Evviva la sincerità: «La Spagna non ha denaro nelle casse per pagare i servizi pubblici e il governo agisce per necessità. Se la Bce non avesse comprato i titoli di Stato, il Paese sarebbe fallito». Parole, pronunciate ieri, del ministro del Tesoro spagnolo, Cristobal Montoro, in un intervento al Parlamento di Madrid durante il quale ha difeso la manovra finanziaria varata dal governo Rajoy per il taglio di 65 miliardi in due anni della spesa pubblica. Montoro, secondo quanto riporta la stampa iberica, ha insistito sulla necessità di «ridurre i servizi pubblici per crescere. Stiamo ristrutturando l’economia e il settore pubblico. Ciò che non si può pagare, è ineludibile eliminarlo».

La cosa agghiacciante, a mio avviso, non è che la Spagna fosse di fatto fallita – lo scrivo da tempo -, ma il fatto che questa crisi è così profonda, lunga e strutturale da farci accogliere ammissioni del genere come la brutta notizia del giorno, pronta a essere derubricata già ventiquattro ore dopo perché superata per gravità da qualche altra iattura. Invece dobbiamo stamparcele bene in testa le parole di Montoro: «Se la Bce non avesse comprato i titoli di Stato, il Paese sarebbe fallito». Il problema, cari lettori, è che qui non si tratta di file ai bancomat di Madrid o Malaga, di disoccupazione alle stelle ancor più di oggi, di servizi pubblici bloccati: l’eurozona è esposta alla Spagna per 900 miliardi di euro, non stiamo parlando della Grecia e della sua dimensione da pulce (la quale, grazie alla Merkel, si è comunque tramutata nell’elefante in cristalleria), ma di un default che porterebbe con sé, immediatamente, un contagio capace di mandare in pezzi l’eurozona.

Il governo di Madrid fa quello che può, ovviamente, ma prende anche decisioni azzardate che in momenti simili sono praticamente dei tentativi di suicidio mascherati. Invece di limitare le emissioni o restringere la loro scadenza entro un arco di tempo gestibile, ovvero limitarsi a obbligazioni a breve termine, ieri Madrid, ringalluzzita proprio dal successo dell’asta a breve di martedì scorso, ha messo all’asta Bonos pluriennali, registrando sì una domanda superiore all’offerta e collocando complessivamente quasi il massimo della forchetta prevista, 3 miliardi di titoli, ma con nuovi aumenti dei rendimenti richiesti, mentre il sovrappiù di domanda si ridimensionava nettamente.

Sui titoli a due anni i tassi retributivi sono balzati al 5,204%, dal 4,335% di un’asta analoga precedente, con una domanda che ha superato di 1,90 volte l’ammontare collocato a fronte delle 4,26 volte dell’asta precedente. Sui bond a 5 anni i tassi sono saliti al 6,543% dal 6,195% e il rapporto domanda-offerta è calato a 2,06 dal precedente 3,44. Su bond a 7 anni, poi, i rendimenti sono saliti addirittura al 6,701% dal 4,832% e il rapporto domanda-offerta è calato a 2,94 da 3,27. Detto fatto, questi risultati hanno riportato tensione sui Bonos decennali già in circolazione, spingendone i rendimenti al di sopra della soglia da allarme rosso del 7%, con lo spread tra Bonos e Bund tedeschi oltre i 580 punti base, un livello mai toccato nemmeno nell’era pre-euro.

«La situazione finanziaria delle banche spagnole costituisce un rischio potenziale per gli altri paesi dell’eurozona se non si interviene velocemente», ha dichiarato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, davanti al Bundestag, dove ieri i partiti erano chiamati a pronunciarsi proprio sugli aiuti a Madrid. Voto che è stato poi favorevole. Ma al di là degli atti formali, delle stucchevoli dispute tra rigoristi e fautori delle politiche espansive, occorre dire chiaro e tondo che – al netto degli strumenti e delle risorse realmente disponibili, oltre che degli ennesimi proclami che usciranno dall’Eurogruppo di oggi, buoni per tenere su le Borse per un paio d’ore – l’Europa non ha sufficiente denaro per salvare la Spagna.

