Ci risiamo. Il trading ad alta frequenza torna ad agitare i mercati (come se ce ne fosse bisogno, con l’aria che tira). Dieci giorni fa 140 società di Wall Street hanno vissuto 45 minuti di panico. Nel mirino ancora una volta l’high frequency trading, ovvero quelle piattaforme che ricorrono a computer e sofisticati algoritmi per operare in Borsa. Migliaia di ordini eseguiti in poche frazioni di minuti sulla base di sofisticati algoritmi, scelte di investimento effettuate in 30 microsecondi capaci di condizionare listini già fin troppo sulle montagne russe. Anche perché questi software possono fornire vantaggi a chi investe, come ad esempio osservare prima degli altri per frazioni di secondi oscillazioni sugli ordini e operare di conseguenza. Quando però il mercato è nervoso e volatile, queste micro-oscillazioni possono avere conseguenze su più mercati elettronici connessi. In questi contesti il trading superveloce rischia di combinare guai.
La scorsa settimana, però, non è stata tutta colpa della matematica. Un centinaio di titoli ha ballato freneticamente con balzi superiori al 10% per un problema tecnico nel software della divisione di market marketing di Knight Capital Group, uno dei big delle piattaforme elettronica high-frequency. La società ha ammesso il disguido, ma lo stesso gli è costato caro. Il giorno dopo il titolo è stato punito con una perdita di ben 440 milioni di dollari, circa un terzo del suo valore. Per la società è un tracollo, tanto che sarebbe già pronto un finanziamento per tenerla a galla. Qualcosa si muove, forse, sul fronte del trading ad alta frequenza e degli effetti manipolatori che questa pratica ha sul funzionamento dei mercati finanziari. A Londra cominciano a circolare report allarmati e, soprattutto, sempre più “confessioni” di operatori del settore, consci che ormai si stia superando il limite, anche fisico – leggi, la velocità della luce – dell’high-frequency trading e si rischi un crollo del valore degli assets, una volta che la bolla degli ordini inseriti senza volontà reale di acquisto sarà esplosa, visto che ormai conta per più del 60% del trading negli Stati Uniti.
In effetti, i movimenti di prezzatura cui stiamo assistendo in questo periodo non sono umani, sono troppo veloci e troppo consistenti. Anomalie, come un titolo che crolla del 10% in un secondo e il secondo successivo rimbalza del 5%, sono sempre più frequenti e sempre meno spiegabili, anche facendo affidamento a grafici di breve termine. Solo una motivazione può dare una risposta: l’operatività dell’high-frequency trading in millisecondi. Un qualcosa che impatta pesantemente sugli investimenti degli operatori “normali” e sugli investitori, soprattutto quelli che operano sul medio-lungo periodo.
Sono tre, semplificando, gli effetti negativi. Primo, l’Hft ha migliore accesso al mercato, il cosiddetto accesso diretto che si sostanzia nel fatto di non dover passare attraverso un broker per eseguire gli investimenti. Quando un investitore piazza un ordine con un qualsiasi broker, quest’ultimo sceglie su quale piazza mandare l’ordine in base a dove sia meglio per lui: compra al prezzo migliore e poi te lo vende. L’high-frequency trader, invece, può scegliere su quale piazza tradare, può vedere il prezzo di un titolo su tutte le Borse e prendere una decisione direttamente, senza delegare a un broker. Secondo, il trading ad alta frequenza ha un vantaggio netto di velocità rispetto agli altri investitori e lo sfrutta in molti modi: allineando i propri server a quelli delle Borse, utilizzando equipaggiamento molto sofisticato, programmando un computer affinché operi su istruzioni pre-settate. Terzo, l’Hft ha una conoscenza perfetta delle micro-strutture di mercato: cosa succede dopo che hai piazzato un ordine al tuo broker? Dove va quell’ordine, come è eseguito, come sono priorizzati gli ordini? Chi opera in Hft è un assoluto esperto in questo campo, a differenza degli altri investitori. Questo in un contesto di mercato azionario completamente differente, visto che a fronte delle analisi classiche rispetto agli stati patrimoniali e ai cash-flows, la prezzature dei titoli per l’Hft è basata unicamente sulla reazione ai movimenti del prezzo di un titolo. Questo di per sé può non essere un male, ma pesando l’Hft per i due terzi del volume di contrattazioni, si ha la strana situazione di una prezzatura basata sulla percezione da parte dell’Hft di quanto gli altri, a loro volta, percepiscono. Si opera guardando il mercato allo specchio, insomma, influenzando tutti, anche gli investitori che operano una sola volta al mese.
