Stavolta potrebbe essere quella buona per capire se quello di Mario Draghi è solo un bluff o se qualcosa davvero è cambiato all’interno delle dinamiche che governano la Bce. O, forse, ancora una volta no. Si susseguono, però, i segnali che sembrano dare per sempre più probabile un Qe natalizio – almeno a livello di annuncio ufficiale – da parte della Banca centrale, con acquisti di titoli di Stato ed espansione delle stato patrimoniale al fine di combattere sul nascere lo spettro deflattivo in Europa: peccato che tre quarti dell’Unione sia già in deflazione conclamata ma non stiamo a guardare il capello.

All’annuncio in tal senso, ancorché mascherato dalla solita formula dell’opzione che può essere presa in considerazione, fatto venerdì scorso da Mario Draghi in persona, si sono aggiunte altre voci. Lunedì quella un po’ traballante del membro del board Nowotny, che prima ha obiettato come un lancio del Qe nel primo trimestre del prossimo anno sarebbe affrettato, salvo poi correggere leggermente il tiro, e poi quella del numero uno della Bundesbank, Weidmann, il quale ha sottolineato come il dibattito dovrebbe concentrarsi sulla crescita economica, mentre nuove misure non convenzionali per contrastare la bassa inflazione sarebbero più difficili e si scontrerebbero con vincoli legali. Di fatto, una conferma che il dibattito non solo sarebbe in atto ma quasi in fase operativa.

E proprio le crescenti aspettative verso nuove misure non convenzionali da parte della Bce hanno spinto lunedì il rendimento del decennale italiano al nuovo minimo storico del 2,14%, mentre il tasso dell’equivalente spagnolo si è spinto per la prima volta sotto la soglia del 2%. Martedì, poi, una conferma quasi ufficiale delle intenzione dell’Eurotower è arrivata da Christian Noyer, governatore della Banca centrale francese nonché membro del board dell’Eurotower, a detta del quale «il fatto che la Banca centrale europea stia espandendo il proprio bilancio di 1.000 miliardi di euro è un’indicazione di come la Bce cerchi di fare di tutto per dare una mossa all’inflazione. L’acquisto di debito governativo avverrà a breve. Non ci sarà scelta di policy che sarà inibita da limiti. La linea di indirizzo sulle dimensioni del bilancio della Bce può solo condurre ad attese più in linea con la nostra definizione di stabilità di prezzi».

Mercoledì è stato il turno del vice presidente dell’Eurotower, Victor Constancio, a detta del quale «la Bce prenderà una decisione nel primo trimestre dell’anno prossimo sul possibile acquisto di bond governativi e considererà l’acquisto di altri asset sul mercato secondario, inclusi i bond sovrani se le attuali misure non dovessero essere sufficienti. Nel primo trimestre saremo in grado di fare una valutazione più appropriata». Insomma, asticella temporale spostata un po’ più avanti nel tempo e annuncio per il prossimo 4 dicembre già da escludersi.

Non è detto, perché ieri, durante un’audizione di fronte al Parlamento finlandese, è stato ancora Mario Draghi in persona a tornare sul tema, dichiarando che «le prospettive economiche dell’area euro sono circondate da svariati rischi di peggioramento ma la Bce non può farsi carico da sola della crescita. Tutti gli attori politici – sia a livello nazionale che europeo – devono fare la loro parte per la riduzione del debito, l’aumento della crescita potenziale e la solidità dell’euro». E dopo aver ricordato come «le misure di allentamento del credito decise a giugno e settembre dalla Bce stanno già dando benefici tangibili, anche serve tempo perché i loro positivi effetti si realizzino in pieno», ecco l’ennesimo messaggio sibilino: «Se dovesse essere necessario contro un’inflazione bassa troppo a lungo, la Bce è pronta a nuove misure e lo staff è al lavoro a nuove misure se necessarie». Insomma, forse non ci sarà l’annuncio a dicembre ma i prodromi ci sarebbero.

E a confermare che qualcosa sta più che bollendo in pentola ci ha pensato l’ex datore di lavoro di Mario Draghi, visto che Goldman Sachs consiglia già oggi di aumentare le posizioni su un paniere che comprenda Btp e titoli di Stato spagnoli e portoghesi, tenendosi invece corti su un basket composto da titoli di Stato francesi e tedeschi in vista del probabile avvio di un programma di acquisto di titoli di Stato da parte della Bce nella prima metà dell’anno prossimo. Gli analisti della banca d’affari statunitense consigliano di costruire i due panieri sulla base del contributo al capitale della Bce da parte di ciascun Paese dell’euro, criterio che l’istituto di Francoforte dovrebbe utilizzare per ripartire gli acquisti. Goldman Sachs ritiene che con l’avvio di un piano di Quantitative easing lo spread di rendimento Italia/Germania nel tratto a dieci anni, che oggi si attesta attorno ai 140 punti base, possa restringersi di circa 50 punti. Inoltre, il tasso del Btp decennale, che lunedì ha toccato il nuovo minimo storico al 2,14%, potrebbe scenderebbe ancora all’1,50-1,75%. Per quanto riguarda la Spagna, al momento lo spread tra i Bonos e i Bund tedeschi si attesta a 119 punti base con un rendimento dell’1,97%, per quanto riguarda i bond portoghesi a 218 punti base con un rendimento del 2,96%.

