Cartolina dalla Grecia: bombe molotov contro gas lacrimogeni, passamontagna calati sui volti contro tenute antisommossa, sassi contro manganelli. Benvenuti ad Atene, dove il vertice europeo apertosi ieri è stato salutato con 24 ore di sciopero generale, il quarto dall’inizio dell’anno ,e violenti scontri tra manifestanti e polizia. Oramai, una consuetudine. Anzi, no. Ieri un uomo è morto durante gli scontri tra manifestanti e polizia, sembra colpito da un infarto. Aveva 66 e stava manifestando per il suo Paese, per la sua vita, per la sua dignità. Dubito fosse un violento, un black bloc, dubito abbia lanciato molotov o pietre. So, con certezza, che è morto.
Sapete come la penso sulla Grecia e sull’atteggiamento irresponsabile dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni ad Atene, ma alla luce di quanto sta emergendo a livello europeo, comincio a simpatizzare con chi scende in strada e grida il proprio “basta” alla dittatura del rigorismo più cieco a uso e consumo delle banche, uniche, vere beneficiarie delle politiche di Bruxelles e Francoforte.
Nelle conclusioni del vertice Ue che terminerà oggi ci sarà infatti un’indicazione politica sugli sforzi compiuti dalla Grecia per il consolidamento di bilancio e le riforme economiche da parte dei capi di stato e governo europei . Lo hanno indicato fonti Ue. Ciò significa che questo fine settimana non saranno prese decisioni né sulla nuova tranche del prestito (31,5 miliardi), né sulla concessione di maggiore tempo ad Atene per raggiungere gli obiettivi di bilancio. Insomma, stand by totale.
La troika – Fmi, Ue e Bce – avrebbe infatti stabilito, dopo un’analisi minuziosa dei conti della Grecia, che Atene ha bisogno di due anni ulteriori per centrare gli obiettivi di bilancio e ha chiesto la settimana scorsa ai ministri delle Finanze della zona euro di concedere al governo greco i 24 mesi aggiuntivi, stando a quanto rilanciato dal settimanale tedesco Der Spiegel. E in questo contesto andrebbe a inserirsi l’indiscrezione rilanciata dal Financial Times di un accordo tra il governo greco e le banche internazionali creditrici per ulteriori misure contenute in un nuovo pacchetto da 13,8 miliardi di euro di tagli alla spesa e aumento delle imposte.
Yannis Stournaras, il ministro delle Finanze, parlando con il quotidiano della City si è detto speranzoso che il nodo degli altri temi irrisolti, come la legislazione del mercato del lavoro e i tagli del numero di dipendenti pubblici, potrà essere sciolto la prossima settimana quando riprenderanno i colloqui con la troika, atto fondamentale per ottenere il via libera allo sblocco della tranche di aiuti da 31,2 miliardi di euro entro la metà del mese prossimo e scongiurare il prosciugamento totale della liquidità statale, già prefigurato proprio per il mese di novembre. Alla base del nuovo accordo con i creditori, il fatto che secondo Atene le riforme salariali sono già state decise con la legge ad hoc approvata lo scorso anno e che i tagli degli stipendi per lavoratori a basso reddito potranno essere evitati, bypassando in questo modo l’opposizione di sindacati e partiti della sinistra.
Al netto di queste indiscrezioni, restano i numeri. Far slittare alcune riforme strutturali al 2016, concedendo cioè i due anni in più al governo ellenico, costerebbe però 30 miliardi di euro ai creditori della Grecia, un buco finanziario che potrebbe essere sostenuto solo se la Banca centrale europea si accollerà parte delle perdite sul debito greco o se verrà deciso un terzo pacchetto di aiuti. Ed è proprio quest’ultima ipotesi ad aver fatto ringalluzzire i mercati qualche giorno fa, visto che il rendimento del decennale greco è sceso al livello più basso dalla ristrutturazione del debito del marzo scorso, trend seguito dall’altro grande malato d’Europa, il Portogallo. Insomma, comincia a serpeggiare la speranza per gli investitori di vedersi ripagati.
