Signore e signori, si ristruttura! La Grecia è ufficialmente fallita e ieri, prendendo atto dell’impennata ormai ingestibile dei rendimenti pagati dalle obbligazioni dei cosiddetti periferici, Bloomberg certificava che l’haircut sul debito greco è sempre più probabile: tradotto in lingua volgare, è certo, stanno solo scegliendo la soluzione migliore. Lo yield pagato ieri a Mezzogiorno dal decennale ellenico era del 13,165%, per la prima volta dal 1998, mentre il quinquennale portoghese prezzava al 10,47%: di più, i cds sovrani greci parlavano di un 60% di probabilità di default nei prossimi cinque anni.

Detto fatto, oro e argento sugli scudi e anche l’agonizzante yen tornava a guadagnare. Insomma, benvenuti sul Titanic: e non spingete, purtroppo c’è posto per tutti! Ma ecco la nota ancora più dolente: sempre stando alla previsione di Moritz Kraemer, capo del braccio europeo di Standard&Poor’s citato da Bloomberg, solitamente fonte molto cauta e tendente all’ottimismo, i detentori di obbligazioni potrebbero conoscere tagli dei rendimenti dal 50% al 70% sulle securities greche a fronte delle necessità elleniche di ristrutturazione del debito.

Per Greg Venizelos, analista del credito di Bnp Paribas a Londra, «il fatto che la Grecia non abbia alternative se non quella di ristrutturare il proprio debito al fine di tornare a una gestione sostenibile dei conti, è probabilmente il segreto peggio custodito di sempre». Ma Atene non è sola. L’extra-rendimento richiesto per detenere decennali portoghesi invece che Bund tedeschi è salito al record dalla nascita dell’area euro di 545 punti base, mentre lo spread Grecia-Germania è cresciuto di 15 punti base. Il biennale greco prezza un rendimento in crescita di 28 punti base, portando l’aumento totale di questa settimana a 93 punti base: stessa storia, più o meno, per Spagna e Irlanda.

Insomma, per quanto riguarda la Grecia, ormai si tratta solo di stabilire come tagliare il debito: le banche preferirebbero un congelamento di cedole e restituzione del capitale per un certo numero di anni (almeno 3) anziché vedersi tagliato l’importo del debito, ma il mercato sta scontando un taglio di almeno il 35% del capitale sulle scadenze a 5 anni. Una cosa è certa, non c’è più tempo, né spazio per la tiepidezza: i dati diffusi ieri da Reuters parlavano di un tasso di disoccupazione greco al 15,1% a gennaio, dal 14,8% di dicembre, record assoluto da quando l’Ufficio di statistica rende noti i dati mensilmente, ovvero dal 2004.

Alla luce di numeri simili, alla Grecia non resta che tagliare il debito e alleviare la pressione sui conti pubblici (facendo pagare il prezzo ai detentori di obbligazioni di vario genere). Oppure, uscire ufficialmente dall’euro (e ci stanno pensando, stante la volontà tedesca di creare un’eurozona a due velocità e le notizie riportate due giorni fa dai media teutonici, in base alla quale l’attesa sentenza della Corte costituzionale sulla liceità del salvataggio greco sarebbe di parere negativo, di fatto facendo fallire Atene in poche ore). Insomma, l’Europa è in ginocchio. Eppure, nonostante questo, l’euro è sceso sui mercati ma restando comunque su quota 1,44 sul dollaro: ma cosa diavolo deve accadere in Europa perché il biglietto verde si apprezzi, un’ecatombe? Un terremoto stile giapponese?

No, la risposta è più chiara e ce l’ha fornita ieri il Fmi: il dollaro non sale sia per problemi e dinamiche strutturali interne degli Usa, sia perché nei prossimi due anni il sistema bancario mondiale dovrà affrontare “un muro di maturazioni del debito pari a 3,6 triliardi di dollari, oltretutto in un contesto di concorrenza spietata con governi oberati dal debito che necessitano di finanziarsi sui mercati a tutti i costi”. Insomma, i tempi per capire quali saranno i veri equilibri valutari mondiali sono ristretti. Anche perché, «le banche europee avranno necessità di enormi quantitativi di denaro per ristabilire la fiducia dei mercati e assicurarsi la capacità di prendere a prestito, situazione che vedrà il crollo e il fallimento di alcuni players».

