Bene, ci sono volute dieci ore di vertice per scoprire, dalla voce di Nicolas Sarkzoy alle 4 del mattino, quello che sapevamo da almeno tre giorni. Le Borse, giustamente, ieri hanno festeggiato non avendo ancora ben elaborato e digerito il polpettone europeo: fossi in voi, attenderei però lunedì per cantare vittoria. Vediamo nel dettaglio. Il vertice ha deciso che: 1) ci sarà un taglio nominale del 50% del debito greco per i creditori privati, mentre quelli ufficiali (Bce e Fmi) non verranno interessati. Bene, lo sapevamo già e quindi il taglio reale sullo stock di debito greco si abbassa al 28%. 2) Il rimanente del debito greco sarà rifinanziato a tassi preferenziali. Bene, lo sapevamo già. Quali tassi, però? Non si sa. 3) Lo swap su questi bond dovrà essere fatto entro fine gennaio prossimo: unica novità, ma appare una mera scadenza temporale. 4) Maggiore supervisione dell’adesione greca al piano di austerity: Juncker, Barroso e soci ce lo stanno dicendo da settimane. 5) Il fondo Efsf sarà ampliato a leva di 4-5 volte: lo sapevamo già. Come? Nessun dettaglio è stato fornito.



6) Non ci sarà coinvolgimento della Bce nell’Efsf: lo sapevamo già, visto che è la conditio sine qua non imposta dal Bundestag alla Merkel per negoziare. 7) Il presidente Sarkozy chiederà il coinvolgimento della Cina nell’Efsf: novità, peccato che il prezzo da pagare – stante il no di Russia e Brasile, che al limite aiuteranno l’Ue solo attraverso il Fmi (non hanno riserve come la Cina da poter rischiare attraverso uno strumento derivato ibrido come l’Efsf) – sarà l’apertura delle porte a Pechino di pacchetti azionari in primarie industrie e aziende Ue, oltre al riconoscimento della Cina come “economia di mercato”, quindi uno scontro politico e commerciale con gli Usa, oltre alla morte della manifattura europea e il trionfo del dumping. 8) Il fondo Efsf sarà un misto tra un’assicurazione diretta e un veicolo Spv in stile Enron: lo scrivo da almeno una settimana. 9) La potenza di fuoco stimata per il nuovo Efsf sarà tra 1 triliardo e 1,4 triliardi: lo ha imposto Wolfgang Schauble dieci giorni fa, non dovevamo aspettare l’annuncio di ieri. 10) L’Italia dovrà porre in essere specifiche misure per la riduzione del budget e del deficit: la vera novità sta nei contenuti (già bocciati da sindacati e opposizioni), ma l’esistenza della lettera era nota da almeno tre giorni, quelli seguiti all’aut aut europeo e che hanno visto l’ennesimo teatrino di Bossi sulla crisi di governo.



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11) Le banche europee devono raggiungere requisiti minimi di capitale (ratio del Core Tier 1 al 9%) e rifinanziarsi attraverso canali privati: lo sapevamo da settimane, addirittura il Fondo monetario internazionale lo ha detto a inizio agosto. 12) Se il capitale privato sarà insufficiente, i governi nazionali e in ultima istanza l’Efsf andranno incontro ai bisogni del settore bancario: lo sapevamo da settimane, peccato che la lotta per il finanziamento sull’open market porterà con sé un credit crunch (restrizione del credito) spaventoso tutto a carico di famiglie e imprese, la cifre richiesta per la ricapitalizzazione è solo 100 miliardi contro i 200 prospettati dal Fmi e, soprattutto, l’Efsf non ha la Bce come backstop e prestatore di ultima istanza alle spalle. L’Eba, l’Autorità bancaria europea, stima in 14,7 miliardi di euro le necessità per le banche italiane, in 8,8 per quelle francesi (ah ah ah, simpatici umoristi), in 5 miliardi per quelle tedesche, in 26 miliardi per quelle spagnole (15 per Santander e 7 per Bbva) e di 3,9 per la franco-belga Dexia. Ricordiamoci, però, che l’Eba è lo stesso organismo che non più tardi di quattro mesi fa fece il tagliando alle banche Ue attraverso gli stress tests promuovendole praticamente tutte – greche e Dexia comprese -, non contemplando il worst case scenario di un default sovrano con conseguente haircut obbligazionario e, dulcis in fundo, non si era accorta del portafogli cds da 5 miliardi dell’austriaca Erste perché nascosto nei bilanci come liquidità differita. Se il Fmi parla di “almeno” 200 miliardi, significa che – come l’esperienza ci ha insegnato – le valutazioni dell’Eba vanno almeno raddoppiate.



