«Se fossi in voi, non investirei in equity russe in questo momento. A meno che non abbiate intenzione di scommettere al ribasso». Chi ha pronunciato queste parole due giorni fa? Un guru di Wall Street? Un gestore di fondi? No, il portavoce di Barack Obama, Jay Carney, parlando ai giornalisti rispetto alle sanzioni emanate dalla Casa Bianca contro l’inner-circle di Vladimir Putin. Eppure in questi giorni il mercato sembra non essere dello stesso avviso di Carney, con l’indice Micex che negli ultimi giorni ha conosciuto un rimbalzo notevole, soprattutto dopo l’annessione ufficiale della Crimea alla Federazione russa. Cosa sa Carney delle future strategie anti-Cremlino che neppure gli operatori sul mercato ancora sanno, visto che cavalcano il rally? Che l’arma delle sanzioni sta per dar vita a un’escalation, prima economico-commerciale che diplomatica, destinata a mettere a dura prova la resistenza di Mosca. La quale, dal canto suo, trovandosi con le spalle al muro, potrebbe dar vita a reazioni fino a oggi non prese in esame.



Se infatti il vice-presidente del Comitato per gli affari esteri russo, Alexander Romanovich, ha definito le sanzioni contro il suo Paese «assurde e irreali, quanto sta accadendo è un’operetta di cui si può solo ridere», ieri Barack Obama ha stupito tutti e, in strategica contemporaneità con il Consiglio Ue chiamato proprio a decidere le mosse diplomatiche da intraprendere per la questione ucraina, ha ampliato la lista delle persone ch subiranno sanzioni, venti in totale, tra cui il miliardario Gennady Timchenko e il vice-speaker della Duma, Evgeny Bushmin, oltre alla potente Bank Rossiya, quinto istituto di credito del Paese e direttamente legata a molti esponenti della cerchia di potere del Cremlino. Ma Jay Carney potrebbe sapere ancora di più. E in anticipo, visto il suo ruolo. E visto che, come ha confermato a margine della sua dichiarazione lo stesso Barack Obama (e prima che il ministero degli Esteri russo reagisse vietando l’ingresso nel Paese a nove politici statunitensi tra cui John McCain e John Reid), il presidente Usa «ha firmato un decreto che contempla la possibile introduzione di sanzioni per settori chiave dell’economia russa, come ad esempio minerario, dei metalli e della difesa».



Insomma, escalation in piena regola. Ma cosa dobbiamo aspettarci? Per Bartosz Pawlowski di Bnp Paribas, «la reazione del mercato è prematura. L’Occidente ci è andato cauto, non ha mostrato il pugno di ferro ma attenzione perché le sanzioni contano. Nessuna azienda che investa in Russia può essere sicura di poter commerciare con quel Paese il mese prossimo, o tra due mesi o l’anno prossimo. Questo timore potrebbe portare molti a pensarci due volte». Non è un caso che un sempre crescente numero di investitori stia già trattando rubli off-shore come precauzione, di fatto creando un doppio mercato con doppia valutazione del cambio. Le aziende russe, poi, hanno 650 miliardi di dollari di debito estero, di cui 118 dovranno fare roll-over entro quest’anno in un ambiente di mercato decisamente ostile: basti dire che i costi del denaro per le aziende blue-chips sono già saliti di 230 punti base. E la geopolitica conta per il mercato, quasi come i numeri.



Due analisti di Nomura, Dmitri Petrov e Peter Attard Montalto, mettono in evidenza come azioni e retorica di Putin viaggino su due binari paralleli e fanno notare come non sