Ma come, la Grecia non doveva essere salva? Come mai, allora, Fitch ha tagliato il rating ellenico a C da CCC, ovvero il livello che anticipa un default a brevissimo termine? Il downgrade – scrive l’agenzia di rating in una nota – fa seguito «al piano dell’Eurogruppo sul secondo salvataggio della Grecia che include il coinvolgimento del settore privato». Ma come? L’Eurogruppo salva la Grecia e Fitch declassa Atene proprio perché l’Eurogruppo l’ha salvata? No, cari lettori, Fitch declassa perché l’Eurogruppo ha salvato i coupon dei bonds a scadenza detenuti dalle banche europee, non la Grecia.



Il taglio del rating – spiega ancora Fitch – è in linea con quanto già comunicato nel giugno 2011 riguardo al piano di ristrutturazione del debito greco che prevede il coinvolgimento dei creditori privati (Psi): «Fitch ritiene che lo scambio del debito, se completato, costituirebbe un “Distressed Debt Exchange” e di conseguenza ha abbassato il rating di Atene a C, un livello che indica un aumento delle probabilità di default nel breve termine». Fitch ribadisce, infatti, che lo scambio del debito, per quanto su base volontaria, è «de facto coercitivo». Insomma, per Fitch lo swap sul debito greco è di fatto un evento di credito, quindi un qualcosa che autorizza l’attivazione delle clausole dei credit default swaps. Sarà per questo che ieri il bond greco a un anno ha toccato la ridicola vetta del 763% di rendimento? Cosa significa questo: che il mercato sta già prezzando un secondo default greco entro un anno e che l’ulteriore abbassamento del cash coupon sui nuovi bond greci, dal 3,6% al 2%, non piace proprio per nulla.



Ma c’è di più. Il mitico bond a scadenza 20 marzo, quello che avrebbe dovuto scatenare la bancarotta greca, sta crollando a livello di prezzo: in una sola settimana siamo passati da circa 42/100 a 31/100, un bel 25% in meno. Sintomo, questo, del fatto che il mercato sta prezzando due ipotesi. La prima è che, a quella data, la Grecia non restituisca proprio nulla. La seconda è che Atene violi gli accordi presi e lo inserisca nella ristrutturazione del debito, quindi trasformando quell’obbligazione in scadenza in un bond 2042 con rendimento tra il 2% e il 4,2% e con capitale in area 50/100. Aspettiamo e avremo risposte: se infatti scenderà ancora, magari sotto quota 25/100, che è quella del valore teorico, allora ci sarà da piangere. Attività, quest’ultima, che vede molto impegnati tutti coloro i quali, fiduciosi nell’Eurogruppo, si erano lanciati in acquisti sul comparto bancario greco: da lunedì la perdita in quel settore è stata di oltre il 35%.



Eh già, la Grecia è davvero salva. O, almeno, così dovrebbe essere. Non ne è parso particolarmente convinto, però, Charles Dallera, capo dell’Iif, i creditori privati di Atene, quelli che tra l’8 e l’11 marzo dovranno dar vita allo swap con haircut al 53,5% e perdita nominale del 75%. Martedì sera era ospite di Jeremy Paxman nella trasmissione della Bbc “Newsnight” (nel corso della quale è andato in onda anche il mini-documentario di Nick Dunbar sui magheggi di Goldman Sachs con i bilanci greci, potete vederlo a questo indirizzo: http://bbc.in/Ai1avD) e non ha escluso che la gran faticata di lunedì notte sia stata totalmente inutile.

Interpellato sulla sua possibilità di fermare un hedge fund o un’altra entità volenterosa di far scattare le clausole sui cds, Dallara ha candidamente e giustamente risposto che «non c’è nulla che si possa fare per fermare qualcuno, se intende compiere un’azione tale. Hanno il diritto legale, morale e la giustificazione dei mercati per farlo… Non escludo la possibilità che l’intero accordo possa essere preso in ostaggio, se troppe persone sceglieranno quella strada. A quel punto, il sistema crollerà, non avremo una felice conclusione dell’accordo e dove andremo?». Già, dove andremo? Ah già, che stupido, in default! E, cari lettori, l’ipotesi che siano i creditori privati a far saltare il banco da qui al 20 marzo è tutt’altro che peregrina, ancorché non certa.

Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che la Grecia abbia abbassato la soglia di partecipazione volontaria allo swap necessaria per attivare retroattivamente le clausole di class action collettiva (che permettono lo swap anche dei bond detenuti da chi non intende accettare lo scambio, evitando l’attivazione delle clausole dei cds per la coercizione) dal 95% di cui si è parlato all’Eurogruppo al 66%. Lo ha confermato al Wall Street Journal un alto funzionario del ministero delle Finanze ellenico: quindi, bastano i due terzi del totale. Non ci stupirebbe che da qui alla prossima settimana quella percentuale si abbassasse ulteriormente al minimo sindacale del 51%, ma non è questo il punto: ciò che temono i mercati e che spiega le dinamiche prima elencate su prezzi e rendimenti dei bonds greci, è che Atene voglia abrogare anche i diritti contrattuali delle sue obbligazioni denominate sotto legislazione britannica, quelle con tutela totale del detentore, trasformandole in obbligazioni greche locali. Infatti, se non farà così, o Atene pagherà alla pari tutti i bonds Uk-law o i detentori faranno saltare il banco dell’accordo di lunedì di fronte a un tribunale di Londra.

Torniamo un attimo ai calcoli fatti nell’articolo di mercoledì. Lo swap con i creditori privati prevede ora un taglio del 53,5% dei rimborsi, ma i restanti 100 miliardi di crediti verranno ristrutturati per il 70% con nuovi titoli di Stato greci con scadenze a lungo termine e per il 30% via cash. In pratica, sarà il fondo Efsf a rimborsare 30 miliardi di euro in contanti ai creditori privati (il cosiddetto “sweetener”), proprio con una quota dei 130 miliardi di euro di aiuti internazionali che attendevano ieri l’approvazione da parte dell’Eurogruppo, nei fatti quindi già scesi a 100: il programma Psi (Private sector involvement) di swap, infatti, impone anche dei costi a carico dell’eurosistema. A cui si aggiungono poi quelli per la Grecia, da scontare dal totale degli aiuti del secondo piano: 35 miliardi di fondi per il buyback dei bonds dall’eurosistema, 5,7 miliardi di fondi per pagare gli interessi e 50 miliardi in ricapitalizzazioni bancarie. Un totale di 120,7 miliardi da scontare dai 130 miliardi totali di secondo piano d’aiuti.

Quindi, al netto delle spese già da scontare, basteranno alla Grecia 9,3 miliardi per finanziarsi e rimettersi in piedi nei prossimi tre anni? No, anche perché, per quanto ridotto, l’ammontare dei bonds sotto legislazione britannica è compreso tra i 25 e i 40 miliardi di euro e sono divisi in due categorie: quelli emessi prima del 2004 contengono clausole di class action collettiva che permettono a chi detiene il 66% o più dell’emissione di modificare i termini di pagamento in modo tale da obbligare anche i rimanenti 34% o meno (guarda caso, il 66 per cento%…) e quelli emessi dopo il 2004, che invece richiedono un percentuale del 75% per far scattare l’obbligo. Peccato che se per caso un cartello di hedge funds avesse già dato vita a una partecipazione bloccata nei bonds a legislazione britannica, la legge greca non può fare proprio nulla. O paga o fa scattare i cds.

Se, quindi, Atene proseguirà nella sua scelta di abbassare al 66% il limite per le clausole di class action, vorrà dire che verrà meno alle garanzie che i bond da lei emessi sotto legislazione britannica fornivano agli investitori, tramutandoli in bonds “locali”: questo significherebbe far esplodere il mercato obbligazionario sovrano, visto che porterebbe il concetto di subordinazione a livelli mai conosciuti. Atene non può permetterselo e tantomeno l’Ue e la Bce: quindi, che la Grecia paghi alla pari i bond sotto legislazione britannica e finiamola qui. Bravi e con quali soldi, visto che l’esborso per Atene sarebbe tra i 20 e i 35 miliardi di euro, a fronte di 9,3 miliardi rimasti in cassa al netto di tutte le spese decurtate dai 130 miliardi di salvataggio?

