Borse europee negative ieri a causa della riunione in corso in Svizzera del Comitato di Basilea, chiamato a decidere l’applicazione di norme più stringenti per il settore bancario, soprattutto alla voce capitalizzazione: detto fatto, i titoli del comparto hanno cominciato a scendere.

Se le norme di Basilea III verranno annacquate, preparatevi a un rally, altrimenti le sofferenze paiono destinate a crescere a causa dei problemi strutturali degli istituti europei. Stando a una valutazione compiuta da Macquarie Securities, sarebbero infatti undici gli istituti di credito a non aver superato gli stress tests europei: tutti gli istituti greci, Bankinter, Postbank, BCP, Sabadell, l’italiano Banco Popolare e, udite udite, la tedesca Commerzbank.

Se così sarà – e Macquarie sbaglia di rado e si sbilancia a vuoto ancor meno – saranno guai grossi e Berlino potrebbe accelerare la sua manovra politica-economica di ridisegno dell’eurozona. Il numero delle banche con capitale insufficiente, infatti, può sembrare piccolo ma questo fa riferimento alle 46 banche quotate in Borsa, prendendo in esame il numero totale di 91, comprendente le non quotate, per Macquarie «il numero sarà decisamente più grande». Evviva!

La mina del debito sovrano, poi, non solo incombe ma cresce di giorno in giorno. Martedì il downgrading di due notch da parte di Moody’s del debito sovrano portoghese non ha sortito effetti negativi nelle Borse grazie al successo dell’asta di bond decennali da parte del governo greco e soprattutto poiché il downgrade era ampiamente atteso: diverso sarà se il prossimo ritocco al ribasso del rating toccherà, in maniera coordinata, la Spagna. Ma della penisola iberica parleremo dopo.

Restando invece alla questione rating, sempre due giorni fa Jean-Claude Trichet ha chiesto a gran voce la fine del monopolio da parte delle “tre sorelle” del rating d’Oltreoceano, riaprendo il dibattito sulla necessità di una società di valutazione indipendente europea. Il problema è che mentre qui si parla, altrove si fanno i fatti. In questo caso in Cina, dove l’agenzia Dagong Global Credit Co., normalmente utilizzata per la valutazione delle aziende, per la prima volta ha emesso un outlook sul debito sovrano offrendo una fotografia completamente diversa della capacità creditizia dei vari paesi, puntando la sua analisi sulla “capacità di creazione di ricchezza”.

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Detto fatto, gli Usa sono scesi a livello AA, Gran Bretagna e Francia ad AA-, mentre Belgio, Spagna e Italia ad A-, pari alla Malaysia. Nel club dell’AA+ salgono, oltre alla Cina stessa, Germania, Olanda e Canada: il paese del Dragone godrebbe quindi delle sue riserve per 2,4 trilioni di euro e un tasso di crescita annuale tra l’8% e il 10%. Lo stesso capo del Fondo Monetario Internazionale, Dominque Strauss-Kahn, ha ammesso lunedì che l’Est si sta trasformando in una forza globale: «Il tempo dell’Asia è definitivamente giunto».

 

Il Fmi si aspetta che l’Asia crescerà del 7,7% quest’anno, un qualcosa di non paragonabile rispetto ai dati esangui di Europa (1%) e Stati Uniti (3,3%). Inoltre, le nazioni emergenti detengono il 75% degli 8,4 trilioni di dollari di riserve mondiali. Per Dagong i paesi “top class”, cioè con rating AAA, sono Norvegia, Svizzera, Danimarca, Singapore e le gemelle delle commodities, ovvero Australia e Nuova Zelanda.

 

Per il presidente di Dagong, Guan Jianzhong, «la ragione della crisi finanziaria globale e della crisi del debito in Europa risiede nell’attuale sistema di rating internazionale del credito che non rivela correttamente la capacità di ripagare da parte del debitore». Dategli torto, se ci riuscite. Certo, basarsi sulle performance passate per valutare il potenziale di crescita può essere fuorviante – basti pensare al caso del Giappone negli anni ‘70 e ‘80 prima dell’esplosione della bolla dell’indice Nikkei – ma è chiaro che il grado di collusione con soggetti che devono valutare delle “tre sorelle” non può che richiedere un rapidissimo cambio di rotta.