Dei 146,8 miliardi di securities sul debito a medio e lungo termine emesse dalle banche spagnole, 123 (ovvero l’84%) sono state finanziate dai soldi delle prime due aste Ltro della Bce. Acquisito questo dato, le stesse banche iberiche devono trovare altri 26,2 miliardi di euro entro giugno per andare incontro alle richieste di ricapitalizzazione avanzate dall’Eba. Stando a calcoli fatti da Bank of America-Merrill Lynch, se i depositi dovessero tenere in maniera ragionevole (cosa che già ora non sta accadendo, visto che anno su anno la contrazione dei depositi è già oggi del 6%, come certificato dalla Banca di Spagna), ma la crescita dei prestiti dovesse contrarsi di un 3-4%, lo shortfall di finanziamento per il 2012 sarebbe tra i 49 e i 57 miliardi di euro, a meno di una terza asta Ltro. Ma come si presenteranno sui mercati per trovare quel denaro le banche iberiche, visto che con i soldi della Bce hanno ammassato titoli di Stato spagnoli per 240 miliardi di euro, pari al 6% dei loro assets? Oltretutto, in un quadro macro da incubo, con le previsioni di contrazione economica del governo di -1,7%, ma con molti analisti, tra cui Citi, che parlano di un -2,7% di calo del Pil reale quest’anno e del -1,2% nel 2013.

Su richiesta del governo, le banche hanno riserve per circa 50 miliardi di euro, a fronte però di 400 miliardi di euro di prestiti solo al settore immobiliare, in continuo crollo e con sofferenze attorno ai 110 miliardi: anche per questo, sempre Merrill Lynch parla della necessità di almeno altri 35 miliardi di euro di riserve per esposizioni non legate al settore real estate e altri 6, immediati, per finanziare prestiti performing al real estate e costruzioni al fine di contrastare l’aumento degli assets non performing.  Anche perché i crediti concessi dalle banche spagnole che difficilmente verranno recuperati continuano a crescere: a febbraio i crediti non restituiti sono saliti all’8,16% del totale secondo i dati della Banca di Spagna, contro il 7,9% di gennaio, massimo dal 1994. I crediti concessi dalle banche sono in calo dello 0,4% e i depositi presso gli istituti di credito segnano un -4,1%.

Insomma, per ricapitalizzare le sue banche, la Spagna avrebbe bisogno di 174 miliardi di euro: una cifra che, nei fatti, potrebbe vedere la Spagna in grado di operare senza l’intervento esterno di Fmi o troika. Il problema sostanziale di Madrid, però, non è interno, bensì esterno: ovvero, l’esposizione monstre delle banche verso il Portogallo e i sempre crescenti timori che Lisbona segua l’esempio greco della ristrutturazione e o si trovi costretta ad aumentare il volume degli aiuti internazionali.  Se si dovesse arrivare a uno swap come per Atene, cosa ne sarebbe delle banche iberiche esposte per 78,8 miliardi di euro verso Lisbona? Uno shock totale, anche se ovviamente non tutti questi soldi sarebbero bruciati da una ristrutturazione del debito lusitano: per tamponare quelle perdite, le banche avrebbero bisogno di altri soldi e da chi, visto che il mercato le ha di fatto tagliate fuori? C’è solo la Bce.

