Ci sono giudizi condivisi, ormai assodati e vissuti come dati di fatto: uno di questi è che la scelta politica della Germania di un piano di austerity, di fatto non necessario, vada a colpire i partner europei del Sud, già alle prese con la morsa del debito.

Il problema è che ci sono persone che quando parlano di cose risapute, riescono comunque a farle sembrare più serie di quanto già siano. È il caso di George Soros, speculatore tramutatosi in filantropo, che mercoledì scorso ha lanciato un grido d’allarme per l’euro che ha tutte le sembianze di un invito allo shorting, esattamente come quello che nel 1992 gli garantì un miliardo di dollari di guadagno speculando sulla sterlina.



Per Soros, infatti, l’euro è di per sé un progetto fallace e la scelta di austerity della Germania renderà praticamente impossibile un recupero della competitività per le altre nazioni dell’Ue: «L’euro è una moneta incompleta dall’inizio, fin dalla sua nascita, poiché il trattato di Maastricht ha creato un’unione monetaria senza un’unione politica. La Germania, insistendo su politiche pro-cicliche, sta di fatto sancendo la fine dell’Unione Europea.



Ammetto che la mia sia un’accusa grave ma temo che sia giustificata dai fatti. Tagliando il deficit di budget e resistendo a una politica di innalzamento dei salari per compensare il declino del potere d’acquisto dell’euro, la Germania sta di fatto rendendo la vita impossibile ai suoi partner. Il loro recupero di competitività è fuori discussione, inutile negarlo: il problema è che l’Europa, per resistere, deve rivedere e rafforzare la struttura dell’euro, ma questo non può essere fatto senza la leadership tedesca».

Insomma, un cane che si morde la coda. O, meglio ancora, un cortocircuito. Per Soros, «la crisi dell’eurozona ha una componente fiscale e una bancaria e quest’ultima sta per toccare il suo climax. La Germania, con il suo mega-piano da 80 miliardi in quattro anni, sta gettando i suoi partner nella deflazione, un qualcosa che può essere l’anticamera, anzi il prodromo di un lungo periodo di stagnazione. E questo mix, la storia ce lo insegna, rischia di portare con sé nazionalismo, xenofobia, tensione sociale. Il concetto stesso di democrazia, a mio modo di vedere, potrebbe essere a rischio. La Germania è isolata a livello globale… Perché non permettono ai loro salari di crescere? Questo aiuterebbe la ripresa anche degli altri Stati europei».



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Già, perché? Domanda retorica, lo sappiamo tutti il perché. E a confermarlo ci ha pensato ieri il dato riguardo gli ordinativi industriali nell’area euro, che in aprile ha visto il tasso di crescita più veloce degli ultimi dieci anni: e chi è il motore dell’export europeo? La Germania, la quale alla faccia dell’Ue pensa bellamente – e giustamente, dal suo punto di vista – ai propri interessi nazionali.

 

In compenso, la Borsa dimostra che i timori per la crisi del debito sono lungi dall’essere passati: ieri i titoli bancari hanno trascinato al ribasso i listini, già scossi dalla decisione sui tassi della Fed, con cali che hanno toccato anche i 3 punti percentuali per gli istituti di credito francesi. Ma nessuno si è salvato, nemmeno Hsbc, la banca più sicura del mondo perché esposta sostanzialmente nel Far East: anche per lei vendite, seppur su volumi contenuti e un calo di circa il 2%.

 

Non serve certo un genio per capire che la situazione è seria: uno studio di RBS Marketplace, pubblicato ieri, ha reso noto che le banche di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna hanno drenato oltre i due terzi delle iniezioni di liquidità cominciate a metà del 2008. Su un totale di 332 miliardi di euro, gli istituti di questi quattro paesi hanno beneficiato di qualcosa come 225 miliardi: qualcosa di mostruoso, a livello di cifre, eppure la situazione in cui siamo dimostra che non è servito a nulla.

 

Altro che stress tests, servirebbe una Norimberga per capire quanto e per quanto tempo banche che dovrebbero occuparsi di credito e risparmio hanno invece agito indiscriminatamente sulla leva, comportandosi esattamente come i fondi speculativi che tanto disprezzano a parole. E rendiamoci conto che si renderà necessario l’acquisto di altri covered bonds da parte della Bce, anche dopo il termine fissato per il precedente programma di acquisto previsto per fine mese: e non è da escludere che il piano vada ampliato anche alle securities del settore privato.

 

Quanti soldi dovrà muovere, quindi, la Bce per evitare il disastro? Troppi, soprattutto a fronte di quanto già sborsato fino a oggi inutilmente. L’unica cosa da fare era un default controllato della Grecia, la possibilità per Atene di spalmare il debito da ripagare su un periodo più lungo di tempo ed evitare il contagio di fatto già partito: a quel punto anche la Spagna avrebbe dovuto affrontare la situazione in maniera differente da quanto fatto finora, accedendo da subito a un piano di aiuto concordato con Ue e Fmi che evitasse il prosciugamento delle fonti di finanziamento per gli istituti e le imprese private, fuori mercato ormai da inizio aprile.

 

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Non è andata così e ora siamo nelle mani di Berlino: il G20 di questo fine settimana a Toronto non cambierà nulla, mettetevelo in testa da subito. L’America non accetterà mai una tassazione delle operazioni finanziarie e quindi la cosiddetta new governance globale si tramuterà in una chimera: gli Usa hanno già dato vita a una riforma, anche rispetto alla vendita di derivati che non potranno più essere collocati dagli istituti ma da branche specializzate e ultra-controllate degli stessi.

 

È di ieri, poi, la pubblicazione di una lista di titoli, tra cui Apple e General Electric, molto appetiti dall’investitore medio ma anche trattati nel cosiddetto flash-trading, ovvero il trading algoritmico ad altissimi velocità che porta con sé un ampio margine di crash per errori di sistema o umani: insomma, la Sec vuole trasparenza per chi investe e mette sul chi va là l’acquirente di azioni apparentemente “innocue” perché “too big to fail”, ma anche potenzialmente in balia di questo nuovo modo di trattare i titoli, tipico dei fondi e delle grandi investment bank.

 

Qui, invece, stiamo ancora blaterando di tassazione del mercato finanziario, divieto di naked short, tutela dei titoli più pesanti dei vari listini: l’Unione Sovietica Europea, ancora una volta, è stata superata dagli Usa, seppur messi malissimo come sono. E questo, davvero, dice tutto.