 

Parlando di rating, prima parlavamo il caso spagnolo, anticipando il più che probabile downgrade di debito sovrano iberico nei mesi a venire. I numeri, d’altronde, parlano da soli. Le banche spagnole, infatti, hanno preso in prestito dalla Bce 136,49 miliardi di euro nel mese di giugno, proprio prima della scadenza di luglio per ripagare alla Banca Centrale Europea i 442 miliardi di euro erogati agli istituti dell’eurozona: un gran bel salto dai 105,6 miliardi di euro che gli istituti iberici avevano preso in prestito a maggio e che vede le banche spagnole essersi accaparrate un quarto del totale messo a disposizione dalla Bce al netto delle somme ridepositate dalle banche a Francoforte.

 

Per Nick Matthews di Rbs, « ragioni di questo aumento sono due: precauzione da parte delle banche prima della scadenza per ripagare i 442 miliardi alla Bce ma, soprattutto, sempre crescente difficoltà nella capitalizzazione sul mercato». Se grandi banche come Santander e BBVA appaiono ben capitalizzate, molte banche più piccole non solo sono tagliate fuori dal mercato interbancario ma soprattutto pagano il conto a una forte esposizione verso prestiti su “non-performing property”.

 

Ma il problema, per la Spagna, è più grave e urgente di ciò che può apparire guardando al settore bancario o allo spread a 200 punti base del bond iberico a dieci anni rispetto al bund: è un problema di economia reale. La maggioranza dei comuni dell’Andalusia sono ormai insolventi, oltre 400 degli 8mila comuni spagnoli hanno smesso di pagare l’elettricità, l’acqua e le bollette telefoniche: lo conferma il giornale spagnolo “El economista”. A Cenicientos, comune vicino Madrid, a giugno non sono stati pagati gli stipendi dei dipendenti pubblici, come conferma il sindaco Jesus Manuel Ampero, il quale ha anche spiegato che né lui né i consiglieri comunali ricevono l’indennità da due anni.

 

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Il corrispettivo spagnolo della nostra Anci parla chiaramente di “lenta asfissia” per i comuni, destinata a peggiorare dal mese prossimo, poiché al 30% di entrate in meno dovute alla bolla immobiliare e delle costruzioni, si unirà un altro 20% in meno di tagli governativi contenuti nella Finanziaria di emergenza varata dal governo Zapatero. La situazione è tale che i comuni hanno chiesto una moratoria fino al 2012 per i debiti verso il governo centrale, i quali in sé rappresentano solo il 3% del Pil spagnolo, ma sono la cartina di tornasole di un rischio di depressione per il paese, il cui Prodotto interno lordo quest’anno registrerà una contrazione dello 0,8% (crescita zero nel 2011) e un tasso di disoccupazione al 19%.

 

La tensione sociale, ormai, è palpabile e l’autunno potrebbe davvero essere caldo, soprattutto se le “tre sorelle” assesteranno il colpo mortale del downgrade scatenando la speculazione sui cds. Questo nonostante la scorsa settimana l’asta di bond spagnoli sia andata a gonfie vele, con il fondo cinese SAFE principale acquirente: formalmente, un segnale di fiducia. Oppure, un primo passo verso lo shopping a costo zero che Pechino sta già facendo in Grecia.

 

Per il report Stress Testing Spain elaborato da Rbs, il paese è bloccato in uno stato di “equilibrio instabile”, legato com’è ai prestiti a breve della Bce per poter continuare a pagare i debiti: in base ai soft test, poi, le banche spagnole devono racimolare 50 miliardi di euro di capitale fresco, mentre i base ai severe test, i miliardi sono addirittura 90.

 

Inoltre, un eventuale “haircut” del 30% su tutti i bond dell’eurozona (tranne bund e qualche obbligazione francese), porterebbe a Madrid un perdita di 400 miliardi di euro (il 40% del Pil) e di 1,3 trilioni per l’intera zona euro. Come se questo non bastasse, in base ai calcoli di Rbs il debito pubblico spagnolo toccherà il 120% entro il 2017: un segnale tutt’altro che positivo per gli investitori stranieri.

 

Paradosso dei paradossi, mentre l’Europa sembra andare a picco, sia i cds greci che portoghesi sono scesi, quasi a segnalare un miglioramento della situazione: oppure, una pausa in attesa dell’attacco finale. I mesi di settembre e ottobre ci diranno di più.