Signore e signori, per Moody’s la Grecia equivale a Cuba ed è peggio del Montenegro! Ecco il giudizio contenuto nell’ultimo downgrade del rating operato mercoledì sera e che ha visto il credit rating ellenico passare da B1 a Caa1, pochi passi da quel D che vuol dire fallimento.

Ora, due sono i dati di fatto: primo, che bisogno aveva Moody’s di operare un taglio di tre notches del rating di credito greco proprio ora che si sta cercando una soluzione in extremis per evitare il default da un lato e la dolorosa ristrutturazione del debito dall’altro? È successo qualcosa di così drammatico dall’ultimo downgrade operato a quello dell’altra sera? È sparito il Partenone? Si ode tintinnar di sciabole dei Colonnelli in versione 2.0? Il governo ha bloccato i conti correnti? O, peggio, ha allargato le maglie della spesa pubblica aumentando gli stipendi dei dipendenti statali in barba alla trojka?

No. Ecco quindi ritornare in auge il ruolo ontologico delle “tre sorelle”, ovvero prosecutrici con altri mezzi della politica estera Usa, il braccio armato finanziario del Dipartimento di Stato che con le sue bocciature a orologeria crea le condizioni per gli Stati Uniti di sfruttare la situazione, in questo caso mantenere artificialmente in vita il dollaro nonostante lo stallo sull’innalzamento del tetto di debito e creare le condizioni affinché i T-Bill tornino a essere beni rifugio per antonomasia, garantendo l’abbassamento dei rendimenti da pagare e mani un po’ più libere rispetto alla politica dei tassi della Fed.

Secondo dato di fatto: ancora una volta Moody’s è riuscita nel suo blitz. Il credit default swap a 5 anni sul debito sovrano greco è immediatamente salito di 40 punti base a 1.470, stando ai dati diffusi da Markit: questo significa che servono 1,47 milioni di euro per assicurare 10 milioni di esposizione al debito greco. Anche i cds portoghesi sono saliti di 15 punti base a quota 700. Ma non solo. Ieri il Tesoro spagnolo ha collocato, in occasione dell’asta di titoli a 3 e a 4 anni, obbligazioni per un totale di 3,953 miliardi di euro e i tassi, malgrado la forte domanda riscontrata, sono aumentati pesantemente proprio in funzione delle incertezze sugli sviluppi della crisi greca e del simpatico downgrade a orologeria di Moody’s, operato a dodici ore dall’asta iberica.

Le richieste di sottoscrizione si sono infatti attestate a 10,3 miliardi, permettendo a Madrid di piazzare praticamente il massimo della forchetta (3-4 miliardi) programmata, ma nel finanziamento a tre anni il Tesoro ha piazzato 2,753 miliardi al tasso medio del 4,037% (3,568% nell’asta del 7 aprile scorso), mentre in quello a quattro anni l’importo collocato è stato di 1,3 miliardi al tasso medio del 4,230% (2,964% nell’analoga operazione del 2 settembre 2010)! Complimenti a Moody’s, missione compiuta. E come ha reagito l’Europa a questa ennesima incursione barbarica delle “tre sorelle”? Con una domanda: «Nell’Unione monetaria del futuro sarebbe troppo ardito in campo economico pensare a un ministro delle Finanze europeo?».

A porsela quel genio incompreso dell’ormai ex (lode al Signore per questo) presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, a margine dell’ennesima giornata di incertezza per le sorti della Grecia. Questo dicastero, secondo Trichet, non dovrebbe amministrare un budget federale, ma avere competenza diretta sulle politiche fiscali e di competitività degli Stati membri, avere la responsabilità dell’assistenza fiscale dei Paesi fuori dai parametri comunitari, gestire i servizi finanziari nell’ottica di una loro integrazione e rappresentare l’Eurozona nelle istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo monetario internazionale e il G20. Trichet ha anche prospettato che, nel caso in cui un Paese che già ha fatto ricorso agli aiuti internazionali fallisca gli obiettivi dei piani di aggiustamento fiscale, dovrebbe intervenire “una seconda fase”: questa potrebbe comportare «poteri più ampi e decisivi alle autorità dell’Eurozona nel determinare le politiche economiche di questi Paesi, nel caso in cui queste vadano pericolosamente alla deriva».

