Ora, è normale che attorno ai risultati degli stress tests europei ci sia interesse e fibrillazione: ne va della stabilità di un settore fondamentale proprio in piena crisi del debito sovrano per molti paesi dell’eurozona. Il problema è che in questi giorni di attesa, ognuno dice la sua.
Ieri abbiamo pubblicato le previsioni di Macquarie Securities, ma il caso più eclatante è quello di Credit Suisse che lo scorso 8 luglio aveva pubblicato ufficialmente i suoi stress tests, salvo poi rendersi protagonista di una clamorosa retromarcia due giorni fa levando dal novero delle banche a rischio di ricapitalizzazione Monte dei Paschi e la tedesca Postbank. «È improbabile che Banca Monte dei Paschi di Siena fallisca gli stress test trovandosi quindi costretta a ricorrere a un aumento di capitale»: queste le parole utilizzate dell’istituto elvetico, molto probabilmente finito nel mirino dei diretti interessati.
Insomma, sono bastati sei giorni per far ritenere a Credit Suisse che tutto sia tranquillo, come se l’esposizione ai Pigs e alla crisi sistemica europea non fossero mai esistiti. «Abbiamo rivisto le nostre stime sull’impatto della recessione e questo ha l’effetto di spostare Banca Monte dei Paschi in Italia e Deutsche Postbank in Germania fuori dalla zona di ricapitalizzazione, che sembra più probabile per altri soggetti», conclude Credit Suisse nella sua rettifica.
Ieri, poi, è stato il turno di Barclays Capital, che ha pubblicato i suoi stress test inviando a investitori e mercati il seguente messaggio: la crisi dei debiti sovrani ha pesato e pesa ancora in modo sensibile sugli istituti di credito europei. Nel complesso, solo conteggiando le Cajas, le Landesbank, le banche elleniche e quelle portoghesi, occorreranno almeno 95 miliardi per ripristinare i ratio patrimoniali.
Questo il testo ufficiale di Barclays Capital: «In our view, the institutions most likely to “fail” the stress tests – meaning be forced to raise new capital – are Spanish cajas, German Landesbanks and Greek banks. Based on some simple assumptions using the information available from the European regulatory authorities, supplemented with the methodology used in the US stress tests, we estimate capital needs of EUR36bn for Spanish cajas, EUR34bn for German Landesbanks and EUR8.6bn for Greek banks. Importantly, these estimates are based on a number of assumptions and are designed more to compare the potential capital needs with the programs in place to address them than to predict the exact results of the tests».
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In parole povere, le Landesbank tedesche avranno bisogno di capitale fresco per 34 miliardi di euro, le casse di risparmio spagnole per 36 miliardi e le banche greche per 8,6 miliardi. Al momento, come mostrano le prove di resistenza patrimoniale di Barclays Capital, l’Italia non corre particolari pericoli interni. Tuttavia, l’incidenza delle malversazioni di Germania, Grecia, Spagna e Portogallo (meno 17 miliardi di euro dopo gli stress test) potrebbe essere tossica per i nostri istituti di credito, creando un mix di sofferenze.
Insomma, ognuno dice la sua, ma la direzione sembra univoca: la crisi c’è, la necessità di ristrutturare e ricapitalizzare anche. Sono improbabili – ma non per questo da scartare a priori come scenario – i fallimenti ma di sicuro le sofferenze si faranno sentire. Per tutti. Non a caso in Grecia si comincia a dar vita ai balletti del mergering, ovvero fusioni bancarie per cercare di far fronte alla crisi che verrà con maggiori riserve: è il caso di Pireus Bank pronta ad acquisire quote di ATEBank e Hellenic Postbank mentre dalla Luois Capital Markets di Parigi arriva un monito: «Il vero focus per capire lo stato di salute del settore bancario sarà quello sugli assets tossici e su quanto grandi saranno le previsioni per i prestiti non-performing», scriveva ieri in una nota Sebastien Barthelemi, analista del gruppo.
