Oggi sono davvero in difficoltà: cosa vi racconto? Quello che sapete già da settimane? Quello che da qualche giorno a questa parte leggete anche sulla stampa “importante” e ascoltate ai tg, dopo che per mesi e mesi vi hanno detto che tutto era risolto e la ripresa era dietro l’angolo? Quello che dice il presidente di Confindustria, uno che per insipienza in un Paese normale non potrebbe presiedere nemmeno un club di scacchisti? O magari volete che vi dica quello che stanno dicendo eminenti cattedratici dai roboanti titoli di studio, gli stessi che fino a un mese fa vedevano “la luce alla fine del tunnel”? No, vi dico altro. Ovvero, che nell’immediato non c’è da preoccuparsi troppo. E non perché l’economia globale stia meglio o perché Italia e Spagna siano sane, anzi ma perché questo shock è utilissimo a tutti per gestire – o almeno provare a gestire – il disastro attuale che è stato creato in cinque anni di capitalismo di Stato garantito dalle banche centrali e dai keynesiani di ogni risma.
Parliamoci chiaro: la Grecia è fallita, marcia, diventerà a breve una provincia cinese o russa. L’Italia e la Spagna la seguiranno a breve, visto che Madrid millantava riforme miracolose ma al primo refolo di vento ha visto schiantarsi spread e Borsa, mentre Roma attinge addirittura alle riserve cash per comprare il debito che gli altri scaricano. Matteo Renzi e il suo Governo di comparse non possono fare nulla contro la crisi, salvo qualche tweet e due selfies: qui la questione è seria, quindi esclude ontologicamente l’interessamento di Roma.
Ieri, mentre il mondo scopriva dagli indici di Borsa che forse c’era un problemino, è arrivato un dato negativo che potrebbe rivelarsi la soluzione di qualche male: è scesa ancora l’inflazione in Europa. A settembre, secondo la lettura definitiva, il tasso annuale nell’Eurozona è sceso a +0,3%, ovvero il più basso dall’ottobre 2009, in linea con il consenso e con il dato preliminare ma in rallentamento rispetto al +0,4% di agosto. L’indice dei prezzi core, che esclude le componenti dell’energia, degli alimenti e dell’alcool, è salito dello 0,5% a livello mensile e dello 0,8% su base annuale, risultando leggermente superiore alle attese poste a +0,7% anno su anno.
Nel complesso il dato è stato in linea con il consenso, ma la parte core ha battuto leggermente le attese e questo non aiuta i mercati, dal momento che allontana la possibilità di ulteriori misure straordinarie da parte della Bce, almeno stando alla valutazione di qualcuno. Non la mia, per il semplice fatto che la Bce non conta nulla. Anche perché in tutti i 28 paesi dell’Unione europea i prezzi hanno subito una battuta d’arresto a settembre, salendo dello 0,4% contro il +0,5% di agosto, il valore minimo degli ultimi cinque anni: i numeri, quindi, sottolineano che questo non è solo un problema della Bce, visto che anche gli altri istituti centrali devono affrontare simili sfide, inclusa la Bank of England.
Stando al giudizio degli economisti di Ubs, i timori sulla crescita globale potrebbero essere esagerati ma non quelli sulla deflazione a livello globale: «I leading indicator al momento non sono coerenti con un forte rallentamento dell’economia mondiale e vari indicatori sulle condizioni finanziarie e monetarie e sui prezzi di molti metalli industriali danno lo stesso messaggio. Anzi, alcuni di questi indicatori suggeriscono che la crescita globale in realtà si rafforzerà, anche se poco, nel prossimo futuro», hanno osservato gli economisti della banca d’affari svizzera, dimostrando un senso dell’umorismo che solitamente non si attribuisce agli elvetici come principale segno distintivo. I quali però, forse resisi conto della castroneria appena dichiarata, avvertivano anche che «il nervosismo dei mercati potrebbe semplicemente riflettere un riallineamento delle attese di inflazione. Noi pensiamo che il grado a cui le attese per l’inflazione europea sono scese sia allarmante».
