Scusate, forse mi sono distratto: avete mica avuto notizie di file chilometriche di investitori cinesi e coreani ai nostri valichi di frontiera? Ma come, la riforma del lavoro, quella che ci chiede il mondo intero, da Draghi al Fmi, all’Ocse, è realtà e per tutta risposta lo spread si impenna a 380 punti base e la Borsa crolla del 2% a metà seduta? Ma come, la Fornero conferma che il testo della riforma è stato trasmesso al Senato e nemmeno un plotoncino di imprenditori che freme per investire in Italia? Pazzesco. E per favore, non venite a vendermi la favoletta che la riforma era necessaria ma paghiamo le debolezze di una politica che, sottoposta a veti e ricatti, emenderà e annacquerà quel testo durante l’iter parlamentare, fatto che i mercati stanno già prezzando: i mercati vanno giù perché siamo al disastro più totale, noi come Italia e noi come Europa.

Mentre Mario Monti parlava a Pompei riguardo il piano di riqualificazione del sito archeologico, erano spread e Borse a tornare all’età della pietra della crisi, ovvero a prima delle illusorie panacee di novembre-dicembre scorsi.  La Francia – e ho detto la Francia – ieri mattina ha collocato bond con scadenza a lungo termine per un valore complessivo di 8,44 miliardi di euro, ma il rendimento del titolo a 10 anni è salito al 2,98% dal 2,91% dell’asta precedente a marzo. Poca roba direte voi, un gran brutto segnale vi rispondo io. Anche perché in contemporanea crollava ai minimi storici il rendimento dei titoli tedeschi a cinque anni, con il tasso sceso allo 0,728%, segno che gli investitori si stanno rifugiando nei titoli tedeschi per difendersi dai rinnovati tremori nell’eurozona, nella fattispecie la Spagna che ieri ha festeggiato il ritorno del proprio Bonos decennale sopra quota 400 punti base di spread sul Bund, livello toccato l’ultima volta a metà novembre scorso, prima quindi dell’asta Ltro numero uno da parte della Bce.

La quale, poi, il 29 febbraio ne ha fatto un’altra: risultato dell’iniezione di denaro all’1% a livello sovrano? Niente, la Spagna all’inizio di aprile è conciata uguale, anzi forse peggio perché sta tornando a salire la voce di pagamento degli interessi all’interno del computo del Pil e nel frattempo le banche hanno comprato titoli di Stato che cercheranno di parcheggiare qua e là sperando di ottenere altro denaro: un circolo vizioso. Che rischia però di rompersi. In tre modi, possibilmente.

Primo, la dinamica dello spread iberico diviene tale che i titoli di Madrid non vengono più accettati come collaterale per il finanziamento, non hanno più mercato se non con gli acquisti della Bce sul mercato secondario e si punta a una ristrutturazione del debito via swap in stile greco. Secondo, l’aggravarsi della crisi immobiliare spagnola fa salire da 80 ad almeno 120 i miliardi di prestiti tossici, ovvero da ritenersi persi, delle banche verso il real estate, portando a 70 miliardi la necessità di ricapitalizzazione delle banche a fronte dei soli 50 miliardi di riserve. La Bce non può più intervenire (la smentita della Bundesbank riguardo la non accettazione di bond greci, portoghesi e irlandesi è stata peggio di una conferma, poiché è stato un chiaro avvertimento a Draghi: avanti con l’idea di un terzo Ltro o peggio di un Ltro senza collaterale in stile Fed e noi mandiamo all’aria tutto, partendo dal programma Target 2 e ammazzando così di colpo almeno un paio di banche spagnole e francesi) o salta il banco. Terzo, la gente blocca con le cattive le manovre dei governi e si arriva a seri rischi di tenuta sociale e istituzionale in Spagna.