E come? Le autorità dell’Eurozona potrebbero avere «il diritto di veto su alcune decisioni di politica economica a livello nazionale con un tale tipo di regime. Nel dettaglio, si potrebbe applicare un diritto di veto sulle principali voci di spesa del bilancio e su quegli elementi essenziali per la competitività del Paese, ma anche responsabilità dirette su quei Paesi investiti dalla crisi del debito sovrano».

Hai capito la vecchia volpe!? Come dicevano i nostri padri, in cauda venenum. Allo scadere del suo mandato, infatti, in un colpo solo – sfruttando i timori dei cittadini per quanto sta accadendo in Grecia – ha dato di fatto degli incompetenti a Michel Barnier e Olli Rehn, rispettivamente commissario Ue al Mercato interno e commissario Ue per gli Affari economici e monetari, ha dipinto i loro due dipartimenti come un qualcosa di inutile e ha prospettato la nascita del Grande Fratello economico europeo, un soggetto – secondo me lo guiderà un tedesco, voi che dite? – in grado non solo di mettere becco sulla sovranità economica e fiscale dei paesi membri, ma addirittura di porre il veto e commissariare. Siamo all’Unione sovietica economica europea, segnatevi questa sigla e mandatela a mente come il vostro incubo peggiore: Usee.

Per Jean-Claude Trichet, infatti, un eventuale ministro delle Finanze dell’Eurozona non avrebbe bisogno di un portafoglio federale pesante, ma avrebbe poteri decisionali in materia di sorveglianza e di veto e rappresenterebbe il blocco valutario dell’Eurozona nelle grandi istituzioni internazionali: insomma, l’Ecofin non servirà più a nulla, sarà il Grande burattinaio della cassa europea a tenere i rapporti e stringere patti (ed, eventualmente, dichiarare guerre commerciali) con soggetti come gli Usa, i Bric e i paesi arabi.

Siamo a George Orwell allo stato puro: utilizzando il disastro compiuto da banche rapaci e politici incapaci, la Bce si sta trasformando nel motore immobile del dissolvimento sovrano dei paesi interni all’Ue e della nascita di un soggetto embrionalmente federale che utilizza l’economia come collante di un superStato guidato da burocrati e grand commis. Gli stessi che ci hanno portato sull’orlo del precipizio e che ora rimodellano la struttura dell’Ue facendosi scudo con parole come “periferici”, “default”, “ristrutturazione”: vogliono un’Europa a due velocità, una “core” a guida franco-tedesca e legata ai paesi nordici solventi e una Mediterranea, commissariata, guidata dall’Italia e ancorata ai cosiddetti periferici o Pigs che dir si voglia, il club del debito insomma.

Non è un caso che l’uomo chiamato a dare corpo e continuità a questa boutade di Trichet sarà proprio un italiano, il bravissimo Mario Draghi che si insedierà a novembre all’Eurotower e che, anche per formazione, non è alieno a tentazioni sovranazionali. Stiamo attenti, amici miei: questa crisi greca rischia di non essere solo un accidente economico in grande stile, ma l’alibi per azzerare del tutto la volontà popolare e la sovranità dei governi nazionali sull’altare di un paneuropeismo federale che sa di Weimar in versione 2.0.

Già ora i governi greco, irlandese e portoghese si vedono imporre le politiche fiscali da Ue, Bce e Fmi e gli stessi cittadini finlandesi hanno capito il rischio di una diluizione tecnocratica della loro libertà civile ed economica spedendo sul palcoscenico politico nazionale con una valanga di voti il partito dei “True Finns”, contrarissimi ai salvataggi pubblici degli Stati e allo strapotere di Bruxelles e Francoforte. Qui non si tratta di essere più o meno europeisti, si tratta di poter ancora decidere autonomamente e sovranamente del nostro futuro.