L’annuncio ufficiale non c’è stato, ma la sostanza è quella: ancora un calo dell’inflazione a gennaio e la Bce darà vita a un’asta di rifinanziamento. O, se proprio si vorrà andare allo scontro con Berlino, acquisterà titoli di Stato senza sterilizzare. Ma, badate bene, solo «se sarà necessario». Quindi, ennesima minaccia senza passare alle vie di fatto. È questo il succo della conferenza stampa di Mario Draghi al termine della riunione del direttivo della Bce, nel quale si è deciso il mantenimento dei tassi di interesse al minimo dello 0,25% e si è fatto il punto sulla ripresa (che non c’è). Rispondendo alle domande della stampa, infatti, il governatore dell’Eurotower ha dovuto ammettere che «la ripresa sarà debole anche nel biennio 2014-2015», il che significa che rischia di essere praticamente a zero per quei paesi che scontano deficit strutturali come l’Italia.

La Bce si attende infatti che nell’area euro la ripresa economica proceda «a rilento sia quest’anno, sia nel 2015 grazie a un miglioramento della domanda interna sostenuto dalla politica monetaria accomodante di Francoforte e da un graduale rafforzamento delle esportazioni». Draghi ha anche sottolineato come i progressi dei mercati finanziari si stiano trasmettendo all’economia reale, così come i benefici del consolidamento fiscale: beato lui che vede tutte queste cose. «La disoccupazione nell’Eurozona rimane elevata e i necessari aggiustamenti di bilancio continueranno a pesare sull’attività economica. È quindi necessario portare avanti riforme dei mercati dei prodotti e del lavoro che favoriscano competitività, più crescita e creazione di occupazione. I governi dell’Eurozona devono anche attuare il consolidamento fiscale attraverso misure che non danneggino la crescita e che puntino a migliorare l’offerta di servizi». Insomma, ciò che Draghi dice da almeno cinque conferenze stampa a questa parte: le stesse identiche cose, senza che alle parole seguano mai i fatti, eccezion fatta per il taglio dei tassi di novembre.

Inoltre, sempre Draghi ha ammesso che «l’eurozona sperimenterà un prolungato periodo di bassa inflazione e a questo lungo periodo di prezzi bassi seguirà un graduale movimento verso un’inflazione appena sotto il 2%. Le aspettative di inflazione sono ben ancorate e la politica monetaria dell’istituto centrale continuerà a restare accomodante finché necessario». Draghi ha quindi confermato la guidance che prevede che i tassi di interesse restino «ai livelli attuali, se non più bassi, per un periodo di tempo esteso». Altra arma possibile: tassi a zero. O, addirittura, negativi sui depositi per spingere le banche a prestare denaro. Credeteci.

Poi, la frase che ha fatto in modo che i mercati – i quali già dal mattino scontavano con i loro rialzi qualche mossa della Bce – non crollassero dai massimi di giornata: «Di fronte alla persistente debolezza dell’inflazione e dell’economia nell’area euro il Consiglio direttivo della Bce resta pronto a considerare tutti gli strumenti disponibili e, se necessario, ad adottare altre azioni decisive». La Bce agirà nuovamente contro la bassa inflazione prevalentemente in due casi: un eventuale inasprimento delle condizioni del mercato monetario o un peggioramento, in senso di ulteriore indebolimento, delle prospettive dei prezzi al consumo. Ha spiegato Draghi riconoscendo che l’Eurotower ieri «ha usato parole più determinate nella sua retorica su questo versante». Tuttavia, ha precisato, «il quadro attuale dei dati risulta ancora accettabile».

Avete capito a cosa siamo arrivati: i mercati vengono blanditi con l’enfasi retorica delle parole: ovvero, dico le stesse cose che mi sentite dire da mesi, non faccio nulla di concreto ma dall’enfasi della mia retorica dovete cogliere il messaggio in codice. Sembrano quelli che si fanno i segni giocando a carte al bar: siamo ai limiti accettabili del delirio organizzato. Io non posso e non voglio credere che un uomo con l’esperienza di Mario Draghi non veda come almeno tre paesi periferici siano già oggi in deflazione e altri due, piccoli piccoli come Italia e Francia, siano a un millimetro dall’ingresso ufficiale. Ma la cosa peggiore è – come nel caso dell’enfasi – il negare attraverso i distinguo: Draghi infatti ha detto che non vede rischi deflazionari di stile giapponese, non che non veda rischi deflazionari del tutto.

Il problema è che continuando con l’inazione lo scenario giapponese rischia di concretizzarsi, almeno in un paio di paesi, prima che la Bce possa intervenire: sbaglierò certamente io, ma mi sembra che si stia scherzando davvero con il fuoco. Anche perché la giornata era iniziata con un’altra conferma del fatto che la ripresa non sia affatto in atto come viene propagandata. Stando alla valutazione del responsabile della direzione generale Affari economici della Commissione europea, Marco Buti, infatti, «le proiezioni di crescita nel medio termine per l’Eurozona non forniscono la base per un eccessivo ottimismo». Nell’editoriale dell’ultimo bollettino sulla situazione economica dell’Eurozona, Buti sostiene che «mentre la recente ripresa della domanda interna è incoraggiante, la frammentazione finanziaria e gli aggiustamenti in corso nei conti privati e pubblici continuano a pesare sulla crescita. Inoltre, l’alta disoccupazione resta una preoccupazione fondamentale in molti paesi».

