Cosa si aspettavano i mercati da Mario Draghi? Perché una volta scoperto che la Bce ha infranto la sua golden rule, portando il tasso di interesse sotto l’1%, per l’esattezza un taglio di un quarto di punto allo 0,75%, le Borse sono virate in negativo? Colpa delle aste del mattino, che hanno visto l’Irlanda tornare con successo sui mercati, ma la Spagna pagare prezzi sempre più alti per restarci? Oppure a deludere tutti è stato il fatto che nelle parole del governatore è mancata quella sigla tanto attesa: ovvero Ltro, cioè una terza asta di finanziamento a tre anni all’1% per liberare liquidità nel sistema e farlo respirare?



Una cosa è certa, Milano non può essere precipitata al -2% perché il governatore della Bce ha detto che «nell’eurozona la crescita economica resta debole, ma nella seconda parte di quest’anno l’inflazione scenderà ancora e dovrebbe tornare sotto il 2% nel 2013» oppure che «una disoccupazione elevata peserà sullo slancio della ripresa, che è prevista graduale nel corso dell’anno». Semplicemente perché lo sanno anche i sassi, è prezzato da mesi: sia a livello azionario che obbligazionario. E anche il fatto che Mario Draghi abbia detto che «il consiglio direttivo della Bce ha accolto favorevolmente la decisione del Vertice Ue di usare con flessibilità i fondi europei Esm e Efsf per stabilizzare i mercati in funzione anti spread», non mi pare sia notizia degna di un crollo come quello vissuto ieri pomeriggio attorno alle 15 dall’indice Ftse Mib. Il no netto di Olanda e Finlandia e il più delicato e nebuloso “nein” della Germania sono anch’essi già stati prezzati dai mercati, come testimonia la testolina sempre in su degli spread.



Forse – e ribadisco forse – a dare qualche mal di pancia ai mercati sono state altre parole pronunciate dal numero uno dell’Eurotower. Ad esempio, queste: «Con l’ampliamento della gamma di titoli finanziari che la Bce accetta in garanzia per erogare finanziamenti, ora per le banche è molto facile prestare all’economia reale: perché facendolo in un certo senso creano dei collaterali che possono usare per ottenere i nostri rifinanziamenti», chiaro riferimento all’ampliamento dell’uso come collaterale ai titoli cartolarizzati da mutui ipotecari, ad esempio. O forse queste: «La Bce sarà rigorosa e indipendente nel suo nuovo impegno di supervisore unico del sistema bancario che l’Unione europea progetta di affidarle nei prossimi mesi. Ho posto cinque punti per la proposta sulla quale mi aspetto un forte impegno politico dei leader europei». O forse ancora, queste, riferite alla possibilità di una nuova asta Ltro: «Sono misure temporanee, non prendiamo impegni ex ante».



Io penso che la mia lettura sia esatta, anche perché con il suo stile freddo e anglosassone, Draghi ha detto chiaro e tondo tre cose: le banche non hanno più scuse per non prestare denaro a famiglie e imprese, visto che ottengono finanziamenti dalla Bce presentando anche carta igienica e figurine Panini come collaterale. Secondo, se supervisione bancaria a livello Ue sarà, altri casi Bankia non saranno accettati e accettabili. Terzo, finché il rendimento del decennale spagnolo non toccherà il 7,5%, scordatevi una nuova Ltro. E, per adesso, quella soglia appare ancora lontana.

Ieri mattina, infatti, il Tesoro iberico ha messo all’asta titoli a dieci anni nella sua quarta asta annuale a medio e lungo termine – avendo scelto una politica di multi-emissioni a breve proprio per evitare impennate dei tassi – pagando un rendimento del 6,43% sui 747 milioni di euro di bonds emessi, contro il 6,044% pagato il 7 giugno scorso. E l’andamento dello spread iberico, ieri mattina, ha inviato segnali preoccupati, precipitando al minimo del 6,1%, salvo risalire al 6,62% nell’arco di due ore. Meglio il titolo a tre anni, quello comprato a man bassa dalle banche spagnole con gli ultimi spiccioli dell’asta Ltro di febbraio, la quale garantiva infatti prestiti di pari durata: i bond con scadenza 30 luglio 2015, in totale 1,2 miliardi di euro, sono stati collocati al 5,086% di rendimento, contro il 5,457% del 21 giugno scorso. Ma appena messo il becco fuori dal limite temporale dei soldi a costo praticamente zero della Bce, ecco altre brutte sorprese: il bond con scadenza 31 ottobre 2016, venduto per un ammontare pari al 1 miliardo di euro, ha infatti pagato un rendimento del 5,536%, contro il 5,353% del 7 giugno. E il fatto che a due ore dall’asta, il benchmark sul decennale spagnolo segnasse già un ampliamento di 20 punti base significa che chi ha comprato, leggi le banche spagnole ultra-indebitate, già scontano un perdita a bilancio.