La stessa divisione europea di Citigroup, una delle più bearish in assoluto, ha abbassato dal 90% al 60% le possibilità di uscita della Grecia dall’euro entro la fine del 2013, ritenendolo comunque un evento probabile entro l’anno successivo. Il perché è presto detto: il cambio di atteggiamento dei Paesi dell’Europa core nei confronti del cosiddetto “Grexit”. Per Citi, però, l’incremento della resistenza greca verso l’austerity, i continui fallimenti nel raggiungere gli obiettivi di deficit e lo stallo negoziale potrebbero portare a un blocco del finanziamento attraverso i fondi Efsf/Esm, atto che spingerebbe Atene a lasciare l’eurozona e cominciare a stampare nuova moneta sovrana per colmare i gaps.
Il fatto è che la pressione per la concessione di due anni di tempo in più ad Atene potrebbe implicare che i governi si assumano l’onere di un altro intervento sul debito ellenico, tenendo conto che nel 2014 circa due terzi del debito greco sarà detenuto da istituzioni pubbliche. Una via per ora preclusa, ma che come alternativa avrebbe l’obbligo di perdita sulle proprie detenzioni greche da parte della Bce, la quale – a fronte della continua immissione di debito a breve termine da parte di Atene, lo scorso 15 agosto proprio per ripagare i bond ellenici in pancia all’Eurotower – ha aumentato la disponibilità di intervento della Banca centrale greca presso l’Ela fino a 7 miliardi. Una specie di schema Ponzi, a carico di un Paese dove dalla prossima settimana, formalmente per combattere l’iperstagflazione, si potranno con ogni probabilità – se la legge ad hoc troverà approvazione – vendere nei negozi cibi scaduti fino da un mese. Avete letto bene, non me lo sono inventato: presto la specialità greca non sarà più la mussaka, ma la salmonella!
Di più, la Coca Cola ha abbandonato la Grecia e si è trasferita in Svizzera, quindi disoccupazione in ulteriore aumento a breve e meno introiti fiscali per il governo: evviva! E come reagisce l’Europa che conta a questa situazione? La cancelliera tedesca, Angela Merkel, difende l’idea di affidare al Commissario europeo agli Affari economici il potere di veto sui bilanci nazionali degli Stati membri dell’Ue: «Riteniamo, e lo dico a nome di tutto il governo tedesco – ha detto in un discorso davanti al Bundestag, la Camera bassa del parlamento tedesco, prima di recarsi al vertice Ue – che potremmo fare un passo avanti assegnando all’Europa un vero diritto di ingerenza sui bilanci nazionali». Insomma, l’abbiamo scampata nel 1945, forse capitoleremo al Reich nel 2012.
Secondo la cancelliera tedesca, la quale sproloquia perché sente l’odore acre delle elezioni che si avvicinano, «abbiamo fatto passi avanti positivi sul rafforzamento della disciplina dei conti attraverso il patto fiscale, ma siamo dell’opinione che potremmo fare un ulteriore progresso, dando all’Europa poteri reali d’intervento sui bilanci nazionali». La cancelliera ha spiegato che la proposta avanzata dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, relativa alla creazione di un Commissario per la valuta, rappresenta un’alternativa possibile e che più poteri all’Ue dovrebbero essere accompagnati da un maggior controllo da parte del Parlamento europeo. Insomma, tecnocrati chiamati a vigilare sui panzer che fanno i loro comodi: siamo decisamente a posto, cari lettori.
