Visto che con sempre maggiore possibilità ci attende un futuro tedesco, diamo una bella occhiata a ciò che sta sotto la crosta di austerità e prosperità della Germania. Nel silenzio generale dei media e delle truppe cammellate montiane (bravissime a citare la stampa estera solo quando conviene loro), il 17 settembre scorso il ministero del Lavoro tedesco inviò a tutti gli altri dicasteri una copia del report “On poverty and wealth” (“Su povertà e ricchezza”), ma una copia draft, ovvero una bozza: ciò che è stato reso pubblico è stato il frutto del “vaglio” dei vari ministeri e della Cancelliera.
Peccato che quando si cerca di tenere segreta una cosa, si scatenano gli appetiti dei giornalisti con la schiena dritta e qualcuno ha ottenuto copia di quel draft, 535 pagine fitte di dati e grafici in versione pdf. E cosa diceva? Ad esempio, che nel 1998, il 50% più povero dei tedeschi deteneva il 4% della ricchezza totale, mentre il 10% più benestante il 45%. Bene, dal 2008 in poi, il 50% di cittadini meno abbienti detiene l’1% della ricchezza totale, mentre il 10% più ricco ne detiene il 53%, un +8% grazie all’erosione ai danni del 40% di ceto medio. Il tasso di povertà in Germania, stando a dati dell’Agenzia nazionale di statistica, è in continua e regolare ascesa: era al 15,5% nel 2008, è salito al 15,6% nel 2009, mentre nel 2010 è salito al 19,7% e quest’anno si attesta al 19,9%.
Particolarmente colpite dalla crisi le persone sotto i 65 anni che vivono da sole, visto che il tasso di povertà tra questa fascia è addirittura del 36,1%, mentre tra i genitori single si viaggia al 37,1% (si guardi il grafico a fondo pagina).
Sempre in base ai dati forniti dall’Agenzia, in Germania il livello di povertà è più alto che nella Repubblica Ceca, visto che il numero di chi si può definire socialmente povero è a quota 16 milioni di persone! Certo, i calcoli hanno qualche pecca, visto che un’area di povertà è quella tra i 18 e i 25 anni, conteggiando i bassi salari degli studenti che hanno anche un lavoro nel calderone generale, ma resta comunque un qualcosa di poco piacevole, visto che tutti ammettono che la categoria degli studenti spesso si trova costretta ad affrontare debiti molto alti per pagarsi l’istruzione.
A tratteggiare meglio la situazione ci ha pensato Ulrich Schneider, general manager della German Association of Social Movements: «Non è certo un lusso comprare un gelato a un bambino una volta alla settimana durante l’estate, ma spesso questo è un qualcosa che i beneficiari dei sussidi della Hartz IV non possono permettersi. E c’è di peggio, perché la povertà non porta con sé solo assenza di possibilità di acquisto ma anche esclusione sociale, visto che spessissimo i figli di famiglie sotto sussidio non partecipano alle attività extra-curriculari come gite o spettacoli teatrali, con i genitori che per non ammettere l’indigenza dicono che il figlio è malato o ci sono i nonni in visita». E non pensiate che sia andato a cercare dati e testimonianze in pericolosi covi di sovversivi e tra ex membri della Raf: a confermare il disastro, anche pensionistico, della Germania ci ha pensato anche il teutonicissimo Der Spiegel.
Addirittura, stando al “Poverty report” pubblicato dalla municipalità di Monaco di Baviera, scopriamo che nella ricca città del Sud un quinto dei cittadini vive in stato di totale povertà. Non male, eh? E pensate che la stessa Suddeutsche Zeitung ha confermato che nella versione ufficiale e censurata del report è sparita la frase iniziale dell’introduzione: «La ricchezza privata in Germania è distribuita in maniera molto diseguale». Ma non solo. Nella versione originale, quella redatta dal ministero del Lavoro, si leggeva quanto segue: «Mentre i salari sono cresciuti nella aree più ricche negli ultimi dieci anni, i salari più bassi, aggiustati al tasso di inflazione, sono crollati. Il differenziale salariale è cresciuto e questo potrebbe toccare il senso di giustizia della gente e mettere a rischio la coesione sociale». Sapete come è stata cambiata la frase nella versione “ufficiale”? «Il calo del valore reale dei salari è un’espressione di miglioramenti strutturali nel mercato del lavoro e della creazione di molti posti di lavoro a basso salario per molti disoccupati».
E ancora. Parlando delle basse paghe orarie per persone che vivono sole e lavorano a tempo pieno, il report originale parlava di «incremento del rischio di povertà e indebolimento della coesione sociale», commento ora cancellato e sostituito da un più mite «la questione dei bassi salari deve essere osservata criticamente». E ancora, magicamente dal report “cucinato” è sparita la seguente frase: «Nel 2010, oltre quattro milioni di persone in Germania hanno lavorato per meno di 7 euro l’ora». Certo, il dibattito qui non è giunto ma la Dgb, la Confederazione sindacale tedesca che rappresenta oltre 6 milioni di lavoratori, ha denunciato chiaramente il fatto che «il governo federale ha manipolato e imbellettato il report, cancellando o cambiando dati cruciali». Per tutta risposta, il portavoce del ministero del Lavoro ha dichiarato che «sì, ci sono state richieste di cambiare alcune cose, ma tutti i report del governo federale devono essere coordinati tra i vari ministeri e la Cancelleria. È un processo del tutto normale».