Il fatto è che se tutto andasse nel verso sbagliato, ovvero banche da ricapitalizzare e da proteggere da un default lusitano, il conto per la Spagna salirebbe a 250 miliardi di euro, il 17,7% del Pil spagnolo. E, anche con uno scenario migliore rispetto alle perdite sul Portogallo, il conto inciderebbe talmente sul Pil da necessitare, per forza, di aiuto internazionale. Parliamo ancora di cifre accettabili, visto che sia Portogallo che Irlanda hanno ottenuto piani di salvataggio pari al 45% del loro Pil, ma nel suo report Citigroup è chiara: «Con buone possibilità, la Spagna sarà spinta verso un programma di aiuto della troika già durante il 2012, quasi certamente a causa dell’incapacità di ottenere accesso ai mercati del finanziamento a condizioni accettabili. È probabile che per ottenere l’accettazione di un piano di aiuti-controllo, la Bce vincoli il suo continuo finanziamento delle banche iberiche, pressoché uniche acquirenti di debito sovrano, al sì incondizionato di Madrid».

Insomma, il combinato disposto di salvataggio di Portogallo e Spagna sarebbe di circa 350-370 miliardi di euro. Così composto: 26,6 miliardi per ricapitalizzare le banche in base alle richieste dell’Eba, 50 miliardi di riserve richieste dal governo alle banche, extra-riserve su assets a rischio 41 miliardi di euro, salvataggio delle sole banche spagnole 174 miliardi ed esposizione delle banche spagnole al Portogallo 78,8 miliardi. Quindi, la prima  voce di spesa sarebbe legata al salvataggio del sistema bancario spagnolo più il backstop sulle esposizioni e sarebbe approssimativamente di 250 miliardi di euro, mentre la seconda che conterrebbe anche il quasi contemporaneo secondo piano per il Portogallo farebbe salire il conto per Ue e Fmi a 350-370 miliardi di euro.

Della traiettoria greca di Madrid, poi, sono certi anche alla Carmel Asset Management, il cui ultimo report parla molto chiaro. Primo, il debito pubblico reale della Spagna è più grande del 50% rispetto ai numeri ufficiali, passando almeno dal 60% a oltre il 90%, calcolando anche quello regionale. Secondo, il prezzo degli immobili scenderà di un ulteriore 35% e non del 15% stimato, dato che non solo peserà sui bilanci bancari, ma che significherà due punti in meno di Pil per i prossimi due anni. Terzo, una volta che le banche spagnole smetteranno di imbellettare i dati dell’esposizione al real estate (2,8% ufficiale, contro l’11% stimato dalla Carmel nel suo studio), il loro stato di sottocapitalizzazione diverrà una headline globale sui mercati.

Quarto, nonostante le molte parole, l’Europa non ha un firewall abbastanza grande per salvare la Spagna, visto che le necessità di rifinanziamento di Madrid solo nel 2012 sono pari a 186,1 miliardi di euro. Infine, lo stigma: i prestiti della Bce alle banche spagnole a marzo sono saliti a 316,3 miliardi di euro, un dato quasi raddoppiato rispetto ai 169,8 miliardi di febbraio e che vede la liquidità della Bce pesare ormai per l’8,6% degli assets dell’intero sistema bancario spagnolo, percentuale molto vicina al 10% dei già falliti Grecia, Irlanda e Portogallo.

E quando, come accaduto mercoledì, lo stesso Fmi di fatto dice a Mario Draghi di attivare la stamperia Bce, altrimenti la tenuta stessa dell’eurozona è a forte rischio in brevissimo tempo, significa che il tempo dei giochini è finito. O Francoforte riattiva il programma Smp per gli acquisti sul mercato secondario, inviando un segnale chiaro alla speculazione rispetto a certi spread assolutamente fuori controllo e fuori di testa rispetto ai fondamentali o salta tutto: arrivare al ruolo di prestatore di ultima istanza in stile Fed è impossibile, poiché a quel punto l’eurozona salterebbe per l’addio della Germania, ma qualcosa tocca fare. E subito, ieri possibilmente.

Altrimenti, anche la data tanto temuta per l’euroarmaggedon, ovvero Ferragosto, potrebbe risultare tardiva. Ho il massimo rispetto per chi teme un’altra Weimar e lo spettro dell’iperinflazione, ma allo stato attuale, il rischio contrario è quello di una nuova Hiroshima.