«Dobbiamo tenere bene in mente che i rischi sistemici da Cipro potrebbero essere piccoli, la nostra unione non è un’unione di trasferimento. C’è stato un buon progresso sulla situazione cipriota, dobbiamo ricordarci però che la soluzione deve riflettere la sostenibilità del debito e la stabilità finanziaria». Così parlò Mario Draghi, nel corso della conferenza stampa seguita alla riunione del board della Bce. Buon progresso? Quale? Eccolo. Non c’è che dire, le autorità europee sono veramente geniali. L’ultimo Eurogruppo, infatti, era chiamato a dare una risposta alla richiesta di salvataggio da 17 miliardi avanzata da Cipro per evitare il default (circa 11 per il sistema bancario, il resto per servizio del debito e operazioni generali di governo): ovviamente, non si è deciso nulla e si è rimandato tutto al prossimo appuntamento di fine marzo. Ma tanto per non smentire la propria fama di dilettanti allo sbaraglio, i sapienti cervelloni riuniti a Bruxelles hanno fatto filtrare in via ufficiosa che quasi certamente ci sarà un bail-in bancario, ovvero si metterà mano ai conti presenti negli istituti ciprioti per far pagare buona parte del salvataggio ai depositari.



Detto fatto, la corsa a ritirare i depositi è diventata una vera e propria calata di barbari. Basti pensare che nelle prime due settimane di febbraio, soltanto sulla scorta dell’ipotesi e senza una sua conferma seppur indiretta, dalle banche cipriote è stato ritirato un miliardo di euro, mentre la Bank of Cyprus ha certificato un calo dei depositi di 1,7 miliardi di euro nel solo mese di gennaio. Impagabili i nostri euroburocrati! Così facendo, infatti, non si è che aggravata la situazione già tremebonda delle banche cipriote e in tal modo quella dell’intera economia dell’Isola, il tutto per permettere alla Merkel, in vista delle elezioni di settembre, di dire ai suoi connazionali che non dovranno pagare un solo euro in più per nuovi salvataggi, dopo quelli di Grecia (fallito), Irlanda (parzialmente fallito) e Portogallo (tutto ancora da valutare, anche se ieri Standard&Poor’s ha alzato l’outlook sul rating a stabile).



Il ministro delle Finanze cipriota, Michael Sarris, ha detto chiaro e tondo che una scelta come quella avanzata dai suoi colleghi dell’area Nord dell’Ue rischia di intaccare la fiducia dei mercati e dar vita a un nuovo spasmo nella crisi del debito dell’eurozona: «Non c’è alcuna possibilità che noi possiamo prendere in considerazione un qualsivoglia tipo di haircut su depositi o altro. Questa scelta, infatti, si configurerebbe non come un incidente causato dai mercati ma come un ferita che l’Europa si autoinfligge, una catastrofe non solo per Cipro ma per l’eurozona e anche di più».



Il problema, come ho già accennato, è prima politico che economico: la Germania non può e non vuole dover mettere ancora mano al portafoglio e invece di cercare una soluzione negoziale ha utilizzato le sue menti migliori per cercare il modo di scaricare i costi sui correntisti, visto che il bail-in bancario sui depositi potrebbe abbattere il costo del pacchetto di salvataggio da 17 a 6 miliardi di euro. Il problema è che, come dimostrato, toccherà fare un haircut sempre più pesante, se continuerà l’emorragia di capitali dalle banche cipriote innescata dalle parole del capo dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, il quale non ha voluto affatto escludere l’ipotesi di perdite per i depositari. Certo, dalla loro tedeschi e Paesi AAA (Olanda, Lussemburgo e Finlandia) hanno la convinzione che un’isoletta con 1,1 milioni abitanti e un Pil di 17 miliardi di euro non possa porre una minaccia sistemica per l’eurozona, ma l’interconnessione tra Cipro e la Grecia dovrebbe far riflettere un po’ più onestamente, invece che trovare alibi tutti a scopo politico interno.