Ecco spiegato, quindi, l’andamento misto dei principali indici europei e del settore bancario nonostante il (formalmente) risultato da record di JPMorgan nel secondo trimestre di quest’anno, un aumento dei ricavi del 76% (peccato che si sia messo mano alle riserve). C’è tensione sui mercati e non si capiscono due cose: primo, perché non tagliare la testa al toro e pubblicare subito i risultati degli stress tests senza continuare questa messe di speculazioni fino al 23 luglio, un vero e proprio danno per i mercati.
Secondo, se il 23 luglio dev’essere, allora la Bce vieti la pubblicazione di stress tests privati agli istituti: ogni giorno voci incontrollate vanno a colpire titoli – ed entità – che magari non meritano di finire nel mirino o, di converso, danno per superati i tests per istituti invece che necessitano di ricapitalizzazione come dell’aria. Le autorità, i tanto citati regolatori, facciano per una volta il loro dovere e prendano una decisione netta: o si parla dati alla mano subito o si tace, tutti, fino al 23 luglio.
Il problema, però, sta alla base, ovvero nella natura opaca con cui sono stati condotti questi tests: nessuna previsione di worst case scenario, ovvero di default sovrano di un Stato sul proprio debito e soprattutto criteri ben lontani da quelli utilizzati per gli stress tests negli Stati Uniti. Criteri, questi ultimi, utilizzati sia da Credit Suisse che da Barclays Capital per i loro report: quindi, potenzialmente sballati per uno squilibrio di valutazione.
Occorre agire. Ora. Subito. Anche perché secondo il Consiglio direttivo della Bce «si prospetta un ritmo di incremento moderato e ancora discontinuo del Pil in termini reali nel corso del tempo e in tutte le economie e i settori di attività dell’area euro». Lo si legge nel Bollettino di luglio dell’Eurotower, diffuso ieri.
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La Bce si attende infatti «che la ripresa dell’attività sia frenata dal processo di aggiustamento dei bilanci in corso in diversi comparti e dalle prospettive per il mercato del lavoro. Il risanamento dei conti pubblici dovrà essere notevolmente superiore all’aggiustamento strutturale dello 0,5% del Pil su base annua stabilito come requisito minimo nel Patto di stabilita e crescita», afferma la Bce, che sottolinea «l’importanza capitale di ripristinare gli equilibri di bilancio nel periodo successivo alla crisi».
Inoltre, «i mercati dei titoli di Stato dell’area euro hanno continuato a risentire pesantemente delle notizie sulle prospettive dei paesi dell’aerea che presentavano posizioni di bilancio problematiche. Sebbene i timori per il rischio sovrano siano sembrati attenuarsi leggermente a seguito dell’annuncio del meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria e del programma della Bce relativo ai mercati dei titoli, le preoccupazioni degli investitori hanno avuto il sopravvento», si osserva nel Bollettino.
Insomma, la casa brucia e qui si va avanti a colpi di speculazioni e mezze verità. Ne è convinto anche il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, secondo cui «a livello mondiale la ripresa è diseguale, dalla tenuta incerta ma prosegue». Ma, insiste Draghi, «la ripresa, trainata dalla crescita del commercio internazionale rimane esposta a rischi: la perdurante debolezza della domanda interna nei nostri paesi; turbolenze nei mercati finanziari che, ancora fragili, reagiscono in maniera eccessiva all’acuita percezione dei rischi sovrani; possibili tensioni inflazionistiche nei paesi emergenti, che indurrebbero a politiche più restrittive».
Rivolgendosi poi in particolare agli istituti di credito, il governatore della Banca d’Italia ha chiesto che «siano più vicini alle piccole e medie imprese, pur erogando il credito con prudenza e lungimiranza. La domanda di credito delle imprese, aumenta ma si ha l’impressione che le imprese piccole dicano che questa domanda non viene soddisfatta». Parole sante. Forse, uno così avrebbe fatto più comodo al nostro Paese in un’altra posizione..