Scusate, avete notizie della Spagna? Dopo settimane in cui il destino di Madrid sembrava l’unica notizia in grado di indirizzare i mercati, eccoci tutti alle prese con la psicosi da “fiscal cliff” e le beghe interne della politica italiana, dimentichi dei destini iberici. Che tutto si sia risolto, grazie alle lacrime e sangue imposte dal governo Rajoy? In effetti, qualche risultato c’è stato. Dati Ocse freschi freschi ci dicono che il gap per costo di unità del lavoro tra Spagna e Germania si è ristretto al 5,5% nel solo anno passato, mentre verso la Francia siamo al 4,6% e verso l’Austria al 6,6%: insomma, tagli draconiani ai salari e cosiddetta “svalutazione interna” starebbero funzionando.
Per Luis Maria Linde, governatore della Banca di Spagna, entro due anni Madrid avrà recuperato quasi tutto il terreno perso nei primi, disastrosi anni di adesione all’euro: dal 2008 a oggi, Madrid si è già ripresa un 10% in competitività verso l’eurozona. Insomma, tutto bene? Bisognerebbe chiederlo a quel 26,5% di popolazione, che nel caso degli under 25 sale al 55,9%, rimasta senza lavoro a causa della deflazione, frutto di queste politiche. E non si tratta solo del loro giudizio, ma del danno che questa situazione creerà per l’economia del Paese. «Ormai il tasso di disoccupazione spagnolo sta diventando un costo insostenibile. Se si mette un’intera generazione fuori dal mondo del lavoro, danneggi il tuo trend di crescita per un periodo molto prolungato», ha dichiarato Marchel Alexandrovich della Jefferies Fixed Income, secondo cui «ci saranno altre e altre ancora richieste per drastiche soluzioni e alla fine la gente comincerà a chiedersi se davvero l’euro è la moneta giusta per la Spagna».
Per il professor Charles Wyplosz dell’Università di Ginevra, questa strategia imposta da Bruxelles e dalla Germania è mal guidata: «C’è una pervasiva visione in base alla quale la causa delle crisi sia la mancanza di competitività nell’area sud dell’euro, ma questi sbilanciamenti, in realtà, sono solo sintomi. Il problema reale della Spagna è stata la bolla immobiliare, ma agendo in maniera così brutale si sta soltanto sostanziando una perdita di denaro e di talento delle gente. Le politiche contrazionarie in Europa stanno soltanto rendendo il problema più grave, servirebbe un miracolo ma in realtà io penso che la recessione proseguirà per tutto il 2013 e 2014 e chissà per quanto altro tempo».
E l’austerity spagnola è stata davvero tale, visto che si è cominciato con un 5% di taglio dei salari nel pubblico impiego nel 2010 e si è arrivati lo scorso luglio alla sospensione totale della quattordicesima, pari a un altro 7,1% di taglio salariale. Insomma, la ricetta pare davvero quella sbagliata. E non solo per la Spagna, almeno stando all’opinione di Raoul Ruparel del think tank Open Europe, a detta del quale «la situazione dell’Italia è orribile. Stanno andando nella direzione inversa rispetto a qualsiasi altro soggetto, basti vedere le dinamiche del costo del lavoro in continua crescita nonostante la recessione. Mario Monti non ha mai fatto reali progressi nella riforma del lavoro».
Tornando a Madrid, la troviamo al 44mo posto della classifica della Banca Mondiale rispetto alla facilità di fare business, al 136mo per quanto riguarda la semplicità nell’aprire un’impresa, al 100mo come protezione degli investitori, al 70mo per quanto riguarda l’ottenimento di forniture di elettricità e al 64mo per quanto riguarda il rafforzamento dei contratti. Certo, qualche nota positiva c’è: ad esempio, l’export è cresciuto un pochino grazie ai prodotti extra-tecnologici che arrivano dall’hub industriale di Paesi Baschi e Navarra e anche le spedizioni via mare sono cresciute del 27% dal 2009 a oggi. Di più, il deficit di conto corrente si è ristretto dal 10% al 2% del Pil quest’anno e potrebbe raggiungere il pareggio nel 2013, ma il timore di molti è che il risultato sia dovuto solo al crollo dei consumi interni, scesi del 18% dai massimi. Se così fosse, un volta ripartita la crescita, il deficit risalirebbe automaticamente.
Inoltre, Standard&Poor’s lo scorso mese ha messo in guardia Madrid, ricordando che il settore dell’export iberico è troppo piccolo per salvare la baracca da solo e non potrà fungere da scudo contro nuovi downgrade, visto che pesa solo per il 30% del Pil e non può innescare da solo la crescita in tempi di contrazione degli investimenti e della domanda interna. Ma Jacques Cailloux di Nomura mette il dito in una piaga poco sottolineata: ovvero, il fatto che «l’argomento del costo per un’unità di lavoro è stato usato in maniera sbagliata e fuorviante nella crisi dell’eurozona, creando più nebbia che luce. I maggiori tagli sono stati fatti nei salari pubblici, con pochissimi interventi nel cosiddetto “tradable sector”, il quale incide e pesa maggiormente. Insomma, siamo in questa crisi da cinque anni e le banche spagnole hanno cominciato solo ora a far dimagrire i loro bilanci con il deleverage, ma i costi di finanziamento per le imprese sono rimasti terribili, nonostante 300 punti base di spread in mano garantiti dall’intervento della Bce. Questo dimostra che il meccanismo di trasmissione è ancora rotto».
E marcio, anche, visto che a fronte dei 40 miliardi già stanziati dall’Ue per le banche spagnole, da ieri sappiamo che Bankia cancellerà di fatto 350mila azionisti, molti dei quali piccoli risparmiatori con scarsissima conoscenza dei mercati finanziari, visto che è emerso come abbia un valore negativo di 4,2 miliardi di euro! Insomma, per salvarsi Bankia, che ha ricevuto venerdì scorso 18 miliardi europei, nella prima metà di gennaio lancerà un aumento di capitale che di fatto farà perdere l’intero investimento a migliaia e migliaia di azionisti, impossibilitati a sottoscrivere nuovi titoli stante la crisi. Già, perché in base al piano degli eurocrati per rilanciare il settore bancario, gli azionisti sono i primi nella fila nel soffrire per le perdite, come accaduto con quelli di Anglo Irish Bank, rimasti con in mano nulla.
Una fonte interna, sotto condizione di anonimato, ha risposto così rispetto al destino che spetterà agli azionisti di Bankia: «Li lasceremo con qualcosa? Certo, ma è presto per dire quanto, sicuramente molto poco. Direi qualcosa di simbolico». Oggi sono gli azionisti di Bankia a essere rovinati, domani potrebbero essere i detentori di bonds sovrani spagnoli. Poi non si lamentino se vanno a prenderli con i forconi, a Madrid come a Bruxelles o Francoforte. Conclude Cailloux: «Chiamiamola come vogliamo, recessione o depressione, ma non sperate in miglioramenti prima della fine del 2014. Con queste politiche completamente inadeguate, non c’è possibilità di ripresa anticipata». Già, le autorità europee – tecnocrati senza volto e senza mandato – continuano a cercare il Sacro Graal della deflazione salariale, quasi questo totem assurdo fosse la chiave di tutto.
Quattro anni di peggioramento della situazione non vi paiono un tempo sufficiente per capire che stanno sbagliando? Nel vostro e nostro piccolo, possiamo cercare di farglielo notare i prossimi 24 e 25 febbraio.