Il tabù è stato infranto: la Grecia potrebbe tornare alla dracma e dire addio all’Ue. Non lo dice il sottoscritto, ma Maria Damanaki, Commissario europeo alla Pesca ed esponente del Pasok greco. E per sapere quale sarà il destino di Atene non servirà molto tempo: oggi, infatti, si terrà una riunione di emergenza tra tutti i leader politici ellenici su richiesta diretta del presidente della Repubblica.



Qualcosa di più di un campanello d’allarme, siamo all’emergenza più assoluta. E ci sono tutti i presupposti perché sia così, visto che un eventuale default greco sul suo debito avrebbe un impatto secondario sulle istituzioni finanziarie mondiali ben peggiore del crollo di Lehman Brothers. Il collasso della gigante newyorchese, infatti, ebbe sostanzialmente un effetto psicologico devastante, visto che svelò al mondo come gli Stati Uniti fossero pronti a far andare in bancarotta un’azienda finanziaria enorme, complessa e interconnessa. Insomma, ai mercati arrivò il messaggio che il concetto stesso di “too big to fail” non era più valido.



Nei fatti, Lehman aveva in essere 600mila contratti derivati e centinaia di miliardi in bonds, ma i creditori istituzionali di Lehman erano comunque muniti di riserve per far fronte al suo eventuale collasso e questo attenuò non poco l’impatto della bancarotta. Un po’ diversa è la questione riguardante la Grecia, visto che ci sono in circolo circa 270 miliardi di euro di bonds sul debito sovrano greco, 100 dei quali detenuti da banche, soprattutto europee, mentre gli altri 170 miliardi sono in tasca a compagnie di assicurazione, fondi pensione e banche centrali. E tutti questi detentori di debito ellenico non hanno riserve di capitale contro eventuali perdite, un qualcosa che significa da un lato emorragia netta e l’interrogativo, sui mercati, riguardo il loro livello di capitalizzazione.



Le regolamentazioni sul capitale bancario europeo, di fatto, trattavano il debito sovrano dell’Ue come esente da rischi, nei fatti creando un effetto sussidio che permetteva ai governi più a rischio dell’Unione di prendere a prestito denaro a costi molto minori rispetto alla realtà del mercato. Questo spiega perché nel 2004 lo spread tra i debiti tedesco e greco scese di 20 punti base. Le banche, dal canto loro, accettarono l’assunto dell’assenza di rischio e si sono caricate di debito sovrano periferico, visto che garantiva rendimenti molto alti: in questo modo guadagnarono grazie agli yields competitivi senza mettere da parte capitale addizionale attraverso il prestito di denaro a creditori sfavoriti dalle regolamentazioni.

Questo sussidio è stato estremamente importante per i governi europei, visto che negli Usa solo il 3% del debito governativo è detenuto dalle banche contro il 30% di quello europeo: senza questo sussidio, molti governi dell’Unione avrebbero avuto maggiori difficoltà a emettere i propri bonds. Lo stesso discorso, a livello di rischio bancario, vale per i mutui. L’alta concentrazione di debito sovrano in mano alle banche europee fa salire la possibilità che gli istituti possano essere pesantemente sottocapitalizzati e che richiedano quindi una ricapitalizzazione statale, altrimenti rischiano il fallimento loro stessi.

Come scrivevo due giorni fa, la stessa Bce appare a rischio insolvenza vista la quantità di debito greco che detiene e potrebbe necessitare di essere ricapitalizzata (buon lavoro, futuro governatore Draghi!). Il guaio peggiore è che si conosce l’esposizione bancaria europea alla Grecia, ma non la quantità di bonds a rischio che ogni banca detiene e in caso di default questo potrebbe essere il detonatore di un panico generale sui mercati, dettato dalla non conoscenza da parte degli istituti dell’esposizione reale delle controparti, banche, fondi pensione o assicurazioni: questo porterà psicologicamente all’accettazione, per prudenza, del peggior scenario possibile e determinerà il blocco dell’estensione del credito verso istituzioni potenzialmente insolventi.

Ecco, quindi, le condizioni per il secondo, devastante credit crunch per le economie e le istituzioni finanziarie europee. Questi i rischi che corriamo, tutti quanti, in caso di default greco, un’opzione resa possibile da governi che hanno preso a prestito troppo denaro e da regolamentazioni che hanno incoraggiato le banche a prestare troppo agli Stati. In una parola, cortocircuito. Ma se le autorità europee, Bce in testa, hanno sbagliato e consentito con le loro politiche che l’inferno greco prendesse corpo, anche Oltreoceano non si è scherzato.

Da ieri, infatti, è ufficiale il fatto che dal marzo al dicembre del 2008 la Fed operò un programma di prestito senza precedenti, di fatto un sussidio alle banche esattamente pari a quello verso i governi da parte dei regolatori europei.

Un’iniziativa da 80 miliardi di dollari denominata “single-tranche open-market operations” durante la quale le unità di 20 banche dovevano fare un’offerta ad aste di capitale contante, pagando tassi d’interesse dello 0,01% per un mese di contante, quando la principale facility della Fed per i prestiti costava di per sé lo 0,5% per cento. Credit Suisse, Goldman Sachs e Royal Bank of Scotland da sole presero a prestito circa 30 miliardi di dollari nel 2008 attraverso questo programma, i cui dettagli non furono resi pubblici né al Congresso, né all’opinione pubblica, né agli azionisti.

Già, avete capito bene: Goldman Sachs, il cui ceo Lloyd C. Blankfein dichiarò di fronte al Fcic (Financial crisis inquiry commission) di aver beneficiato al minimo dei prestiti di emergenza, ha ottenuto contante dalla Fed al tasso dello 0,01%! Già, signori miei, questo è il mondo in cui viviamo e queste sono le cose che accadono senza che noi ce ne accorgiamo. Oggi si decide il futuro della Grecia, teniamo le dita incrociate.