È andato tutto come doveva andare. Più che altro, come previsto. Il più che probabile downgrading del debito spagnolo da parte di Moody’s e la minore crescita cinese, secondo dato negativo di fila, hanno azzoppato i mercati, nonostante il risultato positivo dell’asta della Bce di mercoledì e le operazione di roll over del debito da parte delle banche europee.

Le quali, ieri, sono state colpite da vendite di massa: spagnole, tedesche ma soprattutto francesi (a metà seduta il Cac40 perdeva oltre l’1,5% e Societe Generale era bersagliata dalle vendite), non fa differenza, il comparto è debole e fa gola a chi cerca l’anello debole su cui scommettere. Nel pomeriggio, poi, i dati macro provenienti dagli Usa hanno fatto il resto: la ripresa è nella migliore delle ipotesi fragile, nella peggiore ma non più peregrina completamente ferma.

Lo Strategy Update di Danksebank, d’altronde, lo diceva a chiare lettere: la crescita Usa sia nella seconda metà dell’anno in corso che per tutto il 2011 sarà debole, come confermato dai dati sul mercato immobiliare, dall’indice ECRI e dal livello di disoccupazione misurato anche attraverso la richiesta di sussidi. Ed è di ieri la notizia che i 1,3 milioni di disoccupati non si vedranno rinnovato l’assegno di sussidio: la situazione americana, on the road, è questa e la spirale del debito non può che essere una pesante aggravante.

Molti Stati, tra cui la California, sono di fatto in default tecnico: o taglieranno la loro spesa a livelli draconiani o non ce la faranno. Se a questo uniamo il fatto che in molti vedevano la Cina come motore della ripresa globale, capirete che siamo davvero messi male: non solo perché la crescita di Pechino ha registrato due cali consecutivi – nulla di sconvolgente, che le proiezioni cinesi fossero drogate lo sapevano tutti – ma perché il gigante asiatico ora deve far fronte anche alla bolla immobiliare. Oltre a mandare un segnale al mondo: la ricetta dell’export selvaggio come volano della ripartenza economica è sbagliata.

Ma all’orizzonte c’è anche altro: ovvero la bolla del mercato dei bonds, capace di gonfiarsi a dismisura nell’ultimo periodo e potenzialmente a rischio di esplosione. Molti grandi player, come Jim Rogers, ne stanno alla larga e invitano tutti a fare lo stesso: «Non ho posizioni né short né long, è soltanto una delle molte bolle che stanno gonfiandosi e si preparano a minacciare i mercati nel prossimo futuro». Per Rogers, poi, «molti governi, prima di tutto quelli Usa e britannico, stanno mentendo sull’inflazione. Noi, negli Usa, abbiamo già inflazione, chiunque faccia shopping ovunque nel mondo sa che c’è per il semplice motivo che i prezzi stanno salendo».

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Gli Usa, poi, hanno un’altra liability al riguardo: il salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac che costerà ai contribuenti fino a un trilione di dollari. Segnali: come quello riguardante Citigroup. Ricordate che ne parlammo qualche settimana fa, dicendo chiaramente che era sotto attacco short: ieri il Treasury americano ha venduto oltre un milione di azioni Citi, raggranellando 10,5 miliardi di dollari. Qualcosa sta per accadere. È un momento di delicatezza estrema: per Rogers, l’unica ricetta è restare «long sulle commodities e short sull’azionario».

 

Anche perché ieri i titoli europei hanno toccato il minimo da tre settimane a questa parte: il tutto, a fronte di notizie formalmente rassicuranti da parte della Bce e degli istituti bancari. Tutte balle. Il problema, sul finire di seduta di ieri, è stato tutto politico. La doppia bocciatura del candidato presidente di Angela Merkel ha infatti mandato ai mercati il seguente segnale: il paese designato alla guida dell’Europa fuori dalla crisi è instabile esattamente quanto gli altri.

 

E non è un segnale da poco se è riuscito a far passare in ombra il dato del dodicesimo mese di fila di calo della disoccupazione nel paese: i mercati invece di festeggiare la messe di ordinativi per Mercedes, Volkswagen e Bmw temono per la tenuta della coalizione di governo, a fronte della crisi periferica del debito e del mega-piano di austerity posto in essere dal governo guidato dalla Cancelliera.

 

Che, alla luce di quanto sta accadendo, appare sempre di più la disperata mossa politica di un paese che cerca la fuga in avanti per scaricare altrove i rischi della situazione attuale: i mercati temono di attaccare la solida Germania ma se mai dovesse aprirsi una crepa del muro, cosa che il crollo dell’euro previsto per settembre potrebbe tranquillamente fare, allora le cose cambieranno.

 

E forse conosceremo davvero lo stato di salute delle principali banche tedesche, prima contrarissime alla pubblicazione degli stress tests e ora, casualmente, le prime a far trapelare informalmente il fatto di averli superati brillantemente: perché non attendere la pubblicazione ufficiale di fine luglio, forti anche del divieto di naked short su molti titoli del listino Dax? Fatevi la domanda e datevi la risposta. Anche se potrebbe non piacervi.