Pericolo scampato (almeno per ora). L’asta di Btp poliennali, 5 e 15 anni, tenutasi ieri è andata bene e ha collocato tutti i 3 miliardi di euro di obbligazioni a medio e lungo termine, nonostante i rendimenti siano in salita e subito dopo il collocamento lo spread tra i nostri titoli di Stato e il Bund si sia allargato di nuovo, tornando in area 300 punti base.
Luci e ombre, insomma. Ma veniamo ai numeri. Gli yields pagati ieri per collocare il nostro debito sono stati i più alti dal giugno 2008, annus horribilis: 4,93% per il quinquennale contro il 3,90% dell’asta di un mese fa mentre il bond a 15 anni ha prezzato al 5,90% contro il 5,34% precedente. Un test fondamentale, quello di ieri, per saggiare l’appetito dei mercati rispetto al nostro debito dopo una settimana tormentata: e il fatto che Pimco, primario fondo obbligazionario Usa, si sia gettato sul nostro mercato all’asta di martedì, essendo short sul debito Usa a causa dell’impasse sull’innalzamento del tetto, fa ben sperare.
A oggi non sappiamo se e quanto la Bce sia intervenuta all’asta (sappiamo che i principali dealers del Tesoro sono state venti banche, italiane e internazionali), visto che solo nel weekend saranno resi noti i numeri del portafoglio azionario di Francoforte, ma il dubbio che una mano forte, sia essa la Banca centrale europea o quella cinese, sia entrata in gioco sono confermati dal fatto che subito prima dell’asta il Btp decennale prezzava un rendimento del 5,99% cento: riuscire quindi a collocare bond a 15 anni al 5,90% è stato decisamente un bel colpo.
Interpellato dalla Reuters, Michael Leister, analista della WestLb a Londra, ha descritto così la situazione: «Come atteso, il Tesoro italiano ha ottenuto buoni risultati sia per i bond a 5 anni che per quelli a 15. Il Btp a scadenza 2016 era quello maggiormente osservato dai mercati, visto che il quinquennale rappresenta l’attuale benchmark e anche alla luce delle sofferenze patite negli ultimi giorni. La domanda è stata solida, lo confermano la richiesta e l’alta copertura registrate. Sul medio periodo, però, il quadro rimane instabile e i mercati continuano ad attendere soluzioni chiare dai regolatori e dalla politica». Lunedì, a manovra approvata, vedremo se questa attesa terminerà e come sarà accolto il blitz del governo italiano.
Tutto bene, insomma? Non esageriamo, passando dal negativismo cosmico all’euforia irrazionale. A farci notare una criticità finora poco sottolineata ci ha pensato ieri Simon Ward della Henderson Global Investors, secondo cui «in Italia si rischia di passare un inverno particolarmente gelido quest’anno. La quantità complessiva nel sistema economico di moneta e di attività finanziarie sta scendendo a un ritmo più alto di quello visto durante la recessione di tre anni fa. È allarme rosso per un’economia già di per sé fragile. La liquidità primaria in Italia è scesa a un ritmo annuale del 7% negli ultimi sei mesi, un’intensità maggiore di quella vista durante la fase preparatoria della crisi del 2008».
Stando ai precedenti e alle proiezioni, una contrazione così netta della massa monetaria e dei depositi overnight di solito porta a un rallentamento dell’economia dai 6 ai 12 mesi dopo. E l’economia italiana è già vulnerabile così com’é, con la produzione industriale calata dello 0,6% in maggio e gli ultimi dati Pmi che mostrano una discesa sotto la linea, che segnala una fase di recessione. Per Ward, «quello che preoccupa di più è che anche i numeri nell’area core dell’eurozona hanno iniziato a deteriorarsi in maniera pesante. Le banche centrali di solito provvedono con una politica di accomodamento monetario, invece in questo caso stupisce che la Banca centrale europea abbia optato per una stretta, alzando ancora i tassi d’interesse». Per l’analista londinese, poi, «l’Italia è afflitta da un trittico di problemi molto gravi, che influiscono sulle dinamiche del debito a lungo termine: innanzitutto un debito pubblico di 1.800 miliardi, pari al 120% del Pil, poi tassi di interesse in continua crescita e la stagnazione economica».
Insomma, è questa debolezza strutturale a renderci vulnerabili e soggetti ad attacchi mordi e fuggi dei mercati nei momenti di maggiore instabilità politica: inoltre, il nostro Paese deve incamerare o dar vita a roll-over su un trilione di euro da qui ai prossimi cinque anni, con un grosso picco atteso proprio per il mese di agosto, ovvero quando gli Stati Uniti rischiano di dover dichiarare il default se entro il 2 del mese prossimo non si troverà un accordo sull’innalzamento del tetto di debito. Per Paul Schofield di Citigroup, «ogni nuovo collocamento sarà superiore, a livello di rendimenti, ai tassi medi. Questa è la vera causa dell’azione distruttiva del mercato».
