Il glassclimbing, ovvero l’arrampicamento sui vetri, è disciplina molto praticata dai politici, tanto che gli organizzatori delle Olimpiadi di Londra 2012 volevano inserirla nella lista delle specialità in una particolare e ristretta sezione dei giochi. Beh, ieri Mario Monti ha dimostrato di essere un asso, il Patrick de Gayardon della categoria, un politico ultra-navigato, altro che tecnico! Ecco alcune perle selezionate dall’interminabile conferenza stampa di fine anno: «Lo spread in rialzo? Ora l’andamento non è aiutato dalle autorità europee, per questo siamo un po’ più sollevati. Ieri e oggi le aste di emissione di titoli pubblici sono andate piuttosto bene. È incoraggiante, ma non consideriamo terminata la turbolenza finanziaria». Ed ecco, un’agenzia Ansa di ieri alle 13.02, in pieno svolgimento della conferenza: «La Banca centrale europea ha acquistato Btp sul mercato secondario in quantitativi limitati dopo l’asta di oggi. Lo scrive l’agenzia Reuters che cita operatori di mercato. “Hanno fatto qualche acquisto, sul tratto a dieci anni, con ordini limitati, da 5-10 milioni di euro”, ha spiegato un trader da Milano. Sugli schermi Bloomberg, il differenziale di rendimento tra Btp e Bund decennali si è allargato fino a 525 punti base per poi ripiegare sui 520 punti».



Mannaggia, povero Monti! L’amico Draghi non lo aveva avvertito che appena finita la fallimentare asta della mattina avrebbe comprato un pochino giusto per dare un segnale ai mercati ed evitare che lo spread schizzasse sereno a 530 punti base mentre lui parlava ai giornalisti a Roma! Che dolce Draghi, proprio un amore! Detto questo, a parte l’intervento spot di ieri a uso e consumo del governo tecnico, è vero che la Bce non sta più comprando, peccato che nella sua accademica dissertazione sull’andamento dello spread e sui motivi del suo rialzo (finalmente Enrico Letta avrà una giustificazione nuova di zecca da usare in tv), il buon Monti si sia dimenticato un particolare non di poco conto: ovvero che la scorsa settimana la Bce ha inondato le banche europee con 500 miliardi di euro all’1% di interesse affinché queste facessero il lavoro sporco al posto suo, ovvero comprare obbligazioni sovrane per innescare l’effetto sufflè per gli spread troppo in sofferenza!



Il problema è che le banche hanno sì comprato qualche briciola, ma entro le scadenze dei tre anni, ovvero l’arco di tempo dei prestiti privilegiati dell’Eurotower, fregandosene però bellamente delle scadenze più lunghe, tipo i Btp a dieci anni che ieri mattina il nostro Tesoro non è riuscito a collocare per l’ammontare massimo previsto, nonostante prezzassero un rendimento sì in calo ma ancora del 6,98%! Capito, le banche non ritenevano conveniente uno yield del 7% sul decennale, in compenso si sono picchiate il giorno prima per accaparrarsi titoli che tra sei mesi gli garantiranno un carry trade di quasi il 2% secco, pronta cassa con i ringraziamenti del Tesoro italiano. Sapete perché? Perché la carta a lunga scadenza loro la stanno scaricando per alleggerire i bilanci e andare incontro alle richieste dell’Eba, altro che comprarla! Direte voi, almeno quella liquidità le banche la metteranno a disposizione di famiglie e imprese per prestiti, finanziamenti e mutui: no, manco per niente, la tengono parcheggiata alla Bce al tasso di interesse dello 0,25%, ovvero smenandoci lo 0,75% pur di non metterla in circolo!



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Ecco i dati dei depositi overnight presso l’Eurotower degli ultimi tre giorni: ieri 437 miliardi, mercoledì 452, martedì 411,8. Questo significa non solo che le banche non si fidano le une con le altre e preferiscono depositare i soldi ottenuti dalla Bce all’1% la scorsa settimana, ma anche che, a conti fatti, metà dell’ammontare di debito italiano acquistato all’asta a breve termine di mercoledì mattina è stato pagato con tre giorni di interessi presso l’Eurotower! La carità, capite? Perché Monti queste cose non le ha dette nella sua infinita conferenza stampa di ieri? Forse perché i miei colleghi molto più autorevoli non gliele hanno chieste, in ossequio alla regola non scritta del “non disturbate il manovratore” che vige per questo governo tecnocratico? O forse perché il buon Monti non può permettersi di attaccare le banche, vero “core member” del suo esecutivo? Poco male, le diciamo noi.