Se poi nel primo periodo, quello di ricerca fondi sull’open market, anche un solo aumento di capitale da parte di una grossa banca continentale – con ogni probabilità francese – incorrerà in condizioni peggiori del previsto (costi troppo alti) o addirittura incapacità di portare a termine il processo con le proprie forze, immediatamente l’attenzione dei mercati si sposterà prima sui governi nazionali (pressione obbligazionaria e spread in aumento) e poi sul fondo Efsf e la sua capacità di onorare realmente, ovvero con soldi veri e non garanzie, gli impegni presi nel vertice dell’altra notte.

A oggi, però, di quel fondo conosciamo solo la potenza di fuoco teorica: come raggiungerla, in che tempi e con quali soggetti partecipanti, restano domande inevase. Cui occorrerà dare risposte molto rapide, prima che i mercati capiscano l’inghippo: cosa che accadrà già lunedì mattina. La stessa Christine Lagarde, al termine del meeting di Bruxelles, ha detto chiaro e tondo che servono maggiori dettagli riguardo l’ampliamento e il potenziamento del fondo. Non hanno dubbi al riguardo alla Rbc Capital, che ieri mattina molto presto ha diramato un report nel quale definiva le conclusione del vertice «al rialzo nelle intenzioni, al ribasso nei dettagli», visto che non si sa praticamente nulla del processo di leverage dell’Efsf, non si sa nulla dell’estensione del coinvolgimento del settore privato nel salvataggio greco e non si sa se e in quale misura altri paesi, come la Cina, accetteranno l’accordo comprando bonds. «Hanno parlato talmente tanto di questa storia, che quanto comunicato al termine del meeting puzza già di vecchio», ha dichiarato alla Cnbc, Anthony Fry, presidente del ramo britannico della Espirito Santo Investment Bank.

Riguardo la finanziarizzazione dell’Efsf, inoltre, è molto scettico anche Jacques Cailloux, economista per l’area euro di Rbs: «La struttura che sta dietro questo veicolo Spv mi preoccupa. Sembra monolinea da un lato e un Cdo dall’altro. Penso che questo non sia affatto lo strumento adatto per i debiti sovrani dell’area euro. Ci sono già forti dubbi sia a livello di esecuzione che di implementazione e lo stesso schema assicurativo che viene contemplato è parecchio pericoloso».

Inoltre, va sottolineato come il mercato stia già prezzando da tempo il debito greco al 50%, addirittura alcune banche tedesche pur di scaricare il loro fardello, nelle ultime settimane hanno venduto trattando al 60-70%. «Ho paura che l’accordo greco creerà contagio su altre situazioni sovrane, come Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda. Nel corso del processo sono quasi certo che saranno necessari altri haircuts, l’allungamento dei tempi prestabiliti dalle linee ufficiali e, probabilmente, una riduzione dei tassi d’interesse», conclude Cailloux. C’è poi la questione del rating sovrano dei paesi esposti sulla Grecia, vedi Francia e Germania, la cui tripla A non appare più così scontata.

Unica nota positiva, la totale volontarietà del piano di tagli obbligazionario che scongiura l’attivazione delle clausole di default dei contratti cds: dieci ore di meeting più giorni di preparazione, forse, avrebbero meritato almeno un topolino più pasciuto partorito dalla montagna europea.