Anche perché i numeri macro di Cipro continuano a peggiorare. A febbraio il tasso di disoccupazione è salito al 22%, a maggio lo Stato non avrà i soldi per pagare le sue incombenze e un report che circola a Bruxelles parla di un aumento della ratio debito/Pil al 145% dovuto ai costi per completare il salvataggio bancario, percentuale che imporrebbe di fatto una ristrutturazione draconiana. Insomma, la via greca qui non è percorribile. Tanto più che, anche se piccolo in termini nominali, il bail-out cipriota equivale al 100% del Pil della nazione, trasformandolo nel salvataggio più grosso compiuto nell’eurozona dopo quello di Atene, tre volte quanto garantito al Portogallo nel 2011. Il problema quindi non è il denaro, che l’Ue può permettersi, ma come Cipro potrà ripagare quel prestito, un punto interrogativo che rende il salvataggio insostenibile e quindi vedrebbe il Fondo monetario internazionale non disponibile a partecipare: uno smacco di credibilità notevole sull’intera operazione.

A confermare che c’è poco da scherzare col fuoco è Charles Dallara, capo dell’Institute of International Finance, il gruppo di creditori privati che ha negoziato la ristrutturazione del debito greco: «Cipro, a livello di nazione, rappresenta il più serio rischio che l’eurozona deve fronteggiare. Noto una disconnessione tra Cipro e i partner dell’eurozona e non vedo alcun segnale di come poter colmare quel gap». Eppure, bozze di un tentativo di ristrutturazione sono già circolate, peccato che tutte inconcludenti. Si parla di privatizzazione di assets statali, come la compagnia telefonica, una riforma del sistema pensionistico, addirittura una tassa di scopo una tantum, oltre alla ristrutturazione del sistema bancario. Ma quanti soldi potrebbero generare misure simili? Privatizzare la compagnia telefonica, quella elettrica e l’autorità portuale porterebbe, al massimo, 2-3 miliardi di euro ma comunque sia, sarebbe necessaria una ristrutturazione del debito per rendere sostenibile il salvataggio.

Cipro, però, ha solo un ammontare minimo di debito sovrano, la maggior parte del quale detenuto proprio dalle banche cipriote: un haircut, quindi, andrebbe a colpire i bilanci di un settore già in crisi. A confermarlo è Douglas Renwick, analista di Fitch a Londra, a detta del quale «non si risparmierebbe chissà quale somma di denaro, visto che il 70% dello stock di debito sovrano è in mano a banche cipriote o creditori del settore ufficiale (banche centrali, Fmi, ndr)».

Inoltre, una grossa parte di quel debito è emessa sotto legislazione britannica, quindi difficilmente ristrutturabile vista la clausola di rimborso pari passu per i detentori. Quindi, ecco comparire una nuova opzione, ovvero imporre perdite al sistema bancario, già pesantemente indebitato, dipendente da depositi stranieri e che conta per tre volte e mezzo il Pil del Paese. Qualche pazzo ha addirittura avanzato l’ipotesi di un congelamento dei depositi bancari sopra i 100mila euro, al fine di utilizzare quel denaro come collaterale contro i debiti: netto il giudizio di una manager di hedge fund che opera anche su Cipro, «se vogliono una bank run o un collasso totale del sistema bancario, allora vadano pure avanti su questa strada». Il Commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, ha confermato come ci siano già stati contatti tra Ue e Russia sul caso Cipro e di aspettarsi che, visti i vasti interessi e investimenti russi sull’isola, Mosca possa contribuire al salvataggio.