I requisiti di roll-over del debito saranno «particolarmente acuti e duri per le banche tedesche e irlandesi, con oltre la metà del loro debito espositorio che andrà a maturazione entro un anno e mezzo». Le banche Usa, invece, hanno creato cuscinetti di capitale nel 2009, quando i regolatori hanno portato a termini stress tests che hanno rivelato buchi enormi: peccato che, a fronte delle esigenze di capitalizzazione, le principali banche statunitensi hanno esposizioni ai derivati spaventose e posizioni short, ad esempio sull’argento, capaci di far saltare anche i bilanci più raffinatamente truccati.

Per il Fmi, le banche europee non solo dovranno cogliere l’occasione d’oro fornita dagli stress tests per ripulire finalmente le proprie posizioni e dire una volta per tutte la verità al mercato, ma, soprattutto, dovranno tagliare i dividendi e ritenere una larga porzione dei guadagni. Insomma, per il Fmi «troppe economie avanzate stavano vivendo pericolosamente con il peso di un debito eccessivo e facevano fatica a pareggiare i deficit senza distruggere del tutto la debole ripresa economica». Per il Fondo, «i costi per gli interessi che i governi si troveranno a pagare sono destinati a salire», visto che quest’anno «Giappone e Stati Uniti affronteranno i più grandi roll-over sul debito pubblico, rispettivamente del 56% e 29% del Pil: se fino a oggi questi due paesi hanno beneficiato dei bassi tassi attuali, entrambi saranno esposti a un potenziale rischio di aumento dei costi di finanziamento».

Sarà per questo che il dollaro langue nonostante l’Europa assomigli ogni giorni di più a un fortino diroccato? E sarà per questo che Gary North comincia a pubblicare su LewRockwell.com articoli su come sarà possibile “terminare” e chiudere la Fed, proponendo come alternativa al suo ruolo il Congresso oppure il libero mercato. Come? Ecco: «Tutta l’autorità della Federal Reserve di agire nel nome del governo degli Stati Uniti è da ora revocata. Gli asset del Consiglio Direttivo della Federal Reserve, che sono già proprietà del Governo degli Stati Uniti, sono da ora trasferiti al Dipartimento del Tesoro. Ciò include tutti gli asset nel bilancio della Federal Reserve. Le dodici (12) Banche Federal Reserve di prorietà privata riconsegneranno tutti gli asset affidati loro dal governo degli Stati Uniti entro trenta (30) giorni di calendario dal passaggio di questo disegno di legge a legge vera e propria.

Le riserve d’oro del governo degli Stati Uniti che sono mantenute dalla Banca Federal Reserve di New York saranno trasferite al deposito del Governo di Ft. Knox, in Kentucky, entro un anno di calendario dopo che questo disegno di legge sarà diventato legge a tutti gli effetti. Il Government Accountability Office stilerà un inventario dell’oro tenuto in riserva dalla Banca Federal Reserve di New York prima e dopo questo trasferimento. Il Consiglio Direttivo lascerà i luoghi della Federal Reserve entro trenta (30) giorni di calendario dall’entrata in vigore di questa legge.

Qualsiasi fondo pensione degli impiegati delle varie Banche Federal Reserve rimarrà sotto il controllo di quelle banche. Tutte le pensioni sotto l’autorità del Consiglio Direttivo della Federal Reserve sono da ora trasferite al Dipartimento del Tesoro, per essere amministrate dal programma pensionistico del Dipartimento del Tesoro. Ciò è semplice. Il Consiglio Direttivo della Federal Reserve è un’agenzia del governo. La sua autorità sarebbe trasferita al Tesoro degli Stati Uniti. La dozzina di Banche Federal Reserve sono possedute da privati. Tutta l’autorità di queste 12 banche, che deriva dalla loro connessione con il Consiglio Direttivo, cesserà. Se ne trarranno profitto, bene. Se invece no, bene lo stesso. Il libero mercato determinerà cosa sopravviverà e cosa no”.

Semplice, no? Il vecchio mondo è ormai alla fine, prepariamoci a cambiamenti che nemmeno avremmo immaginato solo quattro anni fa.