Per una volta vi evito cifre, grafici, percentuali. Insomma, ciò che cerco di darvi tutti i giorni, i fatti. Perché di chiacchiere in giro ce ne sono fin troppe. Ovunque, nessun posto escluso. Oggi chiacchiero anch’io. E lo faccio non perché sia a corto di materiale, ma perché penso sia giusto dirvi cosa penso dell’attuale momento che sta vivendo l’Italia e di come le cose si svilupperanno, da qui alla ristrutturazione del nostro debito. Ora, facendo questo lavoro so che i mercati finanziari sono posti in cui la moralità media dei partecipanti è un gradino sotto a quella di Giuda, quindi tendo a non scompormi più di tanto. Ma negli ultimi tempi, giuro che comincio ad avere delle difficoltà a digerire il livello di manipolazione che sta imperando.
Sapete come gli operatori chiamano l’indice Ftse Mib della Borsa italiana? “Banana”, perché esattamente come il frutto in questione, se visto frontalmente, parte alto, poi scende, poi risale. Sempre, salvo cataclismi globali. Mercoledì è stata la stessa cosa: in una giornata in cui i mercati emergenti mandavano scossoni spaventosi ai mercati e si attendevano le decisioni della Fed sul “taper”, Milano è scesa fino al -1,6% per poi chiudere al -0,57%. Madrid, addirittura, ha chiuso positiva al +0,19%, nel giorno in cui veniva certificato che con la crisi l’utilizzo del nero è salito alle stelle portando l’economia sommersa a pesare per il 25% del Pil iberico. Capite, nel giorno in cui certificano che le tue entrate fiscali, come Stato, sono devastate da evasione e nero, la tua Borsa non solo supera i marosi dei mercati emergenti, ma addirittura chiude in positivo sul finale.
Ora, che Milano l’altro giorno sia stata una delle Borse a perdere meno, poi, non ci voleva molto a capirlo: basta guardare il grafico d’area dell’andamento dell’indice. Appena si è capito che la presidentessa della Camera avrebbe, rimangiandosi quanto detto pubblicamente il giorno prima, applicato la “ghigliottina” agli interventi in merito al decreto legge in scadenza Imu-Bankitalia, di fatto garantendogli il via libera, l’indice è tornato a salire, con un picco negli ultimi minuti. Non pensiate nemmeno lontanamente che io voglia accusare, anche indirettamente, Laura Boldrini di insider trading: sulla sua buonafede metto non una ma due mani sul fuoco. Non faccio altrettanto riguardo la sua capacità di capire di cosa io stia parlando.
È la “polizza Renzi” che garantisce all’Italia di poter fare ciò che vuole uscendone sempre indenne, che blocca lo spread, che fa volare il Ftse Mib. E che, miracoli di questo Paese risanato dall’arrivo del messia di Firenze, ieri vedeva Banco Popolare tra i top performers a Piazza Affari. Sì, bravi, proprio quel Banco Popolare massacrato dai mercati fino al giorno prima, visto che ha annunciato un aumento di capitale da 1,5 miliardi che nemmeno a Paperopoli è ritenuto possibile: zac, di colpo diventa credibile e stuzzica l’appetito degli investitori. Sapete perché? Perché viviamo in un Paese dove votare ormai è inutile: i governi li decidono al Quirinale fregandosene del risultato reale delle urne e il Parlamento non serve perché in barba ai requisiti di urgenza si va avanti a colpi di decreti e voti di fiducia. Il paradiso per i mercati, quasi come i regimi totalitari, soprattutto socialisti, così orgogliosi nella loro stupidità da onorare sempre le cedole del loro debito con rendimento stellare. Se il miglior cliente di Goldman Sachs sul reddito fisso sovrano è sempre stato il Venezuela di Hugo Chavez, un motivo ci sarà, che dite?
