Oggi è il grande giorno (si fa per dire) della pubblicazione dei risultati degli stress tests di 91 banche europee: inutile dilungarsi sull’argomento, nelle ultime due settimane l’abbiamo ampiamente sviscerato.

Una sola cosa mi preme anticiparvi: stando a una fonte anonima citata ieri da Bloomberg, Bank of Ireland e Allied Irish avrebbero superato i tests. Sapete come? La prima avrebbe avuto luce verde grazie al capitale d’emergenza raggranellato lo scorso mese, 2,9 miliardi di euro mentre la seconda poiché i regolatori sono stati così carini da calcolare nella capitalizzazione i 7,4 miliardi di euro che l’istituto ha “pianificato” di recuperare sul mercato entro la fine dell’anno. Un pagherò, insomma.

Capite da soli quale sia la serietà e quindi credibilità di questi tests, la cui pubblicazione a mercati chiusi – stasera alle 18 – rischia di far impennare o sprofondare i mercati americani in piena contrattazione. Parliamoci chiaro, questi tests sembrano gli esami di maturità dei calciatori famosi: una farsa scritta fin da principio. Punto, non vale sprecare altro spazio al riguardo.

Qualche parola, invece, la merita l’onesta intellettuale dimostrata questa volta da Ben Bernanke, il quale ha parlato chiaramente di estrema incertezza e debolezza dell’economia Usa, facendo andare a picco gli indici statunitensi ma quantomeno suonando la sveglia per la politica: il Senato Usa sta infatti decidendo in questi giorni la possibilità di dare vita a un nuovo stimolo fiscale per cercare di sbloccare la situazione dopo i pessimi indicatori giunti negli ultimi giorni.

Le parole del capo della Fed, quindi, parlano una lingua sola: agire. Subito. Anche perché la situazione americana viene colpevolmente sottovalutata da troppi, posta nel cono d’ombra dalla crisi del debito europea. Chi invece tiene gli occhi puntati su Washington è la Svizzera, dopo che la Banca Nazionale Elvetica ha reso noto di aver perso 14 miliardi di franchi (8,8 miliardi di euro) nel tentativo fallito di svalutare la propria moneta rispetto all’euro.

«Se si verificherà un ulteriore rallentamento negli Usa con una nuova crisi finanziaria, tutti vorranno comprare franchi svizzeri come bene rifugio. Andranno a ruba come l’acqua in bottiglia, gli elmetti e le pistole», ha dichiarato tra il serio e il faceto David Bloom, capo del monetario di Hsbc. «Ora che il debito giapponese è attorno al 200% del Pil, il franco ha spodestato lo yen come ultimo bene rifugio», conclude Bloom.

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Il franco, in effetti, si è apprezzato moltissimo contro l’euro fin dall’inizio della crisi greca e questo ha posto in essere un ulteriore ampliamento delle preoccupazioni riguardo la volatilità dell’eurozona: da 1,52 della fine dello scorso anno, all’inizio di questo mese ha toccato 1,31. La Banca Nazionale Svizzera ha ammesso di aver speso 80 miliardi di franchi in un solo mese per evitare che l’economia elvetica precipitasse in una spirale deflattiva, ma ogni tentativo di comprare euro ha fallito nel tentativo di assicurare un effetto duraturo.

 

«Stanno scommettendo contro il trend dei fondamentali, una cosa che di solito non funziona mai», ha dichiarato Neil Mellor della Bank of New York Mellon. Per Hans Redeker, capo del valutario a BNP Paribas, la crescita del franco è stata garantita dallo spostamento di capitali dall’eurozona: «Se ci sarà ulteriore tensione nel sistema bancario dell’eurozona, il franco si apprezzerà nuovamente in maniera immediata».

 

Il quotidiano tedesco Handelsblatt ha testimoniato in un’inchiesta che i cittadini bavaresi stanno attraversando la frontiera in massa per aprire conti correnti in franchi a Zurigo come precauzione, ripetendo una tradizione consolidata in tempi di crisi e stress economico. L’economia svizzera, però, è troppo piccola per assorbire ampi inflows di denaro senza che questo crei seri sconquassi.