Chi invece ha inviato un bel segnale ai mercati, ieri, è stata l’Irlanda, tornata sul mercato con un’emissione sovrana per la prima volta dal salvataggio del novembre 2010, pagando meno della Spagna, a livello di rendimento, per collocare titoli di Stato a tre mesi: insomma, un Paese salvato dall’esterno si comporta meglio di uno formalmente non assistito, i fondi Ue andranno infatti al Frob (il Fondo salva-banche iberico) e non al governo di Madrid. Ieri, infatti, il Tesoro di Dublino ha venduto 500 milioni di Bills a tre mesi pagando l’1,8% di yield, mentre il 26 giugno scorso quello di Madrid per collocare bonds con la medesima scadenza aveva dovuto pagare rendimenti quasi triplicati dalla precedente emissione del 22 maggio, qualcosa come il 2,363%. Dublino era stata l’unica nazione sotto piano di salvataggio a non emettere debito a breve, a differenza di Grecia e Portogallo, le quali hanno proseguito rispettivamente a collocare debito a tre mesi e, nel caso di Lisbona, anche a 18.

Gli analisti vedono come positivo l’accaduto e ora attendono la prima emissione almeno a medio termine per testare l’effettiva capacità dell’Irlanda di rifinanziare il proprio debito autonomamente sui mercati. «L’asta irlandese dei titoli a tre mesi è un buon risultato, almeno da un punto di vista simbolico», ha affermato Owen Callan, analista della Deutsche Bank, secondo cui «si tratta comunque di un elemento di una sequenza di eventi che deve essere seguita per un pieno ritorno ai mercati del debito a lungo termine quest’anno e nei primi mesi del prossimo». Apprezzamento anche da parte dello stesso Mario Draghi, secondo cui «oggi l’Irlanda è tornata a raccogliere capitali, molto prima di quanto ci aspettassimo».

Quale lezione dobbiamo trarre, quindi, dalla turbolenta giornata di ieri? Che l’Irlanda ha pagato un prezzo altissimo alla sua bolla immobiliare, a una politica abbastanza folle di apprezzamento dell’euro voluta dalla Germania e anche all’incapacità della politica di porre un argine, ma, a differenza di altri, Spagna in testa, non ha truccato i conti, ha detto la verità sul suo sistema bancario, facendo pulizia e resta un polo di attrazione di investimenti esteri grazie al livello tecnologico avanzato, la bassa burocrazia, la politica dei cluster e la corporate tax al 12,5%. Altro che austerity, i mercati prezzano altro. La giornata di ieri ne è stata la conferma più lampante.

 

P.S. A fine giornata di contrattazioni, la Borsa di Milano ha chiuso al -2,03%, dopo aver toccato anche il minimo di quasi tre punti e mezzo percentuali ed essere scesa sotto quota 14mila punti. Lo spread tra Btp decennali e Bund equivalenti si è attestato in area 457 punti base, a un tasso del 5,97%, mentre il differenziale tra Bonos e Bund è al 538 punti con rendimento del 6,7%. L’euro, poi, è sceso sotto quota 1,24 sul dollaro. Insomma, urge un nuovo vertice salva-Ue, per l’esattezza penso sia il 2789mo. Anche perché mentre la Bce taglia di un quarto di punto il costo del denaro, la Banca d’Inghilterra ha deciso di stampare altri 50 miliardi di sterline per acquistare direttamente titoli di Stato inglesi: in questo modo continuerà a tenere vicini allo zero i tassi di interesse che paga lo Stato inglese per finanziarsi, aumentando l’appeal verso i Gilts per gli investitori. La Danimarca, nel frattempo, ha portato il tasso per il certificato di deposito i negativo, al -0,2%, per cercare di calmierare gli afflussi di capitale.

Siamo punto e a capo. Ma le munizioni, ormai, sono agli sgoccioli. Tanto più che nonostante l’allentamento degli standard sul collaterale da depositare presso la Bce per ottenere finanziamenti, le Margin Calls dell’Eurotower la scorsa settimana sono salite al massimo degli ultimi nove mesi. Con i rendimenti che salgono e i prezzi che di conseguenza scendono, il collaterale che le banche europee hanno depositato presso la Bce ha perso di valore e quindi le stesse banche devono trovare il denaro necessario a coprire quelle calls sui margini. Ecco perché le parole di Draghi sulle banche hanno avuto l’effetto di una bomba ai neutroni sul mercato.