Nel caso la Bce dovesse agire in linea con quanto già fatto dalle altre principali banche centrali mondiali, Goldman Sachs stima che gli acquisti annui dovrebbero ammontare a 400-500 miliardi, interessando l’intero spettro delle scadenze, tuttavia dovrebbero concentrarsi sui bond a 5-10 anni. Ipotizzando un programma da 500 miliardi di euro, la banca d’affari americana ha calcolato che la Bce acquisterebbe 88 miliardi di bond italiani, pari al 60% dei titoli che il Tesoro ha in scadenza l’anno prossimo a medio-lungo termine. Prima di Roma, verrebbero solo Berlino, con 130 miliardi di euro e Parigi, con 100 miliardi di euro. Quindi, l’avvio di un programma di Qe, per gli esperti di Goldman Sachs, di fatto implicherebbe una condivisione del rischio tra i contribuenti dei diversi Paesi dell’area euro tramite il bilancio della Bce. Tale condivisione non farebbe che rafforzare l’efficacia della misura, mentre al contempo un programma di Qe vedrebbe la Bce assorbire parte del debito pubblico dei paesi, ora in mano alle banche nazionali, e aumentare l’esposizione anche da parte estera, principalmente di provenienza asiatica.

Bene, direte voi. Da un lato sì, ma io temo che un programma di questa vastità di intervento la Bundesbank non lo permetterà mai, pena mettere in discussione il suo stesso azionariato di maggioranza all’interno della Bce e quindi questo consiglio di Goldman Sachs al momento mi pare abbia un’unica interpretazione: la banca d’affari sa per certo che il suo ex dipendente qualcosa comprerà, certamente non per quegli ammontare e si porta avanti ingolosendo la gente affinché compri i titoli periferici che proprio Goldman detiene in portafoglio, prima che svanisca definitivamente la profittabilità del carry-trade sugli spread.

Sì lo so, sono sempre il solito malfidato. C’è però qualche numero che dovrebbe farvi riflettere e che sembra venire a sostegno della mia poca fiducia: partiamo da un presupposto, ovvero che nessuno avrebbe pensato di vedere oggi spread ai minimi per paesi come Irlanda e Spagna che solo pochi anni fa erano in fila con il cappello in mano per evitare di fallire. Il decennale irlandese ha toccato un minimo del 1,477% lunedì, mentre quello spagnolo è sceso sotto il 2% per la prima volta nella storia. In effetti l’economia irlandese dovrebbe crescere del 3,7% quest’anno, stando a previsioni di Deutsche Bank, un rimbalzo enorme ma non tutto pare roseo, visto che ci sono sempre maggiori possibilità di una crisi di governo che di fatto blocchi le politiche in atto e rimandi il Paese nell’immobilismo. La coalizione al potere è infatti destabilizzata da alcuni argomenti divisivi, come la tassazione sull’acqua e la registrazione delle chiamate nelle centrali di polizia, tanto che il partito di maggioranza ed espressione del premier, il Fine Gael, è sceso dal 36% delle elezioni del 2011 all’attuale 22%, stando a un sondaggio pubblicato nel weekend da Red C/Suday Business Post.

Di più, i sondaggi vedono in aumento i consensi per i nazionalisti dello Sinn Féin, dichiaratamente anti-troika e per anni braccio politico dei terroristi dell’Ira e anche alcuni candidati indipendenti vengono visti come potenziali eroditori di voti a Fine Gael e Fianna Fael, i principali partiti del Paese. Inoltre, proprio la troika ha reso noto venerdì scorso che il budget attuale «ha offerto meno progressi del desiderato» per quanto riguarda l’obiettivo di ridurre il deficit di budget e che la ripresa dell’economia è a rischio se per caso l’eurozona dovesse conoscere un nuovo rallentamento, se non addirittura un nuovo ciclo recessivo.

Quindi, perché mai si dovrebbe comprare debito irlandese, al netto di queste criticità potenziali e della miseria di rendimento che offre? Gli analisti di Barclays, infatti, ritengono che «gli spread di queste obbligazioni appaiono decisamente ristretti se posti in relazione con valutazione di lungo termine e il debole backdrop ciclico dell’economia dell’area euro». E allora? Allora la risposta è sempre la sessa, si compra perché Draghi ha detto che comprerà, insomma si specula sugli acquisti della Bce. E gli economisti di Credit Suisse restano convinti che «un annuncio esplicito in tal senso da parte della Bce, ovvero acquisti su larga scala anche di debito governativo, potrebbe facilmente avvenire al prossimo meeting della Bce previsto per il 4 dicembre».