Ecco spiegati, quindi, gli ulteriori 50 miliardi di aiuti che venivano già contemplati nelle bozze preparatorie all’Eurogruppo stilate dai funzionari dell’Ue (la quale, però, si è ben guardata dal renderlo noto all’opinione pubblica). Insomma, ancora una volta i mercati rischiano di mostrare al mondo quanto il Re greco sia nudo, esattamente come quello dell’Ue: va bene truccare i bilanci, va bene evadere le tasse e campare di corruzione e nero, ma almeno conoscere la legislazione che regola il mercato dei bond che si emettono dovrebbe essere necessario, benedetti greci… Tra parentesi, guardate la tabella qui sotto, elaborata in questi giorni da Credit Suisse: ci presenta il grado di esposizione del sistema bancario dei vari paesi europeo verso i cosiddetti Piigs rispetto al Core Tier 1.

 

Bene, sembra proprio che l’asta Ltro della Bce abbia ottenuto come risultato quello di incrementare le interconnessioni pericolose tra le banche a livello di detenzione obbligazionaria, con gli istituti italiani e spagnoli che sembrano entrati all-in nell’ultimo azzardo made in Francoforte (dare un po’ di soldi a cittadini e imprese, al netto delle scadenze obbligazionarie, no, eh?). Inoltre, questa tabella graficizza alla perfezione quanto vi dico da due giorni: l’80% dei 130 miliardi di nuovi aiuti alla Grecia, finirà diretto nei caveau delle banche europee e da lì nei depositi overnight della Bce. Anche perché, al netto delle svendite da disperazione degli ultimi mesi, come potete vedere le banche di Francia e Germania, in termini di Core Tier 1, restano pesantemente esposte ai periferici.

E ieri, con la pubblicazione dei dati di chiusura d’esercizio del 2011 di molte banche e assicurazioni, sono arrivate le conferme. Pesante, con utili netti dimezzati a 638 milioni di euro, il prezzo pagato da Commerzbank, la seconda banca tedesca, alla crisi greca a causa della gran quantità di titoli della repubblica ellenica in portafoglio. L’istituto di Francoforte ha anche annunciato misure per aumentare il suo capitale di oltre 1 miliardo di euro, mentre la Borsa ha accolto male i risultati, peggiori del previsto, facendo affondare del 9,6% le azioni nelle prime contrattazioni a 1,87 euro. Male anche i conti di Allianz, con l’utile netto del gruppo assicurativo tedesco che si attesta a 2,54 miliardi, con una contrazione del 49,6% rispetto all’esercizio precedente. A pesare, nemmeno a dirlo, le svalutazioni sugli asset della Grecia che hanno comportato un onere di 1,9 miliardi.

Ma conti in rosso anche per la banca francese Credit Agricole, che ha chiuso l’esercizio 2011 con un risultato netto negativo per 1,47 miliardi. La causa di questa perdita, spiega la società in una nota, è data dalle conseguenze della crisi greca, che ha pesato, tra impatto del piano di salvataggio e ricadute sulla controllata ellenica Emporiki, per 2,378 miliardi di euro, e una serie di svalutazioni di asset, per oltre 2,5 miliardi. Stessa musica per Dexia che archivia il 2011 con una perdita record di 11,6 miliardi di euro contro un utile di 723 milioni segnato nel 2010: a pesare sono stati in particolare gli accantonamenti per l’esposizione sulla Grecia, pari a 3,4 miliardi e una svalutazione di 4,05 miliardi sulla vendita della filiale belga. Ma anche sui conti di Royal Bank of Scotland, parzialmente nazionalizzata, pesano le svalutazioni sul debito greco per 1,1 miliardi di sterline. La banca britannica ha chiuso il 2011 con una perdita netta di 2 miliardi di sterline, contro un rosso di 1,1 miliardi del 2010.

Tra una settimana, poi, seconda e ultima asta Ltro: continua la danza, in attesa magari che i regolatori magicamente si rendano conto del raddoppiato rischio contagio e rimettano mano a Basilea III in nome dell’emergenza. Ah, furbetti…