Ci sono poi i cosiddetti “trending movements”, ovvero quando l’Hft deliberatamente fa salire o scendere il prezzo di un titolo per trarre beneficio. Per esempio, un computer può inondare il mercato con un numero spaventoso di ordini di vendita, far scendere il valore di un titolo per poi ricomprare lo stesso a un prezzo più conveniente. Insomma, manipolazione pura, ancorché legale. Tanto che alcuni operatori, in camera caritatis, cominciano a mettere in guardia gli investitori dall’utilizzo di uno dei più noti strumenti di protezione dalle perdite borsistiche, ovvero l’inserimento degli stop-loss. Il perché è presto detto: esistono algoritmi che tracciano gli stop-loss e li manipolano contro l’investitore che li ha utilizzati. Il gioco, d’altronde, è semplice per chi può usufruire di certi mezzi tecnologici: il prezzo di un titolo scende del 2-4%, attiva lo stop loss e in quel momento l’Hft interviene sull’acquisto a prezzo scontato, generando un profitto non appena l’azione risale nel valore. Questo accade principalmente sul titoli più liquidi ma non solo.
E ancora, alcuni Hft cercano di leggere e processare le notizie prima degli altri. Esistono algoritmi creati per leggere le headlines dei giornali, cercare parole chiave ed eseguire ordini basati su ciò che hanno letto, il tutto in secondi o anche meno. In questo caso l’Hft fa ciò che è nelle possibilità anche degli umani, solo lo fa più velocemente. E prendendo, in questo modo, anche delle cantonate che però, visti i volumi che è capace di muovere, vanno a toccare tutti gli investitori. Non molto tempo fa, un Hft prese per buona una notizia che dava Boeing sull’orlo della bancarotta e cominciò a vendere i titoli non appena l’algoritmo tracciò le parole “bankruptcy” e “Boeing”. La storia si rivelò una bufala e l’Hft perse, evidenziando un potenziale limite del suo sistema: un operatore “umano” letta quella notizia e conoscendo lo stato reale di Boeing, avrebbe fatto 100 verifiche prima di vendere o posizionarsi short.
Ci sono poi gli algoritmi definiti “manipolativi”, ad esempio quelli in base ai quali molti Hft compiono operazioni quasi simultanee su differenti piazze finanziarie e traggono profitto dal ritardo di una di queste. Ad esempio, prendiamo il Nasdaq ed Egde, dove il titolo xy viene trattato a 1 dollaro per azione. L’Hft manda una serie di offerte a Nasdaq ed Edge tentando di vendere xy a 1,01 dollari, una volta che il Nasdaq ha accettato l’ordine, l’Hft può cancellare simultaneamente l’ordine di vendita a 1,01 dollari su Edge e rimpiazzarlo con uno di acquisto al prezzo originario di 1 dollaro per azione. Edge accetta immediatamente l’ordine, poiché il sistema non ha ancora immagazzinato il nuovo prezzo di 1,01 e la posizione netta dell’Hft va a zero. Il tutto grazie alla cosiddetta “latency”, il ritardo nel sistema, che garantisce all’Hft un arbitraggio di 0,01 dollari. Moltiplicate questo mini-profitto per milioni e milioni di operazioni e i numeri generati si fanno interessanti.
Si può, inoltre, modellare il comportamento degli altri investitori. Quando qualcuno fa trading con un broker, i loro ordini hanno un unico numero allegato, che rimane lo stesso ogni volta che quel cliente piazza un ordine. Il numero è legato a tutte le informazioni rilevanti rispetto al trading in atto (tempo, prezzo) e venduto come un “enhanced data feed” criptato. Un Hft può, utilizzando i risultati di trading passati, predire il comportamento dell’investitore. Essendo quei dati standard e disponibili a chiunque voglia comprarli, gli Hft non sono accusabili di acquisto di informazioni illegali. Ma il setting di quei dati è possibile da utilizzare in maniera rapida solo a chi ha computer potentissimi, ovvero gli Hft. I quali, usano queste informazioni sull’aggregato per creare un modello del comportamento dell’investitore, facendosi un’idea più che probabile di quando e come entrerà sul mercato.