Manca poco quindi ma anche se mancasse di più, avremmo qualche giorno di turbolenza per la delusione, ma entro metà dicembre le aspettative ricresceranno in attesa di gennaio: come d’altronde accade ormai da otto mesi e otto riunioni del board dell’Eurotower. I traders obbligazionari sono certi: in un modo o nell’altro Draghi terrà a galla le economie periferiche dell’Ue. D’altronde, viviamo nel mondo del “bad news is a good news”, quindi il dato deludente dell’indice Pmi flash dell’eurozona di novembre ci dice una cosa sola: serve il Qe, il popolo vuole il Qe. Martedì poi l’Ocse, nel suo outlook d’autunno, ha confermato il pericolo deflazionistico per l’Ue, con l’inflazione nell’eurozona che quest’anno si attesterà allo 0,5% per poi aumentare lievemente nel 2015 allo 0,6% e all’1% nel 2016, ben lontano dal “poco sotto la soglia del 2%” auspicato dalla Bce.

L’Italia sarà in deflazione nel quarto trimestre di quest’anno (-0,2%), mentre chiuderà l’anno con uno 0,1%, per poi arretrare allo 0% nel 2015 e risollevarsi allo 0,6% nel 2016. Diversi paesi dell’Eurozona chiuderanno l’anno con un indice dei prezzi al consumo negativo: Grecia (-1%), Portogallo (-0,2%) e Spagna (-0,1%). Nel complesso per l’Ocse «l’area euro è a un punto morto e rappresenta un grave rischio per la crescita mondiale, la disoccupazione rimane elevata e l’inflazione è persistentemente lontana dal target del 2% stabilito dalla Bce», tanto più che la stima per il tasso di disoccupazione dell’area è dell’11,4% nel 2014 e dell’11,1% nel 2015 (10,8% nel 2016).

Quindi? La zona euro ha bisogno di un pacchetto di misure che includa un maggiore stimolo monetario e un allentamento della disciplina di bilancio per scongiurare la minaccia di una persistente stagnazione economica: «Il contesto di bassa crescita e persistente bassa inflazione richiede una risposta politica globale […]. Sono necessarie ulteriori misure non convenzionali per mantenere i tassi d’interesse bassi per un lungo periodo di tempo, aumentare le aspettative d’inflazione e sostenere l’economia. Questo nonostante le misure di stimolo della Bce annunciate a giugno di quest’anno abbiano già avuto un impatto positivo». Insomma, anche l’Ocse vuole il Qe, tanto più che a livello globale l’economia cinese è in rallentamento, visto che chiuderà l’anno con un Pil in crescita del 7,3% per poi rallentare al 7,1% nel 2015 e al 6,9% nel 2016, mentre per il Giappone l’Ocse ha previsto una crescita economica dello 0,4% quest’anno, dello 0,8% il prossimo e dell’1% nel 2016.

C’è però chi non si fa abbindolare da certe pantomime, come ad esempio Bill Blain della Mint Partners, il quale ha dichiarato senza tanti giri di parole che «tutti i rendimenti della periferia dell’Ue sono impazziti, bisognerà vedere chi sopravviverà quando arriverà l’inverno. E l’inverno sta arrivando». Attenzione, poi, perché gli spread bassi non sempre sono segnale di ottimismo e buone nuove. Basta guardare dove è arrivato il rendimento del Bund tedesco, sceso quasi al livello del pari durata giapponese e al minimo record, sintomo che l’Europa è diventata l’epicentro delle forze deflazionistiche globali. Insomma, l’Ue è in piena giapponesizzazione, tanto che a Royal Bank of Scotland ammettono che «c’è da aspettarsi che il rendimento del Bund scenda al di sotto di quello del decennale nipponico e noi siamo già ampiamente posizionati per un’evenienza simile». Una situazione che in caso di Qe da parte della Bce vedrà proprio i Bund tra i principali beneficiari, visto che nello spettro di acquisti le obbligazioni tedesche saranno le più comprate e già oggi c’è scarsità di offerta sul mercato: «La fornitura netta in Germania è zero visto che sono in surplus di budget quest’anno e lo saranno il prossimo e hanno scritto un emendamento bilanciato al budget in Costituzione. Ci sono sempre meno Bund da comprare e tutti li vogliono».

