Et voilà, siore e siori! Salgono i rendimenti sulla scadenza triennale italiana. Il Btp scadenza 01/03/2015, collocato ieri in terza tranche, ha visto salire il rendimento lordo al 3,89% (+1,13 punti rispetto al 2,76% dell’asta di febbraio). La domanda ha raggiunto i 4,13 miliardi di euro, mentre l’importo assegnato è stato pari a 2,884 miliardi, inferiore al tetto di 3 miliardi fissato dal Tesoro. E come ha reagito il governo a questa dimostrazione che le aste Ltro sono state solo una panacea per le scadenze brevi? «I risultati dell’asta dei titoli di Stato italiani di questa mattina sono nelle attese del Tesoro, che non ha urgenza di fare funding a tassi non giusti», così parlò Vittorio Grilli, vice ministro dell’Economia. Il quale, a margine del convegno Elite di Borsa Italiana, ha dichiarato inoltre che i risultati dell’asta «sono nelle aspettative, abbiamo avuto una forte domanda. I tassi devono rispondere alle attuali condizioni di mercato. Abbiamo fatto la scelta di non prendere tutta la domanda che c’era, non abbiamo questa urgenza di fare funding a tassi che non siano, secondo noi, quelli giusti».

La volpe e l’uva: il mercato non vuole il nostro debito se non a tassi elevati? E noi non vendiamo il nostro debito, cicca cicca! Ma come mai, allora, lo spread è rimasto relativamente basso? Semplice, perché forse si torna a comprare! Benoit Coeure, membro del comitato esecutivo della Bce, ha infatti aperto a una nuova tornata di acquisti obbligazionari da parte di Francoforte: «Le condizioni in cui versano i mercati non sono giustificate. La Bce interverrà? Sappiamo che ha uno strumento, rappresentato dall’acquisto dei bond, che ultimamente non è stato utilizzato ma che esiste ancora». In compenso, chi non si è calmato per le parole di Coeure è la Germania, la quale attraverso un ambasciatore che non porta pena, Athanasios Orphanides, membro anch’esso del consiglio direttivo e governatore della Banca di Cipro, ha subito alzato le barricate: «È sbagliato anticipare decisioni del consiglio. Il programma di acquisto bond è uno strumento che c’è e il consiglio direttivo può decidere quando sarà utilizzato». Tant’è, in ossequio al motto “buy the rumors, sell the news” gli spread si sono calmierati e le Borse hanno ridotto le perdite.

Ma al di là delle schermaglie dialettiche, è la realtà a pesare. Una realtà che ieri Deutsche Bank, con perfetto timing rispetto alla nostra asta, ha reso noto sottoforma di report agli investitori. Eccola. Combinando le due aste Ltro, le banche italiane e spagnole hanno ottenuto all’1% di interesse rispettivamente 104 e 54 miliardi di euro, utilizzati per il carry trade al netto del rifinanziamento. Tra dicembre 2011 e febbraio 2012, le banche italiane hanno acquistato bond italiani per 43 miliardi e quelle spagnole obbligazioni iberiche addirittura per 61 miliardi. Al netto di queste cifre, le banche italiane hanno ancora 61 miliardi delle aste Ltro potenzialmente a disposizione, mentre quelle spagnole sono già sotto di 7 miliardi! Il problema è che al netto di questa situazione siano le detenzioni da parte di banche estere di obbligazioni italiane e spagnole a calare ancora, annullando l’effetto sullo spread degli acquisti da parte dei nostri istituti e di quelli iberici.

Già oggi, le detenzioni estere di debito italiano e spagnolo sono scese rispettivamente al 37% e 30%, quando nel 2010 il livello di entrambi era il 45%. Traduzione, al netto della paura travestita da spocchia del buon Grilli? Si vendono i debiti a rischio, anche perché il gioco delle tre carte compiuto dall’Isda sullo swap greco ha messo a dura prova la fiducia degli investitori nel mercato dei cds. Quindi, invece di mantenere detenzioni a rischio ancora per un po’, coprendosi acquistando credit default swaps, si tende a liquidare posizioni: Italia e Spagna rischiano di finire in questo circolo vizioso – o forse ci sono già – che annullerebbe nell’arco di giorni tutti gli effetti delle aste Ltro.