E qui scatta la carta diplomatica. Altro punto che ha trasformato la crisi di Cipro in un evento politico, è stato infatti il report dei servizi segreti tedeschi che segnalava come Cipro fosse un paradiso fiscale per il crimine organizzato serbo e gli oligarchi russi, accusa che ha visto Nicosia accettare proprio questa settimana di sottoporsi a un test sul riciclaggio di denaro sporco per cercare di calmare il clamore. Il neo-eletto leader cipriota, il filo-europeista Nicos Anastasiades, ha però denunciato come il suo Paese stia subendo una campagna denigratoria, alzando i toni: «Non abbiamo niente da nascondere, sono determinato nel voler porre una fine a questa discussione». Anche perché, parlando con analisti finanziari e specialisti nel settore bancario, le accuse contro le banche cipriote avanzate dalla Germania, soprattutto dall’opposizione socialdemocratica, vengono largamente ridimensionate, visto che la maggior parte del denaro degli oligarchi russi è depositato presso filiali cipriote di banche russe, spesso di proprietà statale come la VTB e quindi solidissime o presso grandi banche britanniche. Insomma, si rischia di creare un incidente diplomatico di dimensione enormi con la Russia, visto che espropriare denaro da filiali cipriote di istituti statali moscoviti sarebbe illegale (oltre che suicida, conoscendo Vladimir Putin).

La stessa Bce ha detto chiaro e tondo che l’estensione di haircuts a banche russe o britanniche a Cipro sarebbe illegale, tanto che il membro del board, Benoit Coeure, ha detto che «questo non è affatto tempo per fare esperimenti». Per Dimitris Drakopoulos di Nomura, poco meno della metà dei 70 miliardi di euro depositati presso il sistema bancario cipriota appartengono a cittadini stranieri (un terzo dei quali russi) e sono depositati presso banche russe, britanniche, di Singapore e libanesi, le quali hanno una presenza pressoché solo formale sull’isola e non hanno interconnessioni importanti con l’economia del Paese. Nei fatti, poi, molti osservatori ridimensionano anche la portata della crisi delle banche cipriote, dicendo che la questione è stata esagerata ad arte dal precedente governo di sinistra per mascherare i propri fallimenti: l’unico istituto davvero nei guai sarebbe la Laiki Bank, ma soprattutto per la sua forte esposizione obbligazionaria alla Grecia. Quindi, al netto di queste realtà e questi numeri, le minacce di azioni draconiane da parte dell’Ue e dell’Eurogruppo rischiano soltanto di aggravare la crisi, innescando la dinamica di autoalimentazione che abbiamo già conosciuto nel recente passato.

Ma c’è dell’altro, l’ennesimo interesse geopolitico inconfessato: il gas. Cipro ha infatti identificato vaste riserve di gas naturale al largo delle sue coste, qualcosa come 60 triliardi di piedi cubi, con un blocco situato esattamente tra l’Isola e Israele in grado di contenere gas per un controvalore di 80 miliardi di dollari. Il sito estrattivo sarà operativo per il consumo domestico solo dal 2018 e dal 2019-2020 per l’export, ma ecco che qualcuno sta per avanzare la proposta indecente: securizzare fin da ora il potenziale introito garantito dal business energetico, nonostante resti un’incognita sia il quantitativo reale di gas che Cipro potrà estrarre, sia la velocità di estrazione/distribuzione. Ma il piatto è ghiotto, sia per l’Ue che per la Russia.

Insomma, quello che poteva essere il futuro per la prosperità dell’isola, diventerà l’ipoteca per evitare il default e un business altrui. Tant’è, nessun salvataggio è un pranzo di gala. A sintetizzare però cosa rischiamo andando avanti di questo passo è il professor Alexander Michaelides dell’Università di Cipro: «Non penso che la gente di Cipro abbia ancora realizzato la vastità dei problemi. Penso che quando lo farà, si arrabbierà parecchio».

P.S.: In compenso, il resto dell’Europa gode di ottima salute. Nel giorno in cui la Bce manteneva invariati i tassi di riferimento e Mario Draghi diceva che «i mercati sono meno spaventati dell’esito del voto in Italia dei politici», ecco che dalla Francia arriva una notizia ben augurante. Il tasso di disoccupazione è infatti salito per il sesto trimestre consecutivo raggiungendo il 10,6%, il peggior dato dal secondo trimestre del 1999. Ecco qui un bel raffronto grafico. Ma non solo la Francia continua a sprofondare nella recessione, anche la Germania, visto che il dato degli ordinativi industriali di gennaio ha segnato un bel -1,9% mese su mese, contro una previsione del +0,6%, già rivista al ribasso dall’1,1% di dicembre. E vai con l’austerity, che si va bene!