Alla vigilia dell’Eurogruppo e dell’Ecofin di oggi, dai mercati maggiormente sotto osservazione – leggi Spagna e Italia – arrivavano formalmente buone notizie. Al netto dello sciopero generale che ieri ha paralizzato il Paese, il commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, ha ribadito in maniera netta che «la Spagna non ha alcun bisogno di aiuti europei e di programmi finanziati dal fondo salva-Stati Esm. Le voci al riguardo sono infondate».



La seconda è arrivata proprio dall’Italia, visto che mercoledì il Tesoro ha collocato Bot a 6 mesi per 8,5 miliardi, il massimo importo previsto, con rendimenti in calo ai minimi da settembre 2010 e un aumento della domanda, mentre ieri, addirittura, ha piazzato 8 miliardi di titoli di Stato nella cosiddetta parte alta della “forchetta”, compresa fra 6 e 8,25 miliardi e con tassi in calo, pur senza replicare la performance di gennaio e febbraio. Ieri il Tesoro ha venduto l’intero ammontare massimo – 2,5 miliardi di euro – della quinta tranche del Btp quinquennale maggio 2017, con rendimento in calo di appena un centesimo al 4,18% dal 4,19% di fine febbraio, ma il rapporto fra domanda e offerta è migliorato, a 1,647 da 1,412. Pieno di offerta anche per il decennale: la terza tranche del settembre 2022 è andata agli investitori per 3,25 miliardi, ammontare massimo programmato dal Tesoro, e tasso in calo al 5,24% dal 5,50% di fine febbraio, segnando un nuovo minimo dallo scorso agosto.



Perché, quindi, nonostante questo, gli spread sia italiano che spagnolo nei confronti del Bund decennale sono saliti ancora, con rendimenti sopra il 5% per entrambi i titoli di Stato e con il nostro differenziale che subito dopo l’asta ha cominciato a impennarsi fino a toccare di nuovo 340 punti base? Il perché è presto detto. Da un lato, infatti, la Bce ieri ha confermato che le banche italiane e spagnole hanno continuato gli acquisti di bond a febbraio, mettendo in circolo parte del denaro ottenuto con le due maxi-aste di finanziamento a tre anni. Secondo quanto reso noto dall’Eurotower, il mese scorso gli istituti italiani hanno acquistato titoli di Stato del debito pubblico europeo per la cifra record di 23 miliardi di euro, portando il totale a 301,6 miliardi. Nello stesso periodo, in Spagna l’acquisto di bond è stato pari a 15,7 miliardi, in leggero calo rispetto ai 23 miliardi di gennaio, per un totale di 245,8 miliardi di euro.



Insomma, le aste vanno bene ma solo sotto le scadenze dei tre anni e, soprattutto, la tendenza è quella di una giapponesizzazione del nostro debito, ovvero dipendente in toto dalle banche del Bel Paese (lo stesso vale per la Spagna), le quali a loro volta dipendono grandemente dalla Bce. Sarà per questo che, con tempismo tipicamente anglosassone, il capo economista del gigante bancario americano Citi, Willem Buiter, ha reso noto che la Spagna rischia di essere il quarto paese dell’area euro ad aver bisogno di aiuti, a causa dei dubbi che gravano sul conseguimento degli obiettivi di risanamento dei conti pubblici. E indirettamente, l’economista si è spinto a evocare il rischio di una ristrutturazione del debito spagnolo: «Può essere evitata, ma richiederebbe delle misure radicali a livello di risanamento e riforme. La Spagna dovrà probabilmente entrare in un programma tipo-troika quest’anno, come condizione per ottenere maggiore sostegno della Bce ai titoli di Stato o ai suoi gruppi bancari».

E se la Germania sembra non capire la gravità della situazione, con il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, tornato ad attaccare le massicce iniezioni di liquidità della Bce che «non basteranno a comprare una soluzione duratura della crisi» (concetto vero, ma espresso con timing errato), chi sembra fiutare odore di accerchiamento e di replica dell’attacco contro Italia e Spagna dello scorso luglio è proprio Mario Monti, protagonista a Tokyo di una staffilata molto risentita verso Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone: «Uno si chiede come mai i disavanzi europei creano turbamenti nei mercati e quelli degli Stati Uniti, giapponese o inglese non hanno queste conseguenze. Credo che dipenda molto dal fatto che nell’Eurozona è diventata regola di vita, come deve essere in un condominio, che si rispettino determinati paletti e norme. E quando vengono violate c’è molta notizia e tensione nella politica finanziaria».

Insomma, una risposta che non lascia troppi margini di interpretazione rispetto alla natura di certi allarmi e report, ultimo dei quali ieri ha messo in diretta comparazione il nuovo debito emesso da Italia e Spagna dallo scorso novembre a oggi, sottolineandone le criticità (operazione che certo non giova allo spread). La scadenza media del nostro debito è agosto 2014, mentre quella spagnola è luglio 2015, un anno pieno di respiro in più e mentre solo il 49% del nuovo debito emesso da Madrid è coperto dai tre anni del prestito Bce, il dato italiano sale addirittura al 77%. Di più, Madrid ha soltanto il 32% di debito con scadenza a un anno o inferiore, contro il 56% italiano.

Apparentemente la Spagna starebbe meglio dell’Italia, quindi. Ma se il nostro Paese da novembre a oggi ha emesso già 156 miliardi di euro di debito, meno del 10% del debito pubblico totale, Madrid è quasi a quota 100 miliardi, ovvero il 14% del totale: insomma, Madrid ha emesso di più e, temono nella City, verso istituzioni peggiori da un punto di vista di prospettiva del credito, quindi dando vita a una traiettoria del debito preoccupante. Una cosa è certa, noi e Madrid siamo di nuovo nel mirino. E che Oltreoceano si cominciano ad affilare le armi, stante l’inazione politica europea a fronte di debiti mostruosi e interdipendenza tra titoli sovrani e sistema bancario, lo conferma lo studio che circola da qualche giorno nelle sale trading e che mette una dopo l’altra le reali voci di debito della Germania.

Prodotto interno lordo 3,2 miliardi di euro, debito sovrano ufficiale 2,618 miliardi di euro, percentuale di liabilities in capo all’Unione europea 27%, percentuale di liabilities in capo alla Bce 18,94%, percentuale tedesca dei 4 triliardi di debito della Bce pari a 757,6 miliardi, costo annuale per la Germania in capo al budget dell’Ue 46,36 miliardi, garanzie della Germania per i Fondi di stabilizzazione 280,6 miliardi, garanzie della Germania per il Fondo di assistenza macro finanziaria 211,14 miliardi, liabilities tedesche sul programma Target 2 pari a 656 miliardi, garanzie tedesche per il debito dell’Eib 157,29 miliardi e garanzie sovrane per la Kfw 588 miliardi, per un totale di debito sovrano e garanzie di 5,315 triliardi di euro.

Quindi, al netto di una ratio debito/Pil ufficiale dell’81,8%, quella reale della Germania è del 139,8%. Urgono risposte chiare e nette per abbattere gli stock allucinanti del debito europeo, visto che le aste Ltro della Bce hanno soltanto aggravato la situazione e decidere subito di intervenire sia in Portogallo che in Spagna per puntellare i conti: attenzione, il rischio che una banca europea, di grosse dimensioni, non veda l’estate, non è più così peregrino. Dopodiché, tutto potrà essere.