Capito, neo-montiani, nel vostro futuro Paese di riferimento è del tutto normale che il Governo trucchi o modifichi i dati su povertà e disoccupazione nei report ufficiali. D’altronde, si tratta dello stesso Paese che da sedici anni “dimentica” anche di inserire nel proprio debito pubblico le passività della Kfw, la versione tedesca della nostra Cassa depositi e prestiti, detenuta per l’80% dallo Stato e per il restante 20% dai Lander. Un alleggerimento dei conti da 428 miliardi di euro, utilizzati dalla Repubblica federale per garantire i mutui degli enti locali e delle piccole e medie imprese. Avendo il sigillo dello Stato, poi, il debito del “Kreditanstalt fur Wiederaufbau” gode dello stesso rating del Bund e può essere piazzato a un interesse bassissimo. Ma a differenza del Bund, chissà perché, non viene conteggiato nel debito complessivo del Paese: se così fosse, il rapporto del debito pubblico sul Pil tedesco balzerebbe dall’80,7% a oltre il 97%.
E non solo. Prima parlavamo dei tanti lavori a basso reddito creati per dare un lavoro ai disoccupati che per il Governo giustificherebbero il crollo del potere d’acquisto dei salari, altro “miracolo” tedesco col trucco. Eh già, visto che il crollo della disoccupazione dal 2008 a oggi sbandierato dalla Merkel (dai 5,1 milioni agli attuali 2,8 milioni), frutto per la propaganda filo-tedesca della moderazione salariale figlia della riforma Hartz, è niente più e niente meno che una bufala. Facciamo un passo indietro. Prima della riforma Hartz, i disoccupati che durante il lavoro avevano versato i contributi, avevano diritto a una “allocazione” (Arbeitsengeld o AG1) che durava due o, in certi casi, 3 anni. Dopo la Hartz, il sussidio AG1 dura un anno soltanto.
Prima, i disoccupati di lunga durata che avevano esaurito il diritto al primo sussidio AG1, prendevano un AG2, molto più modesto. Esisteva anche un “aiuto sociale” (Sozialhilfe) per le persone ancora più lontane dal mondo del lavoro. Oggi, AG2 e Sozialhilfe sono fusi in uno e distribuiti attraverso centri di lavoro speciali: presso questi centri di lavoro ogni disoccupato deve fare “passi positivi” presentandosi due volte al mese e accettare un impiego qualunque, quasi sempre pagati meno di 400 euro al mese per 15 ore settimanali circa, sotto pena di perdere i sussidi. Insomma, non si è fato altro che far sparire i disoccupati dalle statistiche ufficiali, allocandoli nella categoria dei lavoratori a basso salario che, come abbiamo visto prima, viene bellamente modificata e truccata alla bisogna. Certo, per questi cosiddetti “mini-jobs” e mini-salari, lo Stato non esige il versamento dei contributi previdenziali e sanitari, garantendo da un lato un boom di assunzione ma dall’altro la sgradevole altra faccia della medaglia in base alla quale, non contribuendo questi lavoratori alla previdenza, non godono né di pensione, né di assicurazione sanitaria.
Il problema è che la logica è quella del “o mangi questa minestra, o salti dalla finestra”: se non accetti i mini-jobs, infatti, perdi i sussidi. Non a caso – e questa è un’altra bella cartina di tornasole di cosa sia realmente la società tedesca – i mini-job sono molto diffusi tra i pensionati: sono oltre 660mila quelli che integrano la pensione in questo modo, stante la riforma previdenziale tedesca che ha portato l’età pensionabile da 65 ai 67 anni, spalancando le porte ai mini-jobs. Se infatti il numero dei beneficiari del sistema Hartz è ufficialmente calato del 9,5% tra il 2006 e il 2009, fra i tedeschi con più di 55 anni il numero dei beneficiari è cresciuto del 17,7%. È questo il modello di società cui aspirate? Se sì, tenetevi Mario Monti e questo “miracolo” teutonico verrà presto importato anche da noi.
P.S.: Tanto per stare in tema, ieri tutti i media ci hanno venduto come un enorme successo dell’Ue il fatto che all’Ecofin si sia giunti a un accordo sulla supervisione bancaria della Bce, a partire dal 2014, per gli istituti con asset oltre i 30 miliardi di euro. Bel successo, visto che tra le principali untrici di contagio ci sono proprio le Landesbanken tedesche, le quali non subiranno controlli da Francoforte. E tanto per mettere una bella pietra tombale sull’ennesima farsa europea e per far capire subito chi ha vinto la battaglia, ecco le parole del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, subito dopo il raggiungimento dell’accordo: «Il Consiglio della Bce non avrà comunque l’ultima parola sulla regolamentazione bancaria». Applausi.