Insomma, o la Bce ricompra bonds sul mercato secondario o prima di giugno rischiamo che si inneschi una spirale identica a quella della scorsa estate. Ma state certi, i falchi della Bundesbank venderanno cara la pelle questa volta prima di dire sì a Mario Draghi, visto il rapporto di leva 29:1 della Bce e il fatto che il suo stato patrimoniale sia composto in gran parte da carta igienica greca e portoghese, oltre che da prestiti bancari di fatto tossici. E mentre in Europa viene imposta come sacra la legge dell’austerity in nome della stabilità e della fiducia (ovvero dei porci comodi di Wall Street e della City), altrove si stanno già ponendo le basi per un ritorno al passato che vedrà gli Stati Uniti nuovamente potenza egemone, dopo aver ridimensionato per bene quell’Ue che cominciava a dare noia, sia a livello di grandezza del mercato, sia per volume di interscambio con soggetti come Cina, Russia e Asia.

Come spiegare, ad esempio, il fatto che negli Usa istituzioni finanziarie come Capital One e GM Financial abbiano ricominciato, dopo aver recuperato dalle perdite grazie ai soldi di governo e Fed (leggi dei cittadini statunitensi), a fare prestiti a creditori borderline, ovvero si stiano ributtando sul mercato subprime come avvoltoi? È proprio così e anche HSBC e JPMorgan Chase sono della partita. Ma c’è di più. Lo scorso dicembre, sono state emesse 1,1 milioni di nuove carte di credito verso cittadini con stato finanziario precario, sul del 12,3% rispetto al mese prima, stando ai dati contenuti nel report pubblicato a marzo da Equifax. E questi nuovi creditori elettronici, pesano per il 23% di tutte le vendite a rate di auto compiute nel quarto trimestre del 2011, su del 17% rispetto allo stesso periodo del 2009, come conferma Experian. Per Charles Juntikka, avvocato fallimentare a Manhattan, «questa gente è dipendente dalle banche come drogati e le banche ci giocano su».

E in effetti, per rifarsi dai miliardi persi in commissioni dopo le nuove regolamentazioni imposte dal Congresso, i colossi finanziari Usa puntano tutto su due categorie: la parte alta e quella bassa della clientela, ovvero super-ricchi oppure subprime, cui vengono applicati tassi anche del 29%, oltre a salatissimi interessi sui ritardi di pagamento. Un ex analista della Fed, Mark T. Williams, ha le idee molto chiare al riguardo: «È chiaro che stiamo tornando al business as usual, alle vecchie abitudini pre-2008».

Dal canto loro, banche e finanziarie dicono di aver capito la lezione e di evitare i cattivi creditori cronici, focalizzandosi piuttosto sui quelli che romanticamente chiamano “fallen angels”, gli angeli caduti, ovvero clienti con un passato da buon debitore che sono caduti in disgrazia con la crisi. I soli gestori di carte di credito hanno esteso prestiti per 12,5 miliardi di dollari a clienti subprime lo scorso anno, su del 54,7% rispetto al 2010, stando ai dati di Equifax e Moody’s: certo, non siamo ai 41,6 miliardi del 2007, quando la crisi ancora non c’era e le vacche dello schema Ponzi globale sembravano grassissime, ma il trend è preoccupante. E salgono anche gli investimenti dei giganti del credito in pubblicità mirata alla categoria subprime, così come la ricerca di sempre nuovi strumenti per abbindolare e spennare gente con storie di credito estreme: Capital One, ad esempio, si è inventata lo scorso anno una carta di credito che consente al cliente di abbassare il tasso di interesse dopo un anno di pagamenti puntuali.

In particolare, il ramo auto è molto attivo verso questa clientela, visto che non è stato pressoché toccato dalle nuove regolamentazioni dei mercati finanziari (il vero dumping dell’Amministrazione Obama verso il settore automotive, spiegazione dei buoni risultati di Chrysler). In compenso, si cartolarizzano i prestiti al consumo automobilistico come ai vecchi tempi, con le auto loan securities salite a un giro di investimento di 11,7 miliardi di dollari dai 2,17 del 2008. Un mercato, quest’ultimo, che secondo Moody’s «sta crescendo troppo e troppo velocemente». Dopo le case, le auto: negli Usa si sta formando la prossima bolla, tutto pur di far andare avanti ancora per un po’ il giocattolino fabbrica soldi nella patria del debito pubblico. In Europa, invece, austerità sempre più estrema e rischi, a questo punto davvero reali, di derive antidemocratiche in nome di autorità non elette. Sempre che la gente, una volta per tutte, non dica basta.

 

P.S. «Un grosso problema in sospeso è la ricapitalizzazione delle banche della Grecia, che sono state duramente colpite dalla svalutazione del debito decisa nell’ambito dell’accordo tra governo e privati». Così parlò mercoledì il premier greco, Lucas Papademos. Il quale, stando a fonti interne all’esecutivo ellenico, avrebbe intenzione di varare una legge che permetta alle banche greche di registrare il valore nominale dei bond nazionali in portafoglio, invece che quello reale di mercato. Eh sì, la Grecia è salva! Siamo alle comiche…