Mah, comincio a pensare che siamo davvero in mano, nella migliore delle ipotesi, a degli incompetenti, nella peggiore ma non più peregrina, a dei criminali. Al netto delle sempre più deliranti e incontrollate voci riguardo un’ulteriore dilazione dei tempi per la Grecia, affinché metta a posto i propri conti, ecco la realtà in cui versa Atene: la ratio debito/Pil raggiungerà il 189,1% l’anno prossimo, rispetto al 179% previsto. Il deficit di budget sarà del 5,2% e non del 4,2% preventivato. L’economia si contrarrà di un bel 4,5% e non del 3,8% come previsto. Il tasso di disoccupazione è già oggi del 25,1%, mentre quello giovanile viaggia al livello stellare del 55,6%.
E cosa aveva preventivato, invece, l’ineffabile troika, quella che sta negoziando per conto di organismi internazionali e creditori privati? Che l’economia si sarebbe contratta del 2,6% nel 2010, salvo poi salire di un altro 1,1% nel 2011 e di un ulteriore 2,1% quest’anno. E come è andata, invece? Nel 2010 si è registrato un bel -4,5%, nel 2011 un bel -6,9%, quest’anno del 6,5% mentre l’anno prossimo, come anticipato, del 4,5%: errori da poco, non vi pare, da parte di supertecnici? Un ragioniere di Parabiago avrebbe certamente fatto di meglio. Ma si sa, poverini, anche i tecnici sono uomini.
Almeno questa è stata la giustificazione addotta dall’ex vice-presidente del Fmi, John Lipsky, a un forum organizzato da Hsbc a Londra all’inizio di ottobre: «Per il Fondo è impossibile fare previsioni accurate, vista le circostanze folli che regnano in Grecia». Impagabile, è pronto per lui un ruolo nel cast de “I Cesaroni”. Non scambiate le mie critiche per una mancanza di rispetto verso un’organizzazione di livello come il Fmi, è solo la constatazione dei fatti: il Greek labour institure e il think tank Iove, sicuramente meno autorevoli agli occhi di molti salotti e consorterie, ci avevano invece preso in pieno nelle loro previsioni, nonostante le circostanze folli che regnano in Grecia. Insomma, sulla Grecia il Fmi ha toppato clamorosamente, in pieno.
Il problema è che non lo ammetterà mai, continuerà a chiedere austerity su austerity in base a calcoli completamente sbagliati, darà la colpa ai greci, ai loro governanti, all’uragano Sandy, alle profezie Maya ma non vedremo mai l’elegantissima madame Lagarde piazzarsi in favore di telecamera e ammettere candidamente, «Scusate, abbiamo sbagliato». Perché i tecnici non sbagliano, è la realtà che si sbaglia quando non collima con le loro ardite previsioni. Punto. Invece la verità è un’altra, ovvero che la Grecia sprofonderà in una spirale che si autoalimenta se non correrà ai ripari con una rapidissima ristrutturazione ulteriore del debito e una svalutazione.
Certo, a Washington questi due concetti scatenano reazioni allergiche, ma la strada è segnata: se si continuerà a negare questa via d’uscita facendo scudo con l’intoccabilità del progetto europeo, euro in prima istanza, si trasformerà la Grecia in una sorta di laboratorio per la sperimentazione su come si distrugge una nazione. Tanto, andando avanti con negazioni su negazioni, si arriverà al default, con somma gioia di fondi pensione, società assicurative e creditori privati. Gli stessi che, grazie proprio all’agenda ritardataria di Fmi – anche con la gestione Strauss-Kahn, per onestà intellettuale – e Germania, hanno ottenuto tempo per tamponare le perdite e creare cuscinetti di sicurezza dalle loro detenzioni di debito greco: insomma, vogliono vincere facili due volte sulla pelle dei greci.
Thomas Wieser, capo del gruppo di lavoro dell’Ue che si occupa del caso greco, l’altro giorno ha smentito le voci apparse sulla stampa riguardo ulteriori ristrutturazioni del debito o haircuts ufficiali, bollandole come «pura fantasia». Materia, quest’ultima, di cui le istituzioni europee non sono certo avare. Meglio dircelo chiaro amici miei: o si arriva a un altro haircut sulle detenzioni di debito greco di Germania, Olanda, Finlandia e Austria oppure sarà spianata la strada del default disordinato, il tutto per mere ragioni politiche ed elettoralistiche di quegli stessi paesi del cosiddetto “blocco Nord”. È scritto nei numeri: come può la Grecia sopportare una ratio debito/Pil del 190% senza dover ricorrere a una ristrutturazione?
Il problema è che Angela Merkel, negli ultimi due anni, ha ripetuto come una cantilena ai suoi elettori-connazionali che non avrebbero corso nessun rischio di perdite per le “malefatte” dei cosiddetti Piigs e ora, proprio alla vigilia del voto atteso per l’anno prossimo, dovrà o dire il contrario o rendersi responsabile del fallimento disordinato della Grecia e di un vero e proprio shock nel sistema finanziario.
C’è spazio temporale per la Merkel affinché rimandi il redde rationem sul caso greco fino a dopo il voto tedesco? Penso di no, visto che al netto del trionfale annuncio da parte del governo Samaras sul raggiungimento di un accordo con la troika per dilazionare i tempi fino al 2016, uno dei partiti di sinistra che fa parte della coalizione di governo – senza il quale non esiste più maggioranza – ha già detto che voterà “no” a ulteriori tagli. Insomma, il tempo questa volta sembra che stia scadendo davvero. Tanto più che, alla vigilia del primo anniversario dell’asta Ltro della Bce che inondò di liquidità il sistema bancario dell’eurozona, la stessa Banca centrale europea ha dovuto ammettere che la richiesta di prestiti presso la sua “Marginal lending facility”, la vera opzione di finanziamento di ultima istanza visto il tasso applicato dell’1,50%, il 31 di ottobre è semplicemente esplosa, spedendo la linea di credito a 7,8 miliardi di euro, il massimo da metà marzo e con un picco overnight di 7 miliardi.
Quale diabolica – d’altronde era il giorno di Halloween – scadenza attendeva o attende a breve le banche europee, visto che le loro esigenze di liquidità non sono solitamente inquadrate in scadenze di fine mese o fine trimestre? Quale disastro è dovuta intervenire per tamponare la Bce questa volta? La risposta, temo, la avremo a breve. E non saranno buone notizie. Una cosa è quasi certa: la Grecia ne farà parte.