Alla fine, anche l’Italia è finita nel mirino: il progetto spaccaeuro sta entrando nel vivo. Quei simpaticoni di Moody’s, infatti, hanno lanciato l’allarme, anche in questo caso con un tempismo davvero perfetto: c’è il rischio che la crisi finanziaria greca possa contagiare anche i sistemi bancari di alcuni dei principali paesi europei, tra cui Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda e Gran Bretagna.



La posizione di Moody’s Investors Service è contenuta in un commento speciale intitolato «Sovereign Contagion Risk», parte 1, in cui si fa riferimento all’impatto sulle banche dell’Europa meridionale, dell’Irlanda e della Gran Bretagna: l’agenzia di rating riconosce che le banche di questi paesi hanno di fronte sfide di diverso livello, ma avverte che «il rischio di contagio potrebbe diluire queste differenze e rappresentare una minaccia molto reale e comune a tutti. L’Italia – scrive ancora Moody’s – è un altro di quei paesi dove il sistema bancario è stato sino ad ora relativamente robusto», ma dove vi è comunque un rischio di contagio «qualora le pressioni di mercati sui rating sovrani dovesse aumentare».



L’agenzia di rating osservava infatti come il nostro sistema bancario non abbia risentito come altri dello scoppio della bolla sull’immobiliare e di quella sui derivati, anche se è chiaro che le esposizioni estere esistono e l’impatto è difficilmente valutabile in caso di default e conseguente effetto domino.

Immediata è giunta la replica della Banca d’Italia: «Il sistema bancario italiano è robusto, il deficit di parte corrente è basso, il risparmio è alto, il debito complessivo di famiglie, imprese e Stato è basso rispetto ad altri Paesi, il debito netto nei confronti dell’estero è basso. Tutto ciò rende il caso dell’Italia diverso da quello di altri Paesi», sottolineavano fonti di Via Nazionale.



Anche Giulio Tremonti ha immediatamente gettato acqua sul fuoco: «Siamo “in parete” ma i conti pubblici sono sotto controllo e la situazione italiana è molto migliore di quella degli altri Paesi. All’estero guardano con molti apprezzamento a quello che si sta facendo in Italia». Ultimo a replicare, anzi a non replicare, è stato Silvio Berlusconi, trinceratosi dietro un laconico ma preoccupato «lasciamo perdere, non dichiaro».

C’è da preoccuparsi? Sì. E non tanto per Moody’s e il suo tempismo, a quello ci siamo abituati fino dal 1992 e dalle scorribande del filantropo Soros, quantomeno sospetto. Per capire davvero quali sia il sentimento sui mercati, per tastare il polso agli investitori, ilsussidiario.net ha contattato Dennis Gartman, manager di hedge fund e autore della “The Gartman Letter”. Queste sono le sue opinioni e i suoi consigli agli investitori d’Oltreoceano, tenetevi forte.

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«L’attuale crisi del debito europea penso che non si concluderà fino alla fine stessa dell’euro e dell’Ue stessa, penso che l’intera struttura stia andando incontro a una sconfitta, a un processo di disfacimento. Non so dare un arco temporale rispetto a questo fallimento, ma l’euro non ha un futuro roseo di fronte a sé. Attualmente il mio portafoglio d’investimento in posizione long è composto al 15% in oro, 10% argento, 15% in dollari australiani e 15% in dollari canadesi. Sto short, invece, su euro, yen e pound».

 

Evviva, uno come Gartman sbaglia decisamente poco visto che ci rimette del suo, non è una banca che può scaricare le perdite sui contribuenti facendosi salvare dallo Stato. Di più, per Gartman «è questo il momento per gli investitori statunitensi di scappare dalla Borsa. Siamo alla confusione, al rischio di un dollaro forte e di un calo del valore delle commodities. Penso che sia decisamente l’ora di mettersi ai margini e poi andarsene. Credo che una correzione anche del 15% potrebbe essere normale e alle porte nel mercato Usa, ma c’è sempre una possibilità che le cose possano andare peggio, eventualità che non va sottostimata in momenti simili di incertezza. Chi fa questo lavoro non è ingenuo, siamo realisti e alla luce della situazione greca non possiamo che vedere come prossimo futuro dell’Unione Europea il caos e la frattura dell’unione monetaria».

 

E come hanno reagito le autorità europee alle prospettive che agitano i mercati e gli Stati? Il consiglio direttivo della Banca centrale europea «non ha discusso nulla» in merito a eventuali insolvenze sul debito pubblico di paesi dell’area euro, né tantomeno di eventuali «procedure di insolvenza». Lo ha chiarito il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, durante la conferenza stampa a termine del Consiglio direttivo che ha deciso di mantenere i tassi d’interesse dell’eurozona stabili all’1%.

 

Non sarebbe stata oggetto di discussione neppure l’opzione acquisto di bond governativi: nessuna decisione presa, insomma, almeno «fino a questo punto». Ecco chi ci governa, ecco chi è sulla tolda della nave mentre la tempesta comincia ad alzare cavalloni e i primi, sinistri scricchiolii del sistema cominciano a farsi sentire.

 

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Qualcosa, invece, ha detto il premier spagnolo Zapatero, il quale mentre Madrid è sotto attacco della speculazione dei mercati per i rumors di una sua insolvenza e proprio quando Moody’s avvertiva di aver messo sotto osservazione il rating del Portogallo, in qualità di presidente di turno Ue ha rivelato che all’ordine del giorno del vertice di venerdì prossimo dell’Eurogruppo (i 16 capi di Stato e di governo della zona della moneta unica europea) ci sarà anche la proposta di tagliare il potere della agenzie di rating che fanno da spoletta agli assalti del debito sovrano dei Paesi dell’euro.

 

Fosse la volta buona: occorre un’agenzia di rating europea indipendente che tolga il monopolio globale alle tre sorelle statunitensi. Questo primo passo sarebbe fondamentale, non sprechiamo l’occasione. Prima che sia davvero troppo tardi.

 

P.S.: A metà pomeriggio di ieri l’agenzia di rating Fitch, in un perfetto gioco di sponda, ha nei fatti smentito Moody’s dicendo che l’Italia non è a rischio: la reazione a questo è stata il panic selling. Piazza Affari è crollata perdendo il 6% trascinata dal bagno di sangue dei titoli bancari e il ministro Giulio Tremonti ha sentito il bisogno di dire che «nessun paese è immune». Ci siamo. L’attacco è partito. Il sottoscritto catastrofista l’aveva detto. Cercasi ottimisti con dati alla mano.