Non traballa soltanto l’Europa. Nonostante il vecchio continente faccia di tutto per mettere in piazza le proprie debolezze e divisioni, evidenti segnali di crisi arrivano anche dagli Stati Uniti. E non parliamo dei problemi del debito, ormai noti e conclamati, né dei dati macro rispetto la fiducia dei consumatori e il tasso di disoccupazione, bensì dello stato di salute dei giganti – dai piedi d’argilla – del credito.



Non siamo di fronte a un’altra Lehman, ma qualcosa sta bollendo in pentola rispetto a Citigroup. Il titolo, l’altro giorno, è crollato sotto la soglia di resistenza dei 4 dollari per azione, spinto dagli attacchi dei fondi che stanno pesantemente shortando l’istituto: dopo aver toccato il minimo critico di 3,71 dollari per azione, il titolo è risalito a 3,85 dollari, ma a spaventare sono le scommesse poste in atto dagli hedge funds, che hanno posto come target price del loro shorting prima i 3 dollari per azione e, subito dopo avviata la spirale di downgrade, addirittura 1,70 dollari per azione.



Insomma, se si scommette così pesantemente su un crollo che va due volte sotto il punto di resistenza significa che le fondamenta di Citi stessa sono deboli, debolissime: certamente non fallirà, ma doverla salvare significherà una grana enorme per la Fed un quasi certo crash borsistico a breve. Ne parlavamo, se ricorderete, tre giorni fa e il fatto che i guru di Wall Street invitino gli investitori a vendere, realizzare e scappare la dice lunga.

Ovviamente, la vulgata vorrebbe crocifiggere gli speculatori, ovvero chi sapendo che i conti di Citi non sono quelli ufficiali si pone corto sul titolo scommettendo che scenderà: peccato che le cose non stiano così, non si truccano i bilanci e se si è sani soltanto dei pazzi scommettono contro. Non stupisce quindi che non riescano a risollevarsi le Borse del Vecchio Continente, così come quelle statunitensi.



Eppure il “rimbalzo del gatto morto” ieri mattina c’era stato. A Londra inizialmente l’indice Ftse 100 guadagnava lo 0,53%, a Milano l’Ftse Mib saliva dell’1,15%, a Francoforte il Dax avanzava dello 0,4% e a Parigi il Cac 40 saliva dello 0,30%, Madrid cresceva dell’1,26% e Lisbona dell’1,19%. Grande entusiasmo e rosee prospettive fino all’ora di pranzo, poi i dubbi sulla tenuta dell’euro, la decisione della Germania di limitare le vendite allo scoperto e il dato americano sulle richieste di sussidi di disoccupazione, risultato nettamente peggiore delle attese, facevano virare in basso i listini con Wall Street in profondo rosso fin dall’inizio.

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Male anche le Borse asiatiche, che hanno risentito del cattivo andamento dei listini europei di mercoledì: i listini di Asia e Pacifico sono scesi ai minimi degli ultimi otto mesi con l’indice d’area Msci che ha ceduto l’1,6%. Sotto pressione in particolare Tokyo (chiusura a -1,54%) che paga i dati sul Pil del Giappone inferiori alle attese, seppure in crescita: sui listini restano i dubbi su una ripresa rapida ed effettiva dell’economia europea e di quella globale.

 

Eppure i soloni parlavano di una crisi ormai alle spalle e di una ripresa di fronte a noi: contenti loro, contenti tutti. La questione resta una sola: finché invece di mettere mano ai problemi seri si continuerà con la caccia alle streghe contro il naked short, continueremo a vedere corsi azionari ridicoli, rialzi artificiali e crolli a picco nell’arco di due ore di contrattazioni.

 

Quando poi dalla Germania decidono di sconvolgere i mercati ogni giorno, lanciando dichiarazioni che sono benzina sul fuoco della crisi, allora si comincia a ragionare su termini che sono paradossali: non si capisce, infatti, perché Wolfgang Schauble, ministro delle Finanze tedesco, abbia sentito la necessità di lanciare un altro macigno nello stagno ieri, attraverso il Financial Times, dichiarando che «i mercati sono fuori controllo, questo è il motivo per cui necessitiamo di una nuova regolamentazione».

 

Nemmeno a dirlo, nelle sale trading hanno stappato lo champagne: «Più parlano i politici, meglio è per noi. Ogni volta che aprono bocca, l’euro crolla e chi ha in atto scommesse short sulla divisa comune non può che beneficiarne», ammette a ilsussidiario.net un operatore. Cari lettori, le cose stanno davvero così: là fuori nessuno punta più un centesimo sulla tenuta dell’euro, ovviamente è una fase congiunturale che possiamo anche definire puramente speculativa, ma le prospettive di medio termine sono davvero poco positive per la tenuta stessa dell’unione monetaria.

 

La Germania sta facendo un gioco tutto suo, fuori dagli schemi e da quelle che possiamo definire regole comunitarie di concertazione: se è una mossa per ottenere una svalutazione della moneta comune, il rischio è alto. Se è una scommessa per arrivare, il prima possibile, a una ridefinizione dell’Ue e dell’unione monetaria è meglio prenderne atto in fretta e scegliere contromosse. Per non ritrovarsi a recitare il ruolo di protettorato quando la profezia interessata della Merkel diverrà realtà.

 

Euro a parte, come già anticipato tenete d’occhio Citi: il prossimo passo della crisi potrebbe essere questo, il crash borsistico annunciato su Wall Street sta prendendo corpo.