Ma ecco la parte riguardante Atene. Sulla Grecia, infatti, la Merkel ha ribadito che, nonostante le difficoltà, deve restare nell’euro nell’interesse non solo di Atene ma di tutti i membri della moneta unica e dell’Unione europea, ovvero di Deutsche Bank. Molte cose vanno troppo lentamente e i cambiamenti strutturali in parte vengono realizzati «alla velocità di una lumaca, ma vorrei che la Grecia rimanga nella zona euro». Che bontà d’animo: poi si lamenta se le bombardano la macchina con ogni genere di oggetto quando si presenta ad Atene in visita… Ed ecco la perla. Dalla Germania arriva anche la proposta di creare un fondo di solidarietà per sostenere i paesi europei che hanno bisogno di riforme strutturali per superare la crisi. Oh, finalmente un po’ di spirito realmente europeo, un po’ di solidarietà!
Sapete però come verrebbe finanziato questo fondo, il 3147mo in sede Ue? Con il ricavato della Tobin tax, la tassa prevista sulle transazioni finanziarie! L’unica condizione per accedere a queste risorse sarebbe quella di impegnarsi a chiudere gli accordi delle riforme europee vincolanti per aumentare la competitività. Insomma, vincoli ulteriori a fronte di briciole, visto che il mercato finanziario più grande dell’Ue, Londra, ha già detto che di Tobin Tax non se ne parla nemmeno e quindi, se gli altri paesi vorranno proseguire con questa idiozia, riusciranno a racimolare sì e no i soldi necessari per andare in pizzeria (in compenso contribuiranno alla sottocapitalizzazione delle Borse, vista la quasi certa fuga di investitori verso piazze non tassate). Follia, una dopo l’altra, senza soluzione di continuità.
Il problema è che questa gente ormai ci governa più di quanto non facciano i vari esecutivi nazionali. E come lo fa? Scrivendosi le regole a proprio piacimento! Vi ricordate il piano per un unico supervisore bancario nell’Ue, ovvero la possibilità per la Bce di guardare davvero dentro i bilanci delle banche, anche quelle che, come Deutsche Bank, tengono off-balance l’esposizione ai derivati (d’altronde lo Stato tedesco non calcola nella ratio debito/Pil il corrispettivo della nostra Cassa depositi e prestiti, quindi cosa vi aspettate)? Guarda caso, è illegale! Lo avrebbe stabilito, stando a quanto riportava ieri il Financial Times, un team di giuristi chiamati a pronunciarsi sulla liceità del progetto: a detta dei tecnici. E i Trattati si possono cambiare? Nein, nessuno metterà il naso dentro Deutsche Bank, nemmeno la Bce di quel maledetto italiano di Draghi!
Peccato che il fondo Esm, quello che dovrebbe fungere da backstop europeo per placare i mercati e aiutare i Paesi in difficoltà, per funzionare come tale – ovvero come un meccanismo stile Collaterilized Debt Obligation per la ricapitalizzazione bancaria – ha ontologicamente bisogno di un regime di supervisione bancaria per funzionare. Ma si sa, l’importante è vendere ai mercati la notizia, mica mettere in pratica davvero ciò che si è deciso!
In compenso, si brinda per il crollo degli spread di Btp e Bonos rispetto al Bund, segnale che le cose in Italia e Spagna si stanno mettendo meglio. Proprio sicuri? Come si vede dal grafico, ad agosto le sofferenze bancarie spagnole sono salite a 178,6 miliardi di euro, il 10,5% del totale dei 1.698,7 in prestiti erogati! Inoltre, continua anche la fuga di capitali all’estero, testimoniata dall’ulteriore calo dei depositi.
E in Italia? L’Abi ieri ha certificato che le sofferenze bancarie sono a quota 116 miliardi di euro, su del 15,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Proprio sicuri che le cose stiano migliorando o l’ossessione dello spread, forse, era solo un falso problema alimentato dalle speculazioni di Deutsche Bank e della Bundesbank per garantire a Berlino di prendere tempo e dettare la linea? Io, da ieri, sono come Kennedy rispetto ai berlinesi: sono un greco.