Parliamoci chiaro: un assalto estivo della speculazione è possibile, ma le condizioni, rispetto allo scorso anno, sono decisamente meno favorevoli. Dodici mesi fa, di questi tempi, lo spread era infatti a 280 punti base, quindi un rally speculativo per gonfiare rendimenti e differenziale era reso possibile dal livello di gestibilità dei costi di rifinanziamento del debito del nostro Paese. Alti, certo, ma non tali da mandare l’Italia a zampe all’aria nell’arco di poche settimane o, peggio, di innescare un contagio diretto su big come la Francia, ad esempio.
Ora, invece, siamo già a quota 460, metterci sotto pressione equivarrebbe, quindi, a voler affondare il Paese, spedirlo in area 7,5% e oltre di rendimento per il decennale: la Spagna sarebbe già morta da tempo e il nostro decesso coinciderebbe con quello dell’intera eurozona, compreso il blocco nordico visto che l’esposizione verso l’Italia, per quanto ridotta, rimane ingestibile in caso di default. Siamo pronti a questo scenario, le cui conseguenze non sono interamente calcolabili nemmeno per i geni della City e di Wall Street? La Bce, poi, starebbe silente e a cuccia per non offendere la Bundesbank o si farebbe forte di uno stato patrimoniale di 3 triliardi di euro per inondare il mercato secondario di liquidità e far correre i signorini in grisaglia a chiudere le posizioni short il prima possibile e a qualsiasi prezzo, prima che il cerino sia interamente consumato?
Non c’è ovviamente da stare tranquilli: ieri l’euro è sceso sotto quota 1,22 sul dollaro per la prima volta da due anni a questa parte e le minute della Fed, pur non offrendo date precise, hanno fatto intendere che il QE3 ci sarà, forse a settembre come azzardava ieri Bank of America. Già ora, la Federal Reserve sta “spronando” i primary dealers ad accumulare debito Usa, piuttosto che venderlo, nell’ambito dell’Operazione Twist. Insomma, proprio tranquilli non si può stare, ma ipotizzare che qualcuno punti sull’armageddon per i propri interessi appare lunare anche per un notorio pessimista come me.
Che però qualcosa stia bollendo in pentola nelle centrali della speculazione appare chiaro e a confermarcelo è un dato paradossalmente positivo per il nostro Paese. Ieri il Tesoro ha infatti assegnato tutti i 7,5 miliardi di euro di Bot a un anno, registrando un rendimento medio in calo al 2,697% dal 3,972% dell’asta di metà giugno e con una domanda che ha superato l’offerta di 1,55 volte, evidenziando però un lieve rallentamento rispetto al rapporto bid-to-cover di 1,73 registrato al collocamento di giugno. Ora l’attesa è per l’importante test di oggi, quando il Tesoro metterà sul mercato Btp fino a un massimo di 5,25 miliardi di euro ma un calo di oltre un punto percentuale sullo yield a un anno in un mese e con queste condizioni di mercato non è cosa da poco.
Nuovo appetito sull’Italia? Non è scontato, visto che prosegue il “fly to quality” alimentato dalla crisi del debito sovrano proprio di Spagna e Italia: sempre ieri mattina la domanda sul debito pubblico della Germania ha schiacciato i rendimenti dei titoli biennali tedeschi (schatz) a -0,028%, il nuovo minimo storico. Insomma, avversione al rischio su Club Med ma anche fiducia nell’Italia, stando ai risultati dell’asta: com’è possibile?
Una prima risposta ci giunge dalla Bce, i cui depositi overnight si sono più che dimezzati dopo la decisione della Bce di azzerare il relativo tasso. Mercoledì, primo giorno di applicazione dei nuovi rendimenti, la quantità di fondi parcheggiata dalle banche nelle casse di Francoforte è infatti scesa a 325 miliardi di euro dagli 800 miliardi del giorno precedente. Da un lato, quindi, sembra quindi che Draghi abbia raggiunto il suo scopo, ovvero operare sui tassi per stimolare lo stagnante mercato interbancario. Nei mesi scorsi, come ricorderete, i depositi overnight avevano infatti inanellato una lunga serie di massimi storici, un preoccupante segnale del clima di reciproca sfiducia che allignava tra le banche europee, che preferivano affidare il denaro alla Bce piuttosto che prestarselo a vicenda, ricavandone rendimenti più elevati. Dall’altro lato, però, è la più che probabile allocazione alternativa di quei fondi a ridimensionare l’ottimismo per l’asta italiana di ieri, con scadenza entro il termine temporale dell’asta Ltro all’1% e paradossalmente “drogata” da acquisti di massa delle banche del Bel Paese, decise a investire in maniera patriottica ma anche fruttuosa – grazie al carry trade – i soldi prelevati dall’Eurotower.
Atteggiamento, questo, che spiegherebbe sia il nuovo record in negativo per i rendimenti degli schatz tedeschi, che l’aumento dello spread dopo l’asta Btp-Bund dopo l’asta. Oggi, però, si emetterà debito a lungo termine, quindi una scommessa anche per le banche, le quali in caso di nuova crisi estiva vedranno crollare i prezzi di quella carta acquistata e dovranno scontare nuove, potenziali perdite a bilancio. Un qualcosa che il mercato sa benissimo e che ieri ha prezzato, colpendo l’azionario delle banche con cali anche notevoli e soprattutto facendo registrare un rialzo dei cds dell’obbligazionario bancario. E, cari lettori, più che lo spread in sé, deve essere proprio il settore bancario a farci preoccupare.
A fine aprile scorso, le sofferenze bancarie lorde sono risultate pari a circa 109 miliardi di euro, 1,4 miliardi in più rispetto a marzo e +13,9 miliardi rispetto ad aprile 2011, segnando un incremento annuo di circa il 15%. Lo rileva l’Abi nell’ultimo Rapporto mensile. Rispetto agli impieghi, le sofferenze risultano pari al 5,50% ad aprile (4,85% un anno prima). Con riguardo alle sofferenze al netto delle svalutazioni, a fine aprile esse sono risultate pari a 57,8 miliardi di euro, circa 1,1 miliardi in più rispetto al mese precedente e +8,1 miliardi rispetto ad aprile 2011 (+16,4% l’incremento annuo): il rapporto sofferenze nette/impieghi totali si è collocato al 2,99% (2,93% a marzo 2012 e 2,59% ad aprile 2011).
Di più, prestiti bancari in caduta con l’aumento dello spread e, per la prima volta, i finanziamenti a famiglie e imprese sono in contrazione. Sempre secondo il bollettino mensile dell’Abi, a maggio i prestiti a famiglie e aziende sono diminuiti a 1.500,5 miliardi di euro, con un -0,35% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso (dopo il +1% di aprile). Nella serie storica – che comincia all’inizio degli anni 2000 – non c’è mai stato il segno meno per questi finanziamenti. Per i prestiti a medio e lungo termine (oltre un anno) c’è stato un -0,3% (contro il +0,2% di aprile), per quelli a breve termine un -0,6% (da +3,4% di aprile). Rallenta anche la dinamica generale degli impieghi bancari: a maggio il totale dei finanziamenti ai residenti è stato di 1.944,5 miliardi, segnando un aumento annuo dello 0,23%, dopo il +1,2% di aprile.
Attenzione, quindi, ai veri, possibili blitz estivi: a me la questione Pamplona-Deutsche Bank riguardo l’azionariato di Unicredit non piace nemmeno un po’, non so a voi.