E veniamo ora alle due aste di ieri e mercoledì, tanto per fare un po’ di chiarezza, cominciando dalla più recente, quella sulle scadenze più lunghe. Il Tesoro ha collocato ieri mattina circa 7 miliardi di euro tra Btp e CCTeu con rendimenti in leggero calo, ma una domanda debole: l’importo massimo offerto era infatti pari a 8,5 miliardi, quindi siamo nella parte intermedia della forchetta e nel caso dei Btp il collocamento è stato pari a 6,2 miliardi a fronte dei 7,5 miliardi offerti. Ma vediamo il dettaglio. Il tasso annuo lordo dei 2,573 miliardi di euro di Btp a tre anni collocati è sceso al 5,62%, contro il 7,89% dell’ultima analoga asta, con una domanda di 3,462 miliardi: l’unica nota davvero positiva dell’asta, peccato che fosse anche l’unico prodotto con scadenza nel range di garanzia del prestito della Bce, ovvero tre anni, con cui è possibile fare carry trade sul medio termine (ovvero prendo a prestito all’1% dall’Eurotower e compro a rendimenti del 5,62%, con oltre il 4,5% di profitto gratis)! Diverso l’andazzo per le scadenze oltre il range massimo garantito da Francoforte: per i 2,5 miliardi di euro di Btp con scadenza al marzo del 2022, il rendimento richiesto dal mercato è stato del 6,98%, rispetto al 7,56% dell’ultimo collocamento, con una domanda di 3,391 miliardi. Ma il Tesoro ha assegnato anche 1,176 miliardi di euro di Btp al settembre 2021, con un tasso del 6,7% e una domanda di 1,856 miliardi, sotto l’offerta massima di 2 miliardi e 803 milioni di euro di CTTeu a 7 anni con scadenza all’aprile 2018, con un rendimento in deciso rialzo al 7,42% dal 4,52% di fine agosto (periodo di enorme stress e overshooting sui mercati) e una domanda esattamente pari all’importo assegnato, sotto il massimo offerto di 1 miliardo.

E lo spread? Il differenziale tra Btp decennali e Bund equivalenti è salito a 522 punti base dopo la comunicazione dei risultati dell’asta di Btp, dai 510 dell’apertura di contrattazioni. Poi ci hanno pensato zio Draghi e i bassi volumi di scambio sul mercato secondario di fine anno… Insomma, da un lato il Tesoro ha preferito assegnare meno Btp del previsto per il semplice fatto che per assegnarli tutti avrebbe dovuto pagare un rendimento più vicino all’8% che al 7%, in compenso i CCT a 7 anni sono stati polverizzati al 7,42%, il massimo di sempre. In parole povere, l’asta dei Btp, quella più attesa, è stata una delusione enorme: non siamo riusciti a collocarli, signori, abbiamo dovuto abbassare l’ammontare massimo di assegnazione per non pagare l’impossibile! Colpa delle banche?

A fronte di necessità di aggiustamento dei bilanci per 2,5 triliardi di euro per far fronte entro giugno alle richieste sul Tier 1 dall’Eba, difficilmente le banche correranno al capezzale dei debiti sovrani per molto tempo. Chi ha capito le reali dinamiche del momento è stato ancora una volta il giubilato Dominque Strauss-Kahn, il quale il 12 dicembre scorso scrisse un articolo dal titolo “Non esiste un firewall, quindi all’Europa restano solo settimane”, stranamente scomparso dopo la sua presentazione nella newsletter del Financial Times. A cosa si riferiva l’ex numero uno del Fmi? All’enorme rischio che incombe sui mercati finanziari e a cui le operazioni di finanziamento della Bce non danno affatto risposta, anzi: il contagio del collaterale. I quasi 500 miliardi messi a disposizione dall’Eurotower per le banche dell’Ue (in realtà, solo 210 netti tra swap e minor utilizzo di altri programmi di finanziamento) hanno infatti solo garantito un po’ di tempo in più agli istituti, ma, come lo stesso Draghi ha ammesso, «il problema dell’eurozona non è tanto il quantitativo di liquidità, quanto il fatto che questa non sta circolando tra le banche dell’area».

Insomma, manca vero collaterale e questo ha di nuovo trasformato il dollaro nel re del mercato, stressando le linee di swap con la Fed, il cui intento di fornire biglietti verdi al mondo ha smesso di offrire risultati effettivi dopo nemmeno due settimane, ma che comunque ha scatenato le ire dell’ex vice-presidente della Fed di Dallas, Gerald O’Driscoll, secondo cui «la Banca centrale statunitense si è impegnata in un salvataggio delle banche europee. Un’operazione che, però, sorprendentemente negli Usa non è stata comunicata e notificata».

Ciò che fa paura hai mercati e mantiene comunque gli spread alti è il fatto che la Bce ha sacrificato il suo stato patrimoniale (oggi a 2730 miliardi di euro, +553 miliardi in tre mesi), accettando come collaterale qualsiasi cosa le banche offrissero, a fronte di un’operatività dell’operazione pari a zero a livello sistemico strutturale.

