«Gli eventi, caro ragazzo, gli eventi». Così si narra che il politico britannico, Harold Macmillan, rispose a un giornalista che gli aveva chiesto cosa temesse di più nella vita. Se interrogato sullo stesso argomento, probabilmente, oggi anche il presidente egiziano, Hosni Mubarak, risponderebbe allo stesso modo.
Però, perché c’è sempre un però, quegli eventi più o meno casuali e non preventivabili, fanno la fortuna di qualcuno: che li sfrutta o, addirittura, fa in modo che avvengano. Ieri mattina alle 11:30 l’indice della Borsa del Cairo è crollato del 9,93%, situazione che ha portato a una sospensione delle contrattazioni per eccesso di ribasso: appena riaperto, il mercato è continuato a scendere inesorabilmente fino a quota -11% alle 13:00, giungendo a un combinato di perdite nei due giorni di oltre il 17%. D’altronde, aprire le contrattazioni e ritrovarsi dopo quindici minuti a -6,25% non è segnale di una giornata “da toro”.
Un evento, in questo caso, assolutamente preventivabile visto che mercoledì la Borsa aveva chiuso in rosso del 6,1% in risposta alle massicce manifestazioni anti-governative e ai violenti scontri che le hanno caratterizzate. «Quanto accaduto stamattina (ieri, ndr) chiarifica il fatto che gli investitori sono andati nel panico dopo aver visto l’incapacità delle autorità di gestire la situazione nelle strade», ha dichiarato Ahmed Hanafi, broker alla Guthor Trading, secondo cui «il crollo a cui abbiamo assistito rischia di ripetersi, visto che cadute di questo livello rischiano di innescare una dura spirale ribassista sul medio termine».
Insomma, Borsa ai minimi da due anni, valuta al minimo da sei e bond in calo: l’economia egiziana è a fortissimo rischio. Il costo per assicurarsi contro il debito egiziano è salito di 38 punti base a quota 383, il dato più alto da maggio 2009 stando ai calcoli di CMA Datavision. «La comunità internazionale degli investitori ha preso la decisione di ritenere quanto sta accadendo in Egitto molto serio e sta chiudendo le sue posizioni», dichiara Mohammed Ali Yasin, capo degli investimenti nella compagnia finanziaria CAPM Investment ad Abu Dhabi. «La debolezza del mercato si è dimostrata più forte dopo la sospensione delle contrattazioni, segnale molto grave poiché durante quella pausa gli investitori hanno avuto modo di pensare sul da farsi e analizzare la situazione», dichiara Mostafa Abdel-Aziz, broker alla Belton Financial, banca d’investimento del Cairo. Un crollo generalizzato che ha toccato tutti i comparti quotati nell’indice EGX 30, con alcuni titoli scesi addirittura del 25%.
In rialzo, invece, i rendimenti del bond trentennale a maturazione aprile 2040, saliti di 8 punti base al 7,10%, stando a dati comunicati da Bloomberg: da inizio anno lo yield egiziano è già salito di 70 punti base. Le azioni della Orascom Construction Industries, la più grande società di costruzioni del Nord Africa trattata in Borsa, sono scese del 10%, toccando i minimi del novembre 2008. Quelle della Commercial International Bank Egypt SAE, il più grande istituto di credito quotato, hanno perso il 9,4% a quota 36,31 sterline egiziane per azione. Ieri sono stati trattati alla Borsa del Cairo 246 milioni di titoli, contro i 626 milioni di mercoledì.
Per Omair Ansari, analista equity alla Gulfmena Alternative Investments di Dubai, «vedremo altri crolli, visto che gli investitori retail non presteranno attenzione ai fondamentali ma si lanceranno nel panic selling dato dalla situazione politica contingente. Non penso proprio che potremo vedere un rapido recupero». Insomma, il costo del cibo e delle case sempre più alto, la disoccupazione in crescita e, soprattutto, un sempre maggiore gap tra ricchi (pochi) e poveri (moltissimi) stanno divenendo i veri driver della Borsa in un paese dove il 40% dei cittadini vive sotto la soglia del benchmark fissato dalla Banca Mondiale di 2 dollari al giorno: d’altronde non bisogna dimenticare che, a fronte dell’ambiziosa riforma economica lanciata nel 2005 e capace di far crescere il Pil a un tasso del 7% solo due anni fa, i fatti parlano di un unico risultato ottenuto, ovvero rendere i ricchi sempre più ricchi.
