, li mette in relazione al ritmo della ripresa economica sia negli Stati Uniti sia in Cina. Nella direzione di un apprezzamento dello yuan continua a spingere il presidente americano Barack Obama. «L’amministrazione Usa – ha ribadito ieri il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs – continuerà a premere su Pechino affinché la sua valuta sia più orientata al mercato». «La cosa migliore da fare – ha aggiunto – è lasciar lavorare il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, e gli altri coinvolti in questo processo».
Obama e il premier cinese Wen Jiabao s’incontreranno la prossima settimana a margine del vertice sulla sicurezza nucleare, previsto per il 12 e 13 aprile. Guarda caso, proprio il buon Tim Geithner pochi giorni fa ha posticipato al 15 aprile la pubblicazione di un report valutario durissimo contro la Cina, accusandola apertamente di manipolazione della sua moneta e quindi dei mercati. Bene che si arrivi a un compromesso, ma questo significa che sia Washington che Pechino cominciano a sentire sul collo il fiato l’uno del debito e deficit federale, l’altro della bolla immobiliare innescata dai prestiti facili e dell’eccessiva crescita dell’economia, prevista tra il 9% e l’11%, totalmente insostenibile dal sistema non avendo la Cina, di fatto, domanda interna.
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Insomma, siamo allo showdown o poco ci manca. La Grecia, fatevene un ragione, è fallita. Ovviamente non ci saranno scene argentine, si troverà una situazione di tipo uruguayano ma comunque sia il contraccolpo sull’eurozona sarà pesantissimo, non ultimo a livello bancario e valutario sulla tenuta dell’euro. Il quale, da moneta delle meraviglie, ha cominciato a ritracciare dai massimi di sopravalutazione e ora gioca in altalena con le altre valute forti: giochi pericolosi, decisamente pericolosi quando si ha a che fare con dollaro e yen.
In attesa degli uragani, se mai ci saranno in quel numero e con quella potenza devastatrice, osserviamo e cerchiamo di imparare dai mercati: i cds sono l’unica arma vincente in questo momento, coprire e aspettare. Altro non sono che assicurazioni, basterebbe vietarne l’acquisto per puro intento speculativo e tutelarne il mercato in chiave assicurativa: non accadrà mai, o forse sì, certamente la loro enorme presenza sui mercati, mai così alta dal 2007, parla la lingua di una crisi ben lungi dal voler essere terminata.