Ora, a mettere in fila i dati macro di questo Paese vengono i brividi: disoccupazione, debito pubblico, crescita, produzione, consumi, sono tutte voci che ci vedono nella crisi più nera, ha dovuto ammetterlo anche Confindustria. Nonostante le parole di Enrico Letta l’altro giorno a Bruxelles, né occupazione, né credito a famiglie e imprese miglioreranno prima del 2016, lo ha certificato ancheil Sole 24 Ore, non esattamente un foglio clandestino e sovversivo. Risultato sui mercati? Eccolo. L’asta di titoli di Stato anche ieri è andata bene.
Il Tesoro ha infatti collocato 8,46 miliardi complessivi tra Btp a 5 e 10 anni e Ccteu, poco sotto il livello massimo di un’offerta compresa tra 6,5 e 8,5 miliardi. Nel dettaglio, sono stati assegnati 4 miliardi del nuovo titolo a 5 anni maggio 2019, cedola 2,50%, su un’offerta di 3,5-4 miliardi. Il rendimento è sceso al 2,43%, nuovo minimo dall’introduzione dell’euro, dal 2,71% di fine dicembre sull’attuale titolo di riferimento dicembre 2018 3,50%. Il rapporto di copertura è passato a 1,49 da 1,28 dell’asta precedente. Anche la tredicesima tranche di Btp a 10 anni marzo 2024 è stata collocata per l’importo massimo di 3 miliardi, su un’offerta di 2-3 miliardi. Il tasso è calato al 3,81%, livello identico ad agosto 2010, dal 4,11% dell’asta di fine dicembre, mentre il bid-to-cover si è attestato a 1,32 da 1,34. Infine, sono stati assegnati Ccteu novembre 2018 per un ammontare di 1,46 miliardi su un’offerta di 1-1,5 miliardi, al tasso di 1,79%. In occasione dell’asta precedente, quella di metà novembre, il rendimento era risultato pari al 2,11% mentre il bid-to-cover è passato a 1,53 da 2,84. Sembriamo la Svizzera!
E con noi la Spagna, una sorta di paradiso terrestre post-crisi, nonostante i trucchi contabili, le banche fallite mantenute in piedi dalla Bce (sofferenze al 13% del totale), la disoccupazione giovanile seconda solo alla sanissima e salvata Grecia. Il perché è presto detto: Mariano Rajoy, nel momento in cui sono state salvate prima le banche e poi il suo governo dallo scandalo della corruzione, ha firmato un patto col diavolo. La Spagna è terreno di scorrerie estere, servirà per operazioni sul Sud America, se necessario vedrà il tasso di disoccupazione al 30%: ma sui mercati verrà trattata come la regina dell’investment grade.
Pensate che in Italia non sia successa la stessa cosa? Privatizzare le partecipate statali e regalare Bankitalia con le sue riserve auree ai privati non è forse un prezzo sufficiente per andare in asta senza essere massacrati? Calcolando che il nostro debito, fatta eccezione per qualche fondo giapponese gestito da manager in preda al sakè, lo comprano solo le nostre banche, amplificando i rischi nel caso finisca la “polizza Renzi”, per scelta politica o per disastri esterni, vedi la sentenza della Corte costituzionale tedesca sul fondo Omt prevista per inizio aprile e quasi certamente negativa sulla sua liceità.
Vi sembra un Paese normale, quello in cui l’attuale governatore di Bankitalia va a Davos a dichiarare con tutta la leggerezza del mondo che dopo gli stress test della Bce ci potranno essere delle fusioni bancarie in Italia? Ma non gli hanno spiegato che di certe cose, magari, non si parla en plein air ma nel chiuso di una stanza? Caso strano, dopo quelle parole pronunciate il 24 gennaio, le banche popolari – le stesse che il buon Ignazio Visco vuol forzare ad abbandonare il voto capitario – hanno dovuto ammettere ai mercati la necessità di aumenti di capitale, finendo nel mirino della speculazione. Ma Ignazio Visco è troppo preparato e intelligente per non sapere ciò che stava facendo, pronunciando quelle parole.
