Eh vai! Tassi in calo nell’asta di Btp a 5 e 10 anni e buona la domanda. Ieri il Tesoro ha venduto titoli per complessivi 6,5 miliardi, obiettivo massimo, con il tasso sul Btp quinquennale in netta discesa sotto il 5% al 4,73% dal 5,29% di luglio. Meno marcato, invece, il calo sul decennale, passato al 5,82% dal 5,96% precedente. E, infatti, lo spread è tornato a salire dopo l’asta, sui rinnovati timori per la tenuta immediata della Spagna.

Come vi dicevo ieri, a Madrid stanno prendendo il brutto vizio dei greci, ovvero raccontare balle e truccare i conti. La regione autonoma di Valencia chiederà infatti al fondo nazionale spagnolo di salvataggio aiuti per oltre 4,5 miliardi di euro, altro che i 3,5 miliardi euro dichiarati fino a ieri. Quindi, solo per salvare Murcia, Catalogna e Valencia, il governo dovrà sborsare oltre 10 miliardi di euro. Auguroni.

Insomma, segnali contrastanti. Tali da far dire al premier cinese, Wen Jiabao, durante l’incontro con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, a Pechino, le seguenti parole:  «Ci sono due preoccupazioni principali: in primo luogo, di sapere se la Grecia lascerà l’euro. Poi, di sapere se l’Italia e la Spagna prenderanno misure complete per la ripresa. La crisi del debito europeo è continuata a peggiorare, causando serie preoccupazioni nella comunità internazionale. Francamente, anch’io sono preoccupato».

Immediati sono tornati a circolare sui mercati rumors riguardo un intervento cinese sul mercato obbligazionario europeo, sesto annuncio nell’arco di un anno, cui però non sono mai seguiti atti concreti.

Stando a Reuters, ecco cosa avrebbe detto Wen Jiabao: «La Cina è preparata ad acquistare più bonds governativi europei in caso la crisi del debito peggiori, rischiando di trascinare con sé l’economia mondiale».

Peccato che la parolina magica affinché Pechino intervenga sia “condizionale”. Già, l’aiuto sarà condizionato all’essenza totale di rischi sul mercato del debito sovrano. E cosa vuol dire questo? Che la Bce deve garantire il proprio backstop totale, altrimenti la Cina – la cui economia mostra sempre maggiori segni di rallentamento e un’espansione preoccupante della bolla creditizia – farà ciò che ha fatto finora: nulla, se non comprare tonnellate d’oro.

Insomma, ennesima bufala con gli occhi a mandorla. Il problema è che, al netto dell’assenza di un vero cavaliere bianco, la situazione in Europa è giunta a una totale assenza di domanda di credito, situazione che ha disintegrato il cosiddetto moltiplicatore monetario, esattamente come accaduto negli Usa.

Il perché è presto detto: le banche hanno immagazzinato i fondi delle aste Ltro e dei finanziamenti Bce non mettendoli in circolazione, salvo per le aste di debito in ossequio allo schema Ponzi dell’Eurotower. Il tutto, in un contesto di deleveraging mostruoso per le banche europee, con proiezione di riduzione della leva nei prossimi 18 mesi pari a 1,5-2,5 triliadi di euro e previsioni più a lungo termine che, nell’arco dei prossimi 5 anni, potrebbero raggiungere i 4,5 triliardi, partendo dal dato di crescita zero dei depositi.

Cosa aspettarsi, quindi, dalla riunione della Bce del 6 settembre prossimo? Morgan Stanley si attende un taglio del tasso di rifinanziamento di 25 punti base allo 0,5% e del tasso repo al -0,25%, escludendo di fatto ogni possibile ipotesi di una terza asta Ltro, di ampliamento della platea del collaterale accettato o di attivazione del programma di acquisto nei fatti prospettata a metà agosto.

Ma, paradossalmente, non sono questi  i numeri che devono fare paura. Ma altri e altre parole. Come queste, pronunciate lunedì scorso dal capo della divisione europea del gigante Unilever, Jan Zijderveld: «La povertà sta ritornando in Europa». Detto dal numero uno di un colosso della distribuzione di prodotti di largo consumo, deve far paura: soprattutto, quando in ossequio a questa certezza si stanno già cambiando tutte le strategia commerciali e di marketing, riaggiornando quella utilizzata nei Paesi poveri in via di sviluppo. Prosegue Zijderveld: «Se gli spagnoli hanno ridotto di una media di 17 euro ogni singola spesa che fanno, posso vendere loro un detergente che costa la metà del loro budget? In Indonesia, vendiamo singole confezioni di shampoo per 2 o 3 cents e guadagnamo comunque ancora un bel margine».

Mercoledì scorso, sposando questa logica, l’amministratore delegato di L’Oréal, Paul Agon, ha parlato a chiare lettere di «logica del depauperamento». Detto fatto, nel Sud Europa la Unilever opera ormai come se la crisi del debito non fosse un qualcosa di transitorio ma un trend di lungo periodo con cui dover convivere, esattamente come in certe parti dell’Asia: in Spagna vende il detersivo per lavatrice “Surf” in confezioni sufficienti per cinque lavaggi, mentre in Grecia ha ridotto le dimensioni delle scatole di prodotti come il puré di patate o la maionese. E, udite udite, la stessa strategia di abbattimento costi sta per essere attivata anche nel Regno Unito.

Il perché è presto detto: la gente non ha più soldi, tanto che da quando queste nuove strategie sono state introdotte lo scorso anno, le vendite hanno smesso di crollare e, anzi, nella prima metà di quest’anno sono cresciute dell’1,1%.

C’è però un effetto collaterale: lo squeeze sui prezzi, ha portato all’aumento della pressione su margini e profitti per chi alle confezioni più piccole ha preferito la logica del megasconto, con L’Oréal ad esempio, crollata del 5% al Cac40 dopo la presentazione dei risultati mercoledì scorso. «In Europa, governi e banche sono come una coppia di ubriachi che si regge a vicenda all’angolo della strada. Sono altamente regolati, altamente tassati e socialmente instabili. Ecco perché sarà l’epicentro della tempesta che sta per arrivare», ha preconizzato Doug Casey, numero uno della Casey Reseach. Uno che, purtroppo, di solito ci azzecca. E un dato, ieri, ha confermato non solo questa tendenza ma anche il fatto che se l’Europa periferica sta male, a pagare il conto è anche la sana e ricca Germania. Le esportazioni tedesche nell’eurozona nel primo semestre del 2012, infatti, sono calate dell’1,2% a 211,6 miliardi di euro, secondo l’istituto federale di Statistica di Wiesbaden. Crollo nei paesi del Sud Europa: in Italia il dato è -8,2% e le prestazioni del campione di export vanno ancor peggio in Portogallo (-14,3%), Spagna (-9,4%) e Grecia (-9,2%).

Il giochino tedesco di sacrificare i cosiddetti Piigs sull’altare della salvezza teutonica potrebbe nascondere quindi dei fastidiosi effetti collaterali. Se la logica era quella di ottenere come risultato quello di essere uccisi per ultimi dalla crisi, a Berlino possono cantare vittoria. Contenti loro, più poveri tutti.