E qui c’è da mettere un particolare in chiaro, perché proprio i continui, minuscoli tozzi di pane che vengono lanciati nello stagno per mantenere sull’attenti e vigili gli investitori da parte di membri della Bce stanno mandando davvero il mercato del Bund in tilt, visto che mercoledì all’asta il decennale tedesco ha segnato un rendimento record al ribasso dello 0,74% ma proprio perché questo yield è tremendamente compresso e la situazione europea tutt’altro che chiara nei suoi sviluppi, Bce in testa, l’asta è andata tecnicamente fallita, visto che la Bundesbank ha dovuto trattenere bond per una percentuale enorme del 18,8% del totale, il massimo da maggio, con soli 3,250 miliardi di titoli venduti su un’offerta programmata di 4 e a fronte di richieste per 3,67 miliardi. Attenzione, quindi, stando ai calcoli in base alla chiave di capitale, se la Bce farà partire il programma di acquisto, il 28% di questo sarà diretto verso debito tedesco: se però non lo farà o non lo farà per un quantitativo decisamente spinto, sarà una semi-catastrofe perché l’Europa verrà risucchiata in un vortice depressionario e il rendimento del Bund calerà ugualmente ma per il motivo opposto, ovvero tutti lo vorranno come bene rifugio perché i mercati cominceranno a preventivare una trappola del debito stile giapponese per l’Ue.

Per Royal Bank of Scotland la timeline dovrebbe essere questa: lancio di acquisti di bond corporate già a dicembre e Qe in grande stile a partire da febbraio, quando la Corte europea avrà emesso il suo verdetto sul precedente programma di salvataggio, l’Omt. Io non ci credo, ma tant’è, avranno sicuramente ragione loro. Ieri il rendimento del bond nipponico era allo 0,40%, di fatto negativo in termini reali, grazie all’Abenomics che sta alzando il tasso di inflazione, attualmente solo all’1% rispetto all’obiettivo del 2%, ma già un miracolo per un Paese che esce da dieci anni di deflazione netta: è una strategia deliberata per sforbiciare una ratio debito/Pil al 245%, quindi di lavoro ne servirà ancora molto, mentre lo yield del Bund ieri aveva aggiornato il ribasso dell’asta arrivando overnight allo 0,711%, scendendo ulteriormente allo 0,705% dopo la pubblicazione del dato che vedeva l’inflazione tedesca in calo anno su anno dallo 0,8% allo 0,6%. E in molti attendono ora il sorpasso al ribasso, di fatto un cambio radicale nella struttura stessa del sistema finanziario globale.

Per John Higgins della Capital Economics, «anche se non siamo ancora convinti che l’eurozona sia il nuovo Giappone, nonostante le molte similitudine esistenti, siamo sempre maggiormente dell’avviso che il rendimento del Bund tedesco resterà eccezionalmente basso per almeno i prossimi due anni», questo ricordando un precedente storico, ovvero il taglio dei tassi della Bank of Japan allo 0,5% nel 1995, una mossa che spinse il rendimento del decennale nipponico sotto l’1% tre anni dopo. Sempre per Higgins, «nel 1998 gli investitori non sapevano che il tasso di riferimento giapponese sarebbe rimasto pressoché a zero per i successivi sedici anni ma soltanto la prospettiva che sarebbe potuto rimanere così nel futuro prevedibile del ciclo economico è stata sufficiente a mantenere ancorato fermamente lo yield del decennale giapponese. Per questo non vediamo ragione per cui un simile sviluppo non possa accadere in Germania, visto che il rendimento del Bund è sceso sotto l’1% dopo il taglio dei tassi della Bce allo 0,5% a metà del 2013».

Per questo Capital Economics ha tagliato le sue stime per fine 2014 e fine 2015 per il rendimento del Bund di 25 punti base, rispettivamente allo 0,75% e all’1% e inoltre ha rivisto al ribasso anche la stime per la fine del 2016 portandola all’1% dal precedente 1,50%. Per Royal Bank of Scotland il primo round di acquisti a parte della Bce dovrebbe essere per 500 miliardi di euro: «Siate aggressivi, l’elefante nella stanza è pronto a barrire di nuovo e forte e noi vogliamo essere a bordo. E un buon momento per equity, credito e bond, soprattutto periferici. Tutto ciò che è modalita di rischio è vincente». Quanti ne ho sentiti di analisti così entusiasti e certi delle loro teorie, davvero tanti. Alcuni però li ho anche sentiti piangere ed erano quelli che non avevano usato l’entusiasmo per ingolosire il parco buoi con la strategia del pump&dump e vendere ciò che avevano in portafoglio ma avevano essi stessi comprato, credendo nei miracoli delle banche centrali.

Sicuramente questa volta sarà diverso, almeno me lo auguro, perché altrimenti viene giù tutto. Comunque sia, quella del 4 dicembre è una data da segnare in rosso sul calendario. E Mario Draghi farà bene a dosare ogni singola sillaba e non sbagliare nemmeno una mossa.