Rispondo volentieri alla domanda postami dalla lettrice Maura Del Torrione al mio articolo di ieri, rispetto allo stato di salute dell’economia Usa. Un dato su tutto, reso noto ieri, può aiutarci a capire quanto sta accadendo Oltreoceano: la crescita del primo trimestre è al di sotto delle previsioni degli analisti, colpita dai tagli alla spesa dei vari governi locali, ma anche dal business che sta ulteriormente tirando la cinghia.



Il Pil sta crescendo del 3% a livello annuale, rispetto al 3,2% calcolato lo scorso mese: nulla di drammatico, ma un segnale chiaro che il paese sta arrancando. Anche perché l’ultimo trimestre dello scorso anno aveva salutato un dato di crescita del 5,6%, segnando tre dati positivi di fila. Oggi, invece, la parola d’ordine è contrazione.



La spesa statale e federale è stata tagliata del 3,9%, il peggior dato dal 1981 a oggi. Ma a parlare la lingua della necessità di misure straordinarie è il dato della massa monetaria M3, ovvero la fornitura di denaro che è crollata ai livelli del 1930, nonostante il costo del denaro a zero e un blitz fiscale quasi senza precedenti. Tra febbraio e aprile l’ammontare di denaro “disponibile” è sceso da 14,2 trilioni di dollari a 13,9, un tasso di contrazione che sul tendenziale dell’anno equivale al 9,6%: ancora peggio l’ammontare di denaro legato al business istituzionale, crollato del 37%.



«È spaventoso», ha dichiarato Tim Congdon dell’International Monetary Research, poiché «una flessione della massa monetaria M3 di questa portata non si registrava dalla Grande Depressione e questo è dovuto alle pressione che i regolatori stanno facendo sulle banche affinché aumentino le riserve e taglino gli assets più rischiosi. Ecco perché negli Usa non c’è ripresa».

Il problema è che le autorità statunitensi hanno un’idea completamente differente della situazione e pur rendendosi conto che le misure di stimolo non hanno funzionato come si sperava, stanno preparandosi a un’altra dose di keynesismo: questo nonostante il Fmi abbia detto a chiare lettere che il debito pubblico ha ormai raggiunto il 97% del Pil e toccherà il 110% entro il 2015.

Larry Summers, il consigliere economico di Barack Obama, ha chiesto al Congresso il via libera per una nuova misura di stimolo fiscale da 200 miliardi di dollari: insomma, gli 800 miliardi messi sul piatto stanno finendo il loro effetto placebo sull’economia, occorre una nuova – inutile – trasfusione: inutile perché dagli Usa arrivano segnali contradditori che richiederebbero altre misure. Gli ordinativi di beni durevoli sono saliti del 2,9% in aprile ma i prezzi della case continuano a calare e le richieste di mutuo hanno toccato i minimi da 13 anni a questa parte.

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L’indice ECRI, il principale nella misurazione dell’attività economica negli Usa, sta continuando a calare in maniera sostanziale dopo il picco all’insù dello scorso ottobre. Insomma, Barack Obama rischia di ripetere gli errori del Giappone durante la Lost Decade, ovvero portare il debito fuori controllo con misure di stimolo una dopo l’altra invece che affidarsi a una sana ricetta friedmaniana.

 

A confermare questi dati ci ha pensato ieri, indirettamente, il segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner, durante la sua visita in Germania: «Gli Stati Uniti non possono da soli tenere a galla la ripresa economica». Il timore del contagio del debito europeo negli Usa sta divenendo sempre maggiore, giorno dopo giorno e questo proprio per il precario stato di salute dell’economia a stelle e strisce.

 

«Siamo tutti d’accordo che una parte della ripresa globale implica impegnarsi su chiari obiettivi di riduzione dei deficit di bilancio», ha detto Geithner, dopo che in Europa i governi si sono affrettati a inasprire le politiche di bilancio a seguito degli allarmi scatenati dalla crisi in Grecia. Ma subito dopo il segretario al Tesoro Usa ha avvertito che «in futuro i consumatori americani traineranno meno la domanda mondiale». Parallelamente in Cina le autorità procederanno a riforme volte ad aumentare il contributo dei consumi interni sull’economia: prima di giungere in Europa il tour all’estero dell’esponente Usa era passato proprio da Pechino, tappa dopo la quale aveva dichiarato che la sfida «è assicurarsi che in futuro l’economia mondiale sia più bilanciata e sostenibile».

 

Come non è dato a sapersi se la ricetta Usa continuerà a essere il quantitative easing di stimolo. Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, al termine dell’incontro con il collega americano ha detto che i due paesi hanno compiuto «progressi» sulla regolamentazione dei mercati finanziari: «Abbiamo avuto colloqui intensi su tutte le questioni relative alla regolamentazione dei mercati finanziari e sulle preoccupazioni» dei mercati rispetto all’Europa nelle scorse settimane, ha detto Schaeuble, aggiungendo: «Penso che siamo sulla buona strada».

 

Ecco il peccato capitale: pensare solo a regolare i mercati, che di fatto si regolano benissimo da soli e non intervenire sulle strutture macro se non con politiche di stimolo a pioggia che fanno crescere a dismisura il debito e non aiutano la crescita. Lo stato di salute dell’economia Usa è questo, tutt’altro che invidiabile. Dell’Europa meglio non parlare nemmeno.