Ieri, infatti, il ministro delle Finanze e della Pubblica amministrazione spagnolo, Cristobal Montoro, ha presentato al Parlamento il Budget statale per il 2012 e le percentuali di allocazione delle risorse fanno paura: il 37,1% andrà in pagamento delle pensioni, il 9,2% per sussidi di disoccupazione e il 10,5% in pagamenti di interessi, qualcosa come 28.848 milioni di euro, pari al 2,7% del Pil. Insomma, queste tre voci da sole pesano per il 56,8% del Budget statale spagnolo di quest’anno. Ma c’è di più, è stato lo stesso ministro che nel corso di una conferenza stampa ha ammesso chiaramente che i prestiti pari a 186,1 miliardi di euro di quest’anno porteranno la ratio debito/Pil dal 68,5% al 79,8% (della ratio reale abbiamo parlato nel mio articolo di ieri), ma soprattutto che «la Spagna è in una situazione critica. Stiamo cercando di trovare una risposta».

Con la disoccupazione ben sopra il 20% e in continua crescita (il dato peggiore dal 1986, anno in cui la Spagna cominciò a calcolare il tasso di occupati), una contrazione economica prevista al -1,7% quest’anno e le entrate fiscali in continuo calo, Madrid non potrà matematicamente centrare gli obiettivi di deficit già aggiustati al ribasso rispetto a quanto previsto dal Fiscal Compact. A quel punto, cosa chiederà di tagliare Bruxelles? Ma ovviamente le voci di quel 46,3% di stanziamento del Budget statale che vanno in pensioni e sussidi di disoccupazione, ovvero taglio della previdenza e dei benefit per i senza lavoro in un Paese dove i disoccupati sono già in numero record e in continua crescita: pensate che gli spagnoli, al netto della folle traiettoria del loro debito e del loro welfare che andrà rivista, lo lasceranno fare al governo Rajoy, in ossequio alle pressioni di troika e mercati? Io penso di no. E la Spagna non è sola.

La crescita del Prodotto interno lordo della zona Ocse è rallentata nel quarto trimestre del 2011 a +0,2%, in calo dal +0,6% del trimestre precedente e, guarda caso, sotto la media e in forte contrazione è proprio l’andamento del Pil italiano: -0,7% dopo il -0,2% registrato nei precedenti tre mesi dell’anno. Questo dato, annualizzato, significa -2,8%, alla faccia delle previsioni ottimistiche del governo (-1%) e della Banca d’Italia (-1,5%). La ricetta “tax&tax” del governo Monti non è servita a nulla, se non ad aggravare lo stato in cui versano famiglie (è di ieri il dato che nel 2011 la propensione al risparmio delle famiglie si è attestata al 12%, il valore più basso dal 1995, con una diminuzione di 0,7 punti percentuali rispetto al 2010. Lo ha reso noto l’Istat, spiegando che «il potere di acquisto delle famiglie nel 2011 è diminuito dello 0,5%», nonostante il reddito disponibile sia salito del 2,1%) e imprese: lo certificano queste cifre, i tonfi della Borsa e i numeri dello spread. Così come non è servita a nulla l’operazione Ltro della Bce, se non a far guadagnare qualche mese di vita al sistema bancario spagnolo, il quale però ora ha già visto vanificare il carry trade sugli acquisti obbligazionari fatti con i soldi di Francoforte, stante il calo del valore dei bonds che hanno in pancia. Punto a capo, ma con molte meno armi di difesa. Anzi, quasi nessuna, alla faccia del famoso “firewall” da 800 miliardi varato in pompa magna la settimana scorsa…

E che la situazione sia a un punto di svolta lo conferma l’interessante storia scovata da “Fortune”, che nell’ultimo numero parla di un pranzo tenutosi venerdì scorso a New York tra il numero uno della Fed, Ben Bernanke e alcuni potenti banchieri di Wall Street, tra cui Jamie Dimon di JP Morgan, Bob Diamond di Barclays, Brady Dougan di Credit Suisse, Larry Fink di BlackRock, Gerald Hassell di Bank of New York Mellon, Glenn Hutchins di Silver Lake, Colm Kelleher di Morgan Stanley, Brian Moyniham di Bank of America, Steve Schwarzman di Blackstone Group e David Vinar di Goldman Sachs. Argomento del business lunch? La crisi europea. Per dare una mano a risolverla o per sfruttarla a fondo?