Dell’operato del ministro Saccomanni, per carità di patria, evito proprio di parlare, salvo farvi notare che appena Matteo Renzi prenderà il posto di Enrico Letta, o poco prima, dal dicastero di via XX Settembre il buon Fabrizio finirà a guidare la nuova public company denominata Banca d’Italia. Lo ha deciso Mario Draghi, quindi tutti in silenzio e così sia. Non vi pare strano che, di fatto, non solo si privatizzino riserve auree per 110 miliardi ma che non si sappia nemmeno dove sia quell’oro? A nessuno, negli anni, è venuto in mente di chiederlo, di fare anche solo una semplice interrogazione parlamentare. A me viene in mente che l’oro in pegno alla Bundesbank una volta l’abbiamo già dato, quindi quei 110 miliardi potrebbero essere l’assicurazione verso Berlino, quando il debito pubblico andrà in traiettoria insostenibile e toccherà mettere mano con i medici della troika al grande malato.
Evitando la ricetta impopolare che la Bundesbank ci ha ricordato pochi giorni fa, ovvero un prelievo forzoso secco una tantum del 10% a tutti i cittadini italiani per abbassare lo stock di debito: sono dei furboni, intrallazzano ma sanno anche loro che un’altra “operazione Amato”, oltretutto all’ennesima potenza, significherebbe barricate per strada. E alla ghirba lorsignori ci tengono. Io ho tanti difetti, ma un grande pregio: la memoria. E ricordo che il 6 ottobre del 2012, infatti, la Consob, l’ente per la vigilanza sui mercati guidata da Giuseppe Vegas, rese noto che «per cercare di abbattere il debito pubblico si possono usare senza tanti problemi le riserve auree della Banca d’Italia. Palazzo Koch, infatti, può liberamente disporre di tutti i propri beni mobili e immobili, nei limiti in cui tali atti di disposizione non incidano sulla capacità di poter trasferire alla Bce le attività di riserva eventualmente richieste».
In estate, poi, era stata la Commissione Ue a proporre la costituzione di un superfondo a cui trasmettere, tra le altre cose, le riserve di Bankitalia per cercare di aggredire un debito pubblico ormai di 2mila miliardi di euro. Sempre la Consob ricordava che la legge sul Risparmio (l. 262/2005) stabilisce che Bankitalia «è istituto di diritto pubblico», nonostante le quote di partecipazione al capitale di palazzo Koch oggi ancora detenute dalle banche. Sul punto sarebbe dovuto intervenire un regolamento governativo, che però non è mai arrivato. Un tassello effettivamente mancante, per la Consob, secondo la quale «una volta emanato il citato regolamento lo Stato, quale unico azionista della Banca d’Italia, potrebbe liberamente disporre di tutti i beni della Banca d’Italia che, come l’oro, non sono in alcun modo funzionali allo svolgimento dei compiti istituzionali del Sebc (il Sistema europeo delle banche centrali, ndr)». Ma con il decreto Bankitalia votato in fretta e furia l’altro giorno le cose sono state stravolte, la nostra banca centrale è in mano a soggetti privati. Quindi, anche l’oro, ammesso che ci sia ancora e non sia già stato utilizzato in segreto per evitare l’arrivo della troika.
Alla semplice domanda su che fine faranno le 2450 tonnellate di riserve auree in base al decreto Bankitalia, stranamente il governo non ha voluto rispondere. Provo a riformularla io, terra terra: di chi sono quelle riserve? Perché se sono della banca ora finiscono agli azionisti. Privati. Se sono dello Stato, e sono solo depositate presso la Banca d’Italia, allora non dovrebbero stare nello stato patrimoniale. Dubito avremo risposta al riguardo. Tutto questo, cari lettori, è propedeutico al futuro che ci attende, è la “polizza Renzi” verso i mercati. Quando poi il golden boy arriverà a Palazzo Chigi, si passerà all’incasso da parte di chi ci ha garantito finora spread basso, Borsa in rally e default rinviato. Ma solo rinviato, i migliori curatori fallimentari sono quelli che arrivano con l’aurea dei rivoluzionari, ricordatevi. Da domani si torna a cifre e grafici.