Evviva, si festeggia! Gli stress tests sulle banche europee non sono nemmeno stati pubblicati eppure i titoli del comparto segnano rialzi da sogno: si dà per certo e scontato che tutte le 91 istituzioni di credito poste sotto verifica, tra cui cinque italiane, abbiamo superato brillantemente la prova.
Cosa garantisce questa certezza? Nulla, l’autoconvinzione degli istituti stessi e il classico dico non dico della Bce. La quale, però, spiegando i criteri utilizzati per porre sotto stress le banche, ha di fatto ammesso di aver sottoposto le stesse a un esame di quinta elementare più che alla maturità: stando a quanto reso noto da Market News International, agenzia controllata dalla Borsa di Francoforte, «gli stress tests stabiliti per le banche europee verificheranno la resistenza dei singoli istituti alla crisi dei debiti sovrani, ma non contempleranno lo scenario di default di uno Stato dell’area euro dal momento che tale ipotesi non sarebbe permessa dall’Unione».
Formalmente impeccabile, peccato che da settimane molti politici tedeschi – i veri controllori della crisi, oltre che dell’Ue stessa – parlino non solo di ipotesi default per qualche Stato, ma anche di espulsione dalla moneta unica: che stress tests sono, quindi? Una barzelletta. Lasciamo poi perdere la decisione della Cesb, il Comitato dei supervisori della Banca centrale, di non includere nei tests i bund tedeschi e parte degli Oat francesi ma di sottoporre «a significativi stress tests con tosatura a due cifre» per i titoli degli Stati a rischio: basta vedere a quanto già prezza il mercato i decennali e i trentennali greci per capire che siamo di fronte a una presa in giro.
Ma c’è qualcuno, invece, che all’ipotesi di default dell’eurozona – con conseguente frantumazione della stessa – non solo ci crede ma addirittura ne ha studiato le possibili conseguenze. Si tratta dell’ultimo report dell’istituto olandese Ing firmato dagli analisti Mark Cliffe, Maarten Leen e Peter Vanden Houte, secondo i quali «una rottura completa dell’eurozona potrebbe avere effetti in grado di trasformare in un nano la crisi seguita al collasso di Lehman Brothers. I governi potrebbero trovarsi a dover salvare ancora una volta gli istituti bancari, aggravando la già fragile situazione delle finanze pubbliche. Il rischio, quantomeno, di una temporanea impossibilità a onorare il sistema di pagamento dei salari sarebbe enorme. Il trauma iniziale di un’ipotesi simile sarebbe sufficientemente grave da far pensare, oggi, tutte quelle persone che blaterano rispetto all’ipotesi di espulsione dall’eurozona di alcuni Stati membri».
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La “nuova” dracma greca, ad esempio, crollerebbe dell’80% rispetto al “nuovo” marco tedesco, mentre le divise nazionali di Spagna, Portogallo e Irlanda di circa il 50%, causando un’inflazione a doppia cifra: «L’impatto sarebbe drammatico e traumatico». Nel suo studio Ing ha tentato di simulare le conseguenze di un cosiddetto “break-up scenario”, concludendo che anche un’uscita chirurgica della Grecia avrebbe violente conseguenze per tutti gli Stati membri e sarebbe assolutamente suicida per Atene: sia gli Stati più deboli che quelli più forti soffriranno violenti downturns se l’unione monetaria andrà in disfacimento, anche se ognuno in modo differente.
«Nel primo anno – scrive Ing – il crollo dell’output varierà tra il 5 e il 9 per cento tra i vari Stati ex membri». La cosiddetta area di competenza tedesca, la German sphere, dovrebbe affrontare uno choc deflazionario, il dollaro schizzerebbe a 85 cents contro l’equivalente del vecchio euro, con un overshoot temporaneo attorno ai 75 cents. Questo porterebbe gli Stati Uniti in uno stato di acuta deflazione, minacciando il Nord America con una recessione double-dip, mentre l’Europa dell’Est potrebbe conoscere una contrazione del 5% nel solo 2011.