Non è un caso, infatti, che il crollo del mercato azionario sia una delle più serie preoccupazioni per Hosni Mubarak, il quale nei suoi trent’anni di governo ha continuato ed esteso le politiche di libero mercato lanciate dal suo predecessore, Anwar Sadat, negli anni Settanta. Le industrie statali sono state in gran parte privatizzate, il settore immobiliare egiziano è uno dei pochi ad essere sopravvissuto alla crisi globale del 2008-2009 e quello bancario ha performato bene non essendo stato minimamente toccato dalla crisi dei subprime. E ora, con nuove proteste in calendario e il clamoroso ingresso sulla scena di Mohamed Al-Baradei, ex capo dell’Agenzia atomica internazionale, premio Nobel per la pace e oggi capo in pectore dell’opposizione, cosa accadrà?
«C’è un enorme punto interrogativo che grava sul weekend che sta per iniziare e nessuno vuole detenere una posizione long», dichiara Abdel-Aziz, secondo cui «c’è un panico enorme determinato dalla situazione interna, un qualcosa di mai vissuto visto che fino a oggi il timore borsistico egiziano era sempre determinato da eventi esterni, come ad esempio la crisi che ha colpito Dubai o Lehman Brothers». Ma come anticipato, le disgrazie di qualcuno possono essere la fortuna di qualcun’altro. E a Londra le banche d’affari si sono gettate a pesce, preparando prospetti e report per grandi investitori in cerca di “bergain stocks”, opportunità insomma.
Come, ad esempio, Centamin, un titolo minerario legato al settore aureo molto raccomandato al momento della collocazione, ben performante ma ora in crisi da panic selling. La compagnia opera, infatti, nella miniera aurea egiziana di Sukari e i tumulti di piazza di questi giorni stanno facendo scappare gli investitori dal titolo, spaventati dalla natura unica dell’asset (l’azienda opera in una sola miniera), fatto che lo rende particolarmente vulnerabile. Sukari si trova però a circa 900 chilometri dal Cairo, non lontano dalla città turistica di Marsa Alam e quindi potenzialmente immune dai saccheggi e dalle violenze: quindi, per la società di analisi mineraria Fairfax, «l’impatto su Centamin sarà minimo. I lavoratori sono ben pagati e ben trattati e gli scioperi sono a centinaia di chilometri, per questo la riteniamo un buon investimento, anche se non sono da escludere ulteriori cali nel breve periodo».
Compra quando scende, vendi quando sale: il sacro principio è applicabile anche alle crisi di governo e alla rivolte. Anzi, si adatta alla perfezione a queste contingenze. Per gli analisti di Merrill Lynch, «nonostante le proteste e le tensioni continuino, le possibilità di un cambio di regime restano basse. Nonostante questo, un prolungato periodo di instabilità impatterà ancora sul valore dei titoli, creando opportunità di acquisto particolarmente attrattive».
Insomma, Centamin avrà anche un solo asset, il paese sarà anche in rivolta, ma i fondamentali dell’azienda sono forti e le tensioni non dureranno in eterno: cinicamente, a Londra consigliano di comprare finché la gente si continua ad ammazzare per strada! Tanto più che proprio ieri l’azienda ha presentato un aggiornamento riguardo la produzione del quarto trimestre dello scorso anno, mostrando una significativa accelerazione toccando quota 54mila once contro le 30,243 del terzo trimestre. Insomma, non una “widows and orphans’ stock” visti i rischi connaturati alla situazione politica, ma certamente un “buy”, soprattutto a livello speculativo visto che la situazione egiziana potrebbe peggiorare di molto prima di migliorare e stabilizzarsi.
Insomma, uno short selling perfetto: prendo a prestito il titolo e attendo che cali prima di arrivare alla chiusura di posizione, forte di un bel profitto. Il mondo brucia, la finanza esulta. Ciò che vedete in televisione e leggete sui giornali, è molto diverso se decifrato attraverso un terminale della City: «Gli affari, come le rivoluzioni, dovrebbero iniziare solamente», diceva Howard Sackler. Cui prodest, però, tutto ciò? Rifletteteci.