 

«Senza intervento da parte della Banca Nazionale Svizzera, il franco potrebbe essere sulla strada della parità con l’euro», ha dichiarato Jurgen Buscher, fondatore della Buscher Private Asset Management di Zurigo. Secondo il quale, inoltre, «tutti i problemi sono stati creati da un “carry trade” scatenato da aziende e cittadini dell’Europa dell’Est che hanno contratto prestiti in franchi per comprare immobili: costoro, nei fatti, sono stati salvati a spese dei contribuenti svizzeri. Alla fine penso che l’euro si riprenderà e la Banca Nazionale Svizzera ne uscirà senza perdite».

 

Dati che giungono dalla Banca per i Regolamenti Internazionali dimostrano che i prestiti esterni denominati in franchi svizzeri hanno raggiunto 643 miliardi di dollari nel 2007 quando i cittadini dal Baltico alla Polonia, all’Ungheria ai Balcani e persino all’Austria si sono lanciati verso i tassi d’interesse più bassi d’Europa, spesso spinti dalle stesse banche in cui depositano il capitale nel paese d’origine.

 

In Ungheria è diventato molto difficile ottenere un prestito denominato in fiorini e la stessa Banca Nazionale Svizzera ha definito questo “carry trade” azzardato e pericoloso: «Un minimo di buon senso non andrebbe mai perso». Il governo svizzero potrebbe aver bisogno di considerare un’azione ancora più radicale se l’euro non riuscisse a stabilizzarsi: basti ricordare come dal 1972 al 1978 la Svizzera impose tassi d’interesse negativi per dissuadere l’arrivo di capitali esteri, all’epoca si toccò il tasso di -0,40%.

 

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Uno studio condotto da JP Morgan rese poi noto che i risultati non furono convincenti visto che durante quel periodo il franco si apprezzò del 75%. Il problema, però, è che le mosse messe in campo dalla Banca Nazionale Svizzera hanno scatenato un violento dibattito interno all’elite elvetica. Per Kurt Schiltknecht, l’ex capo economista della Banca Nazionale, l’acquisto di euro è stato un grave errore: «Sappiamo da esperienze passate che questo tipo di intervento non serve a nulla. Non si può, in effetti, parlare realmente di deflazione. I prezzi non stanno scendendo sistematicamente ovunque e non abbiamo visto una crescita del valore delle proprietà e meno disoccupazione».

 

Il tasso di crescita della massa monetaria M3 è salita dal 5,4 di aprile al 7,7 di giugno. Nonostante l’esposizione di molti istituti elvetici alla crisi dei subprime Usa abbia visto salire i cds di rischio sui bond e abbia fatto perdere la corona alla Svizzera in favore della Norvegia, il problema sostanziale ora è dato dal cambio di natura della crisi: ovvero, la crisi bancaria si è tramutata in crisi del debito e questo ha scompaginato tutti gli scenari, anche per la ricca e placida Svizzera.

 

Crisi relativa, però: il deficit di budget della Svizzera è solo l’1% del Pil, il debito pubblico lordo è al 40%, il surplus di conto corrente è al 9% e la disoccupazione al 3,9%. Insomma, qualsiasi sia il problema, gli svizzeri sono in grado di gestirlo visto che con otto milioni di abitanti, il paese può contare su mezzo trilione di dollari di assets esterni.

 

Il problema è che quando si è così ricchi e così bravi nel ben gestire le cose, si diventa più facilmente irritabili verso chi, con la propria incapacità, mette a repentaglio il tuo benessere. Come negli anni del terrorismo e dei sequestri, la Svizzera è tornata a essere il paradiso del capitale europeo: attenzione che questa strada tutte curve non presenti un bel dirupo nascosto.

 

Ora attendiamo i risultati degli stress tests: fazzoletti alla mano. Ci sarà davvero da piangere. Dal ridere, ovviamente.