Avete idea di cosa potrebbe accadere alle aste di agosto se per caso l’America dovesse davvero andare in bancarotta, sospendendo, ad esempio, i pagamenti della previdenza sociale, quelli sul proprio debito emesso e continuando a disinvestire miliardi dai fondi pensione per cercare di tamponare la falla? I rendimenti andrebbero alle stelle perché una nuova crisi globale, ben peggiore di quella del 2008, si sarebbe innescata.
La pensano così al centro studio di Royal Bank of Scotland: «Ci aspettiamo che la crisi sia tutt’altro che terminata, anzi continuerà a deteriorarsi e minaccerà di minare le fondamenta dell’intera eurozona, visto che i regolatori e i governi continuano a fraintendere le dinamiche di mercato. Non stanno mostrando alcun segnale di aderenza alla realtà», scrive nel suo report l’analista Jacques Cailloux. Il quale, si dice convinto che per disinnescare la crisi occorrerebbe aumentare a circa 3,5 trilioni di euro gli stanziamenti vincolati al fondo di salvataggio europeo (Efsf), visto che così facendo le autorità europee avrebbero un margine operativo di circa 2 trilioni di euro: «È una montagna di soldi, ma quello dell’euro è un progetto grande e ambizioso. Dipende tutto dall’appetito della politica: più aspettano, peggio si mettono le cose».
Un fondo di questa dimensione peserebbe per il 27% del Pil dell’eurozona, visto che a oggi il potere di prestito effettivo dell’Efsf è di soli 225 miliardi di euro, metà dei quali sono già stanziati per Grecia, Irlanda e Portogallo. Occorre agire, quindi, e in fretta visto che l’attuale crisi europea ricorda sempre di più quella legata ai tassi di cambio in Asia del 1998, visto che all’interno di un pattern assolutamente identico questa volta il rischio è passato da quello della svalutazione a quello del default obbligazionario: la crisi di fiducia che si sta scatenando sui mercati è identica, dopo anni di condizioni benigne.
Peccato che qualcuno non ci voglia sentire e, dopo aver commissariato il governo italiano senza che nessuno a Roma abbia avuto il coraggio di dire ad Angela Merkel di pensare ai fatti suoi e alla montagna di porcheria che giace nei bilanci di Deutsche Bank, punti al suicidio assistito. La Germania, infatti, terrorizzata dall’ipotesi di un’unione fiscale europea che porti a una condivisione del peso del debito, ha detto chiaramente che non sarà presente al meeting europeo di quest’oggi. Come dire, fate pure, ma senza l’unanimità state solo perdendo tempo e nessuna decisione potrà essere presa.
Quel simpaticone di Wolfgang Schauble, ministro delle Finanze che in quanto a simpatia se la gioca con Kevin Spacey in “Seven”, ha detto chiaramente ai leader europei di non propendere per una risposta «agitata e frenetica» alla crisi: capito, mentre la nave affonda continuate come dei cretini a suonare il violino come sul Titanic, herr Schauble vuole così. Peccato che anche i superprecisini e meritocratici tedeschi abbiano poco da ridere, visto che i dati reali della massa monetaria M1 ci danno una chiara dimensione della vulnerabilità dei paesi: Austria e Belgio hanno subito pesanti contrazioni mentre l’Olanda e Germania sono negative.
La Bce parla, in tal senso, di segnali benigni, poiché rifletterebbero la riduzione di un eccesso di liquidità, eredità precedente alla crisi: sono fatti così a Francoforte, inguaribili ottimisti. Lo è meno Tim Congdon, capo analista alla International Monetary Research, secondo cui «dal 2006 in poi, la Bce ha tollerato pazzi sbandamenti nella massa monetaria M3. Non si sono accorti del collasso nella crescita monetaria nel 2008 e nemmeno della recessione che ne è seguita: ancora una volta, stanno sbagliando tutto». Insomma, come dobbiamo affrontare il fine settimana alle porte dopo l’asta di ieri?
Cautamente ottimisti, anche se ho un dubbio che mi perseguita. Vista la quantità di cds sovrani italiani collocati sul mercato, non vorrei che la parte del leone all’asta di ieri l’abbiano fatta hedge funds interessati a raggranellare un po’ di bond a buon prezzo per coprire i loro short sui cds, almeno temporaneamente. Se così fosse, la mossa avrebbe impattato più i Btp quinquennali che quelli a 15 anni, poiché questi creano un rapido pacchetto di base che i fondi sanno di poter vendere la prossima settimana, visto che i sottoscrittori e i collocatori primari lavorano per supportare il collocamento. Va beh, proviamo a non pensarci e a vedere un po’ rosa fino a lunedì. Buon weekend.