Vi avevo avvertito per tempo che le aste obbligazionarie di questa settimana ci avrebbero suonato la sveglia e così, purtroppo, è stato. Oltretutto sulla scadenza più sensibile, quei tre anni che rappresentano l’arco temporale di prestito all’1% della aste Ltro della Bce. Ieri il Tesoro ha venduto Btp con scadenza marzo 2015 per complessivi tre miliardi, massimo ammontare prefissato, ma i tassi sono saliti al 5,30% dal 3,91% dell’analoga asta di maggio, segnando un massimo da dicembre. La domanda per il Btp triennale è stata pari a 1,59 volte l’importo offerto, in rialzo da 1,52 dell’asta precedente. Il Tesoro ha anche collocato 1,5 miliardi di euro di titoli non più in corso di emissione. Quelli con scadenza marzo 2020 offrono un rendimento del 6,13%, mentre quelli con scadenza 2019 un tasso del 6,10%. Complessivamente, via XX Settembre ha collocato sul mercato titoli per 4,5 miliardi di euro, obiettivo massimo. Ma a spaventare è anche il dato del debito pubblico del nostro Paese, che ad aprile ha toccato un nuovo record, attestandosi a 1.948,584 miliardi di euro, in aumento rispetto al record storico toccato a marzo (1.946 miliardi) e addirittura a +50,709 miliardi rispetto alla fine del 2011.



Insomma, c’è poco ma davvero poco da stare allegri. E se il piano “taglia debito” del governo attraverso la dismissione di patrimonio pubblico è da salutare come una rivoluzione in ritardo di almeno 15 anni, sconcerta il fatto che il nostro Parlamento sia impegnato anima e corpo nel Ddl anticorruzione: per formazione sono garantista e odio i manettari d’accatto, ma di fronte alla peggiore crisi dal 1929 e con il nostro Paese sull’orlo del baratro ritengo un tradimento della nazione preoccuparsi di questo o quel processo, di questo o quel sodale da salvare dal giudizio di un tribunale. A destra, come a sinistra, come al centro.



Detto questo, l’asta di ieri si presta a una duplice interpretazione. Il fatto positivo è il collocamento dell’intero ammontare, sintomo che l’Italia riesce ancora a finanziarsi sui mercati, anche con domanda in aumento. Ecco spiegato il ripiegamento dello spread dai massimi di giornata dopo l’asta, sintomo che nonostante tutto il mercato ha gradito il pieno collocamento e non ha attivato meccanismi di sell-off, con forti flussi speculativi, sui nostri titoli a favore del Bund: non a caso, l’asta ha collocato il Btp a 10 punti base di premio rispetto alle 10 del mattino sul secondario. Il lato negativo, ovviamente, è quello del rendimento, in ascesa stellare nell’arco di un solo mese su una scadenza di medio termine, ma ancora nell’arco temporale del carry trade garantito dalla Bce: al netto del processo di continuo allontanamento degli investitori esteri dal nostro debito, appare chiaro che la domanda di ieri era prevalentemente interna, una dinamica spagnola che non deve far piacere. Per quanto, infatti, le nostre banche continueranno ad acquistare debito? E a quale prezzo, se lo spread continua a salire e il valore dei titoli in portafoglio continua a declinare, creando perdite in bilancio che azzerano di fatto anche l’effetto carry-trade?



Il problema, poi, è anche sulla durata: se infatti si colloca il massimo ammontare entro i 3 anni, ma già a rendimenti molto alti, cosa ne sarà delle scadenza più lunghe con il passare dei mesi, se lo spread non scende significativamente? Tanto più che i soldi delle aste Ltro sono già finiti o allocati per coprire scadenze obbligazionarie sovrane e non. Occorre uno shock e il “taglia debito” appare la manovra giusta, visto che una netta diminuzione dello stock manderebbe un segnale chiaro ai mercati, anche riguardo le necessità di rifinanziamento del nostro Paese e quindi le pressioni speculative: a quel punto non servirebbe diradare le aste, poiché si sarebbe creata una sorta di linea Maginot rispetto ai massimi di rendimento. E, tanto per stare tranquilli, consiglio al Tesoro di eliminare del tutto i bonds denominati sotto legislazione estere: leviamo l’acqua in cui nuotano i pescecani prima di fare la fine di Grecia, Portogallo e, tra poco, Spagna. La quale, purtroppo, rimane un fattore di contagio preoccupante, nonostante il piano-farsa partorito nel weekend dalle autorità europee.

A maggio le banche iberiche, infatti, hanno preso in prestito dalla Bce altri 24 miliardi di euro rispetto al mese precedente, toccando il nuovo record di 287,8 miliardi, 235 miliardi in più rispetto al maggio 2011. E, magra consolazione, ora hanno superato i nostri istituti di credito, i quali tra aprile e maggio hanno preso in prestito dall’Eurotower “solo” 2 miliardi, per un totale di 272,7 miliardi di euro. Anche per questo ribadisco come il salvataggio del sistema bancario spagnolo sia la classica misura presa a metà, poiché se teoricamente può apparire saggio cercare di isolare la Spagna a una settimana dalle elezioni in Grecia, in modo da evitare o limitare un eventuale contagio immediato in caso di vittoria della sinistra anti-troika, a livello pratico le banche spagnole avevano bisogno di equity, non di finanziamento del debito che di fatto le lascia insolventi come prima.

La triangolazione tra autorità Ue, banche e governo spagnolo come intermediario attraverso il fondo Frob non fa altro che trasformare tutti i debitori del debito spagnolo in soggetti subordinati e questo si sostanzierà per qualsiasi altra tranche di aiuti futuri. Quindi, in questo modo non si è fatto altro che peggiorare il contagio e renderlo più rapidamente a rischio di diffusione proprio all’Italia, la quale paga tre fattori: debito in crescita, finanziamento dello stesso a costi sempre maggiori ed esborso poco sostenibile proprio per finanziare il salvataggio delle banche spagnole.

Per finire, altre due criticità. Primo, sui Bonos spagnoli si sono abbattute nuove ondate di vendite in reazione al nuovo declassamento di rating sul Paese annunciato mercoledì, a mercati chiusi, da Moody’s: la valutazione è stata tagliata a “Baa3”, a un passo dal livello “spazzatura”, con una manovra analoga a quella operata nei giorni scorsi da Fitch. E a questo punto non si tratta più soltanto di effetto psicologico, dato che il rendimento del decennale è salito sopra la soglia d’allarme del 7%: c’è il rischio di un sell-off generalizzato sull’investment grade, visto che molti fondi, soprattutto mutual funds e money-market funds, per statuto non possono detenere obbligazioni con rating inferiore alla soglie d’investimento, soprattutto tra gli operatori asiatici. Al netto del crollo delle detenzioni estere di debito spagnolo, scese al 37% del totale, se anche una parte minima decidesse di liquidare le posizioni, l’effetto potrebbe tramutarsi in un terremoto sulla curva dei rendimenti.

Secondo e più grave, stando a dati dell’Istituto nazionale di statistica spagnolo resi noti da Bloomberg, i prezzi delle abitazioni in Spagna sono scesi del 12,6% nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, segnando un calo record a causa della recessione e della stretta creditizia. E con le banche esposte per 400 miliardi di euro al settore immobiliare, 150 dei quali già tossici e inesigibili, c’è ben poco da stare allegri e sperare nella panacea dei 100 miliardi europei. Domenica si vota in Grecia: vediamo un po’ che aria tirerà sui mercati lunedì.