I rendimenti dei bond decennali Usa potrebbero scendere, insieme ai Bund tedeschi e ai titoli olandesi, allo 0,5%, mentre quelli del Club Med potrebbero crescere brutalmente tra il 7% e il 12%: insomma, l’immagine di un mondo che va in pezzi. Già oggi lo spread dei bonds greci rispetto al Bund è a 750 punti base, mentre quello dei titoli portoghesi è a 285, quello dei bond irlandesi a 272 mentre i titoli madrileni prezzano lo spread a 213.
Il report di Ing ricorda poi come «l’ipotesi di una rottura dell’eurozona non è più frutto dell’immaginazione anglosassone, è divenuta argomento di discussione serie nei circoli dei polycy-makers e deve ora essere trattato e analizzato con la massima serietà: tanto più alla luce di un sondaggio compiuto da RBC Capital Markets tra 440 alti dirigenti di compagnie e banche a livello globale che ha visto il 50% degli interpellati certi dell’uscita dall’unione monetaria di almeno uno Stato entro il 2013, mentre un quarto di loro si aspetta un collasso completo.
Questo è ciò che si discute all’interno dei centri studi delle grandi banche europee, in compenso i cosiddetti regolatori evitano lo scenario di default negli stress tests degli istituti dell’Ue: complimenti, continuiamo pure a giocare con il fuoco. Alla fine, però, nessuno si lamenti se si brucerà. E non soltanto le dita.
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Le Borse festeggino pure, i titoli del comparto bancario schizzino alle stelle, si parli pure di rally e crisi ormai alle spalle: chiedetevi però per quale motivo le grandi banche d’investimento stanno picchiando duro sul future sui dividendi, scommettendo su un calo del 9-10% nel 2011 e del 20% nel 2012.
Il future sui dividendi delle 50 blue chip dell’Eurostoxx, regolarmente quotato, attualmente ha un open interest, ovvero posizioni aperte, per 1,3 miliardi di euro su entrambe le scadenze già citate: non bruscolini, quindi. È un indicatore chiaro riguardo la quasi certezza da parte dei professionisti del settore che i rialzi di questi giorni siano unicamente dovuti a motivi contingenti e spesso irrazionali, e che le prospettive a due anni sono altre e difficilmente qualcuno scommetterà contro i giganti dei prodotti strutturati.
A che gioco stiamo giocando, quindi, in Europa? Un nascondino suicida? Una cosa è certa: a breve l’Europa non si troverà costretta solo a salvare le casse di risparmio spagnole ma anche le Landesbank, le banche regionali, tedesche che stanno crollando. Berlino lo sa, attende sviluppi e punta a sanare la propria situazione: dopodiché l’Europa così com’è potrà andare in malora, la Germania sarà pronta a fare da sola. Almeno la pensano così Merkel e soci: il report di Ing la pensa diversamente. E voi?
P.S. Ovviamente quello tracciato dagli analisti di Ing è il classico caso di “worst case scenario” ma, attenzione, potrebbe non essere così peregrino né lontano nel tempo. Si sottostima, quando addirittura non lo si silenzia, il rischio legale e costituzionale che giunge dalla Germania rispetto al piano di salvataggio della Grecia.
Presso la Verfassungsgericht, la Corte costituzionale tedesca, sono infatti pendenti quattro casi di denuncia per violazione dell’articolo 125 del Trattato europeo, la cosiddetta clausola anti bail-out. Cinque eminenti professori – Wilhelm Hankel, Wilhelm Nölling, Joachim Starbatty, Karl Albrecht Schachtschneider, e Dieter Spethmann – stanno infatti perorando la causa dell’illegalità non solo del salvataggio greco ma anche del piano della Bce di acquisto di bond di Atene, portoghesi, spagnoli e irlandesi presso banche private.
La stampa, anche tedesca, ha scritto che il caso è stato respinto: non è vero, è stata bloccata la richiesta di sospensiva automatica degli aiuti ma la causa è ancora pendente. E state sicuri che se la Germania comincerà seriamente a sentirsi in pericolo, non ci penserà due volte a scaricare i partner spendaccioni. Se la battaglia legale andrà a buon fine, si stringerà un cappio mortale attorno all’unione monetaria. E la stessa andrà in frantumi nell’arco di giorni, non mesi.