Inoltre, anche i due argomenti principi in difesa dell’Hft – l’aumento di liquidità nei mercati e l’effetto di attenuazione dello spread tra denaro e lettera – si scontrano con la realtà. L’Hft, infatti, riduce la liquidità quando è più necessaria, mentre altre volte inonda il sistema con ordinativi non-sense. Basti un esempio: la scorsa settimana era prevista la pubblicazione di un report sul petrolio alle 10.30 del mattina e tra le 10.28 e le 10.29 gli ordini di acquisto sull’Uso (United States Oil Fund, un Etf che traccia l’andamento del petrolio) si sono prosciugati. Insomma, per chi voleva uscire dall’Etf non c’era alternativa se non accettare un cattivo prezzo o aspettare il ritorno della liquidità. Insomma, l’Hft danneggia la liquidità più di quanto la aiuti o aumenti. Altra leggenda quella del restringimento dello spread tra denaro e lettera, visto che alcuni Hft utilizzano algoritmi che vanno ben al di là del limite legale dell’Nbbo, cioè del National Best Bid and Offer, un livello che i trader possono superare dell’8%, più un altro 1,5% arrivando a un margine di trade legale del 9,5%. Si gioca sulla velocità, visto che gli ordini degli Hft durano solo millisecondi e quando vengono fatti entrare sono molto vicino al limite dell’Nbbo, salvo utilizzare algoritmi che tracciano gli ordini di altri traders fino a trovare un prezzo più distante dal limite. Lo spread, quindi, sembra ristretto ma solo perché i computer normali sono molto più lenti di quelli Hft e mantengono artificialmente vivo quell’ordine per qualche secondo più rispetto alla sua reale chiusura.
È successo ,ma è come se non fosse mai successo davvero. Ma oltre ai danni materiali e alla manipolazione dei mercati, l’Hft sta di fatto erodendo la fiducia stessa degli investitori nella Borsa, vista come un mondo sempre più difficile da capire e in mano a predatori: quindi, tolgo i soldi e li investo altrove. A questo va poi unito l’universo oscuro delle dark pools, le piattaforme di contrattazione privata non regolamentate dove solo i partecipanti possono vedere il trade, non gli altri.
La Themis Trading lo scorso anno pubblicò un breve report dal titolo “Phantom Indexes” nel quale sottolineava come solo il 30% di tutti gli assets contrattati lo siano su piattaforme regolamentate e visibili: ovvero, il Dow o lo S&P 500 sono calcolati con solo il 30% del volume reale. La maggioranza della contrattazioni – 70% – viene compiute all’oscuro e non è fattorizzata negli indici. Non è un mistero, infatti, che nella City si cominci a prospettare come probabile il fatto che grandi compagnie come Pimco o BlackRock possano creare le loro piattaforme di contrattazione e competere per rendere le condizioni di mercato più eque per i propri clienti, schiacciati dal peso dall’Hft e dalla sempre minor credibilità delle Borse nazionali, le quali vendono spots agli Hft affinché questi possano piazzare i loro server il più vicino possibile alla Borsa per guadagnare in velocità, pagando cifre a sei zeri. Il problema è che attaccare l’Hft significa attaccare i colossi e questo, purtroppo, non appare nella volontà di molti.
Una delle proposte per limitare i danni dell’Hft è infatti quella di “marchiare” gli ordini creati per durare 250 millisecondi o meno, in modo che qualsiasi operatore sul suo schermo possa vedere da subito se l’ordine è legittimo o solo un gioco di specchi. La Sec ha già regole in tal senso, ovvero per combattere gli ordini che sono piazzati senza l’intenzione di essere eseguiti ma diciamo che la governance di questa legislazione e la sua applicazione reale lascia non poco a desiderare. Anche una tassa sulle transazioni appare un pannicello caldo, anzi una mossa controproducente visto che un colosso è ben contento di continuare a fare miliardi con l’Hft, legalmente, pagando una tassa, mentre a patire sarebbero gli investitori normali.
Occorre, però, rallentare il sistema, affinché le informazioni che vengono messe in circolo nel sistema alla velocità della luce possano subire un check. Altrimenti, la bolla è destinata a espandersi fino a quando sarà toccato il limite possibile della leva sulla velocità, per poi esplodere. Peccato che con il 60% delle transazioni ormai in mano all’Hft e al 70% attuate nelle dark pools, cosa succederà al valore degli assets quotati nelle Borse nazionali quando il grande inganno dell’alta frequenza sarà scomparso?
«Una volta a Wall Street si scommetteva su aziende che creavano qualcosa. Ora si scommette solo su tecnologie che rendono il trading sempre più veloce», è il commento sconsolato di un trader. Attenzione a sottovalutare il rischio, come fatto con la crisi subprime. Il prossimo inverno, Tradework inaugurerà la nuova rete di Hft che collegherà Wall Street a Chicago, sede della Borsa dei derivati e delle commodities, in 8,5 millisecondi: siamo al deriva faustiana dei mercati, qualcuno ponga un limite prima che sia tardi.