Ubs non ritiene, nel suo caso base, che l’economia mondiale e quella europea, in particolare, cederanno a un periodo sostenuto di deflazione, ma va da sé che i policy makers in molte aree potrebbero dover fare di più, sfruttando le leve fiscali o monetarie. Ed ecco la buona notizia, almeno per chi si stupisce e si fa spaventare dai crolli di questi giorni: la Fed non smetterà con il Quantitative easing. Anzi, darà vita al quarto ciclo, guadagnando ancora un po’ di tempo, facendo fare soldi a palate a chi beneficiando di questi crolli voluti e controllati comprerà a prezzi di saldo e farà affari quando i corsi saranno tornati in verde.
Non ci credete? Beh, magari questa notizia uscita fresca fresca ieri vi farà cambiare idea: Goldman Sachs cresce decisamente più di quanto il mercato si aspettasse. L’utile netto della banca d’affari di New York nel terzo trimestre è infatti salito del 48% a 2,241 miliardi di euro (4,57 dollari per azione), grazie soprattutto alle entrate della divisione di reddito fisso, valute e commodity cresciute addirittura del 74%. Gli analisti si aspettavano un utile per azione di 3,21 dollari ad azione, così l’istituto ha alzato il dividendo trimestrale di 5 centesimi a 60 centesimi per azione: i ricavi totali sono inoltre cresciuti del 25% a 8,39 miliardi di dollari, oltre i previsti 7,85 miliardi di dollari.
Più nel dettaglio, i ricavi dell’investment-banking sono aumentati del 26% a 1,46 miliardi in scia alle attività M&A (fusioni e acquisizioni), mentre quelli della divisione di reddito fisso, valute e commodity, cruciale motore della crescita per oltre un decennio e in affanno nel precedente trimestre, hanno registrato un balzo del 74% a 2,17 miliardi di dollari, nonostante un contesto di mercato difficile. Capito, grazie alla stampa amica che vi vende idiozie sulla ripresa, stile “la Grecia è salva” o “il miracolo spagnolo”, Goldman Sachs ha comprato a zero o poco più immondizia che vi ha rivenduto a un prezzo senza alcuna correlazione con la realtà grazie alla disinformazione e ora brinda con i dividendi: il parco buoi, come al solito, si è fatto fregare. Forse è il caso che cominciate a pensare di non vivere in un mondo normale, ma in una versione 2.0 del “Grande fratello” di George Orwell: nulla succede a caso, nulla di ciò che vi dicono è reale.
Non ci credete? In Italia la notizia non è arrivata (strano), ma il 9 ottobre scorso, intervistato da RT, ecco cosa ha detto Udo Ulfkotte, ex direttore del principale giornale tedesco, la Frankfurter Allgemeine Zeitung: «Sono stato corrotto da milionari, sono stato corrotto dagli americani per riportare… non esattamente la verità». Se non credete a me, cercate sul web: c’è il video integrale dell’intervista. Di vero, poi, c’è questa notizia, casualmente uscita sulla Reuters martedì, ovvero il giorno prima dell’inizio dei crolli borsistici (tu guarda a volte le combinazioni che ci riserva la vita): il capo della Fed di San Francisco si è definito “aperto” a un nuovo programma di acquisto di assets se il trend dell’inflazione dovesse scendere significativamente sotto il target della Federal Reserve. Già, proprio così, parole e musica di John Williams in persona: «Se avremo veramente una previsione deflazionaria sostenuta, allora penso che tornare sui nostri passi verso un programma addizionale di acquisto di assets potrebbe essere una possibilità che dovremo considerare seriamente».
Capito? Come vi dico da settimane, serviva l’alibi per nuove iniezioni di liquidità, per altro doping: questo perché il mercato ormai è stato talmente scardinato dai suoi fondamentali da aver bisogno di un Qe permanente per poter continuare a funzionare, ovvero per far soldi alle spalle delle popolazioni che schiattano di austerity, un progetto assolutamente funzionale alle logiche e ai piani di chi dà le carte. Lo spread non è altro che la versione moderna della dittatura, vi permette di comprare lo smartphone di ultima generazione a rate, ma poi vi obbliga a vivere passando da un contratto senza tutele a un altro, da una forma di schiavitù moderna a un’altra, sempre con il sorriso sulle labbra e i desideri consumistici ben allineati. Niente panico, quindi, è tutto nella norma: domani vi spiegherò il perché. E perché dobbiamo guardare al 2015 per attendere la vera crisi, quella finale.