Stimolo, stimolo, stimolo! Il nuovo mantra planetario, con l’ovvia eccezione della Bce, è quello della svalutazione delle monete e dell’imposizione di caps sui cross valutari. Il tutto in nome del nuovo acronimo che governerà il 2013, ovvero Ngdp, l’obiettivo di Pil nominale che sottende la volontà di intraprendere nuove e più drastiche azioni. Nel frattempo, prepariamoci all’effetto collaterale di un stimolo monetario a livello globale e di Borse euforiche, tanto che Ambrose Evans-Pritchard azzarda la previsione di un S&P 500 ai massimi di 1565 punti a inizio anno. Basti pensare che la sola Banca del Popolo cinese ha iniettato 14 triliardi di dollari di extra-credito nel sistema da 2009 a oggi, un fiume di denaro pari all’intero sistema bancario statunitense.

Il problema è che questa corsa forsennata all’abbassamento valutario attraverso continui stimoli rischia di diventare un guaio per il mercato obbligazionario corporate, un mercato che solo per gli Usa vale qualcosa come 8 triliardi di dollari. Con i rendimenti prezzati per la deflazione, diventa pericoloso detenere titoli a 10 anni, quindi il denaro passerà dalle obbligazioni alle equities e all’oro: il solo intervento della Banca cinese potrebbe far schizzare l’oncia a 2000 dollari. 

L’Europa, come detto all’inizio, resterà invece ferma, sia perché il controllo delle leve è in mano alla Germania, sia perché Berlino per il momento non ha ancora bisogno di uno stimolo. Risultato? L’area sud dell’eurozona sarà condannata a un altro anno di lenta asfissia, tanto che nessun centro studi prevede per il 2013 che l’esplusione o l’uscita della Grecia possa essere l’argomento di discussione, bensì per quanto i paesi dell’intera cintura meridionale dell’Ue accetteranno di essere subordinati a una sfera export denominata di fatto in marchi tedeschi, un qualcosa che cozza decisamente con i loro interessi. 

Certo, ci sarà di converso la concessione dello spauracchio della Bce per calmierare gli spread di Italia e Spagna, il cosiddetto bazooka-Draghi, ma per quanto? E a quale costo, in caso davvero il denaro fresco di stampa di mezzo mondo dirà addio all’obbligazionario, sovrano e corporate e si riverserà in Borsa? Di quale portata potrà essere la sell-off per poter essere gestita dal bilancio già monstre della Bce?

Ciò che personalmente mi spaventa, poi, è un’altra cosa: siamo sicuri che lo spread ci interesserà ancora tanto nel 2013? Non sarà che il focus si sposterà, anche in maniera un po’ traumatica, dal fronte finanziario a quello dell’economia politica? O, meglio, della politica economica dei vari Stati. 
Le elezioni e i mutamenti nelle dinamiche interne dei governi conteranno forse più delle aste di debito, visto che già oggi molti analisti sono più interessati alle proiezioni sui tassi di disoccupazione o ai sondaggi di gradimento politico.

E sapete quale li interessa e molto? No, non l’Italia, per quella ci sarà tempo, oggi ciò che finisce nei mirini è l’ascesa spaventosa del Front National di Marine Le Pen, euroscettico, favorevole al ritorno al franco e ormai alla pari con i gollisti nelle intenzioni di supporto dei cittadini. Attenzione alla Francia, cari lettori e non per ulteriori, ridicoli downgrade del rating di credito, ma per il fatto che sarà il Paese che pagherà il prezzo politicamente più alto al mix letale che ci attende dietro l’angolo, ovvero l’euro a 1,44 sul dollaro combinato a un’ulteriore dose di austerità. Come dicono a Roma, ciao core.

Perdendo già oggi Parigi 50mila posti di lavoro al mese, al netto di un settore automobilistico da mani nei capelli e pressoché nazionalizzato, penso che Francois Hollande cercherà in tutti i modi alleati politici tra i cosiddetti Piigs per l’attivazione del paragrafo 2 dell’articolo 129 del Trattato di Lisbona, obbligando la Bce a forzare al ribasso i tassi di cambio. Temo, però, che anche in caso trovi alleati (se sarà eletto premier, cosa a cui non crede in verità nemmeno lui, Pier Luigi Bersani si prepari a un bel pressing da Oltralpe), sarà tardi. 

E l’Italia? Come i poteri forti stiano muovendosi è stato chiaro fin da ieri, quando il Wall Street Journal dedicava un articolo alla prossima tornata elettorale dal titolo “Chi ha paura delle elezioni italiane” e dal quale si evincevano due cose: primo, se torna Berlusconi i mercati vi massacreranno. Secondo, se Monti prende una buona percentuale nascerà un governo di centrosinistra in grado di rassicurare gli investitori e con il professore in un ruolo di primo piano. Ancora una volta, prepariamoci a una bella soluzione eterodiretta.

E la Spagna, di cui già ieri vi ho parlato non certo con toni rassicuranti? Analisti di varie banche d’affari danno il tasso di disoccupazione in ulteriore crescita dal 26% al 30% se Rajoy manterrà gli impegni sull’austerity presi con la troika, un qualcosa che andrà a mixarsi con l’esplosione finale della bolla immobiliare. Insomma, per far piacere alla troika e alla Merkel, si continuerà a fare gli interessi dei creditori e non del popolo spagnolo. Gli ultimi dati su cui stanno lavorando gli analisti parlano di disoccupazione giovanile al 55% entro luglio di quest’anno: a quel punto, la rivolta sociale sarà inevitabile.

Ecco, cosa ci aspetta: mentre il resto del mondo si muoverà sulle ali, magari fragili, di politiche di stimolo, l’eurozona resterà al palo, sprofondata nella recessione permanente e sempre più spaccata in due tra Nord e periferici. Finché dura, perché veramente potrebbe non essere più la Germania a minacciare di cacciare qualcuno, ma quel qualcuno che saluta Berlino e se ne va. Tanto, morire per morire, meglio farlo in piedi e ristrutturando il debito svalutando.