 

 

In compenso, la Bce non può stampare denaro come la Fed o la Bank of England e quindi non può che spostare temporalmente sempre un po’ più in là la risoluzione reale del problema, la cui cartina di tornasole sta tutta nell’aumento di 107 triliardi di dollari degli swaps derivati nella sola prima metà di quest’anno. Carta su carta, insomma, destinata a ingolfare ulteriormente bilanci già da mettere a dieta rigida. E che la tensione nell’eurozona non sia terminata ma, anzi, stia montando lo dimostra la continua discesa dei tassi di interesse sui titoli del debito pubblico della Germania (spiegazione della risalita dello spread di mercoledì, oltre alla vendita strategica di Btp decennali in vista dell’asta di ieri e dopo aver acquistato scadenze più brevi e garantite dalla Bce all’asta di Bot e Ctz), il Paese considerato dagli investitori come il più solido dell’eurozona e quindi l’unico che vede le banche realmente attive negli acquisti. Mercoledì il rendimento dello schatz, il bond governativo a due anni, è precipitato allo 0,139%, un nuovo minimo storico che vede ora l’Italia pagare interessi 36 volte più alti della Germania sui titoli con la stessa scadenza. E le discrepanze non finiscono qui. Nonostante i buoni risultati dell’asta a breve di mercoledì, sulla scadenza a sei mesi la Spagna paga il 2,40% mentre l’Italia il 3,25% e ieri lo spread tra Roma e Madrid ha toccato il nuovo massimo storico a 186 punti.

Questo nonostante la Spagna stia facendo i conti con un deriva statunitense nel mercato immobiliare, stando ai dati resi noti ieri dall’Ufficio Nazionale di Statistica. I mutui per immobili a ottobre sono scesi per il diciottesimo mese di fila, toccando un -43,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e dopo un tonfo del 42% in settembre. Di più, le nuove case invendute sul mercato sono 700mila e nonostante il nuovo governo intenda ripulire mutui tossici per 176 miliardi di euro dai bilanci delle banche, questa voce incide ormai per il 7,42% di tutti i prestiti concessi, il massimo da diciassette anni a questa parte. Il prezzo medio di una casa o un appartamento in Spagna è sceso del 7,4% nel terzo trimestre di quest’anno rispetto all’anno precedente. Insomma, una deriva subprime in piena regola.

C’è poi il rebus greco a pesare sul futuro dell’eurozona e, soprattutto, delle sue banche. Se finora si è infatti perso tempo rispetto al piano di compartecipazione volontaria dei creditori privati, ora esiste una data oltre la quale non si potrà fare melina: la scadenza obbligazionaria del 20 marzo. Con gli introiti fiscali greci falcidiati dal deterioramento della crisi, infatti, si stanno creando notevoli necessità supplementari di finanziamento per lo Stato: quindi, o Ue e Fmi danno altri soldi oppure l’haircut sul debito sarà ben superiore al 50% in discussione e farà scattare la ristrutturazione del debito coercitiva, ovvero il default. Un qualcosa che non solo farà immediatamente mettere nel mirino dei mercati prima il Portogallo e poi Italia e Spagna, in assenza del firewall del meccanismo di salvataggio Esm ancora solo in fase virtuale, ma potrebbe attivare le clausole del credit default swaps, un scherzo pari a 80 miliardi lordi di euro di risarcimenti. Ora vi stupite ancora dell’euro che scende ai minimi da quindici mesi sul dollaro e del suo nuovo target fissato a 1,10 per il primo trimestre 2012, prima che la Fed riattivi la stamperia?

In compenso c’è un dato che nessun giornale pubblica e mette in evidenza (con alcune meritorie eccezioni), anche se è benedetto dal crisma dell’ufficialità addirittura della Banca d’Italia nel suo Supplemento al Bollettino Statistico: tutti gli aggregati di massa monetaria nel nostro Paese sono in netto calo, ma quello denominato M1, per capirci i depositi in conti correnti, è addirittura a picco. Vuol dire che i soldi depositati nelle banche italiane, come le caprette di Heidi, ci stanno facendo ciao e vanno altrove, grazie alle misure di questo governo.

 

 

Lo certificava ieri anche la Bce, secondo la quale nel solo mese di novembre i depositi nelle banche italiane sono scesi dell’1%, da 1402 miliardi di ottobre a 1364 miliardi di euro: in un solo mese! Non a caso, è lo stesso trend – nell’ultimo mese – della Grecia!

Ripeto, dati Bce riportati da Reuters, non dati Mauro Bottarelli. Buon anno tecnocratico a tutti!