Il problema è che, per alcuni paesi, anche la ripresa della domanda interna rimane un miraggio o, comunque, appare residuale rispetto al dato della crescita zero, se non negativa. Direte voi, va bene la storia dell’enfasi, ma se la scelta di Draghi fosse così rischiosa, i titoli bancari avrebbero subìto delle perdite o almeno dei cali e invece guidavano i rialzi e lo spread avrebbe rimandato qualche nervosismo e invece è rimasto inchiodato a 195 punti base. Vero in parte, tant’è che sul finale di contrattazioni Milano, Madrid e Lisbona (uniche positive nell’arco della giornata) hanno bruciato tutti i guadagni – il Ftse Mib unico in positivo a +0,34% – e lo spread si è riavvicinato a quota 198 ma stranamente non si è picchiato sul comparto bancario, che anzi guidava i rialzi a fronte del bagno di sangue del comparto del lusso. Perché? Perché a fronte della totale inazione verso il rischio deflazionario, la Bce sta già lavorando e parecchio per le banche, anche se non ve lo dicono e non attraverso mega-aste come i due Ltro.

A fine 2013 sono infatti tornati a crescere i prestiti concessi dalla Bce alle banche italiane, ma solo per effetto delle operazioni di rifinanziamento, perché calano i prestiti di lungo periodo. A dicembre, infatti, i prestiti totali sono aumentati a 235,869 miliardi di euro dai 227,693 miliardi del mese precedente, minimo da febbraio 2012, a fronte di un aumento delle operazioni di rifinanziamento (repo) a 22,1 miliardi da 2,7 miliardi precedenti. In calo, invece, i prestiti di lungo periodo, i cui finanziamenti sono scesi a 213,7 miliardi dai 224,9 miliardi precedenti. A dicembre i rimborsi dei p/t a tre anni da parte delle banche italiane sono avvenuti, secondo alcuni esperti, in parallelo alla riduzione del portafoglio in titoli di Stato italiani in vista della chiusura del bilancio di fine 2013 che farà fede per la revisione della qualità degli attivi della Bce. Mentre il balzo dei p/t a sette giorni si spiega, almeno in parte, con l’arrivo del fine-anno che spinge le tesorerie bancarie a muoversi con cautela sul livello di liquidità.

Secondo gli ultimi dati Reuters, le banche della zona euro devono ancora restituire circa due terzi dei fondi presi a prestito con i due precedenti Ltro, circa 600 miliardi, con le banche italiane che a metà novembre avevano ancora in portafoglio 230 miliardi. In particolare, a metà dicembre i fondi Ltro detenuti da Unicredit sono calati da 26 a 21 miliardi di euro, mentre dal bilancio di Intesa Sanpaolo al 30 settembre è emerso che tra ottobre e novembre sono stati rimborsati 3 miliardi di fondi Bce a tre anni, lasciando però l’ammontare residuo a 21 miliardi. Cosa vi dico da giorni e giorni? Se anche ci sarà una mega-asta di rifinanziamento, un altro Ltro, servirà solo a coprire i buchi che verranno a crearsi per i rimborsi dei precedenti prestiti. Poi occorrerà comprare un po’ di titoli di Stato, perché comunque con i soldi all’1% anche il 3,84% di rendimento permette un bel carry-trade e fa felice i governi, che è sempre una buona cosa.

Ammetto che ormai ho la quasi certezza che la Bce operi una politica di “hidden funding”, ovvero compri titoli di Stato dalle banche italiane e spagnole che devono mettere a dieta le detenzioni in portafoglio e ripulire un po’ i bilanci, con la tacita promessa che quegli acquisti non verranno sterilizzati. Insomma, un modo come un altro per fare il QE senza violare la statuto: gli importi dei buchi lasciati nelle ultime due aste non sterilizzate parlano chiaro, così come la reazione totalmente disinteressata dei mercati e dello spread. Insomma, si sta prendendo tempo e – di fatto – truccando la partita della Asset Quality Review e degli stress test: probabilmente Draghi fa bene, serve pragmatismo e anche un po’ di pelo sullo stomaco per guidare una banca centrale. Ma scherzare con il rischio della deflazione appare un azzardo, testimoniato ieri dallo stesso Draghi quando ha reso noto il dato da mani nei capelli della crescita dell’aggregato di massa monetaria M3, oltre tre punti percentuali al di sotto delle stime della stessa Eurotower.

Non si crea credito, quindi non si può finanziare la ripresa: per ora, si finanziano ancora e solo le banche. Le quali, a occhio e croce, se devono ancora restituire oltre 600 miliardi alla Bce dopo tre anni, ovvero stanno facendo arrivare quel prestito a scadenza, avevano veramente i bilanci a pezzi, altro che stress test felicemente passati per tutti dal 2010 a oggi. Oppure hanno giocato e non poco, sfruttando i corsi azionari in rialzo e il carry-trade, invece di erogare credito. E attenzione, l’aumento dei prestiti a breve non è un bel segnale: può anche voler dire necessità di capitale quasi emergenziale, almeno per alcuni soggetti. Attendiamo fiduciosi il mese di febbraio per risentire le stesse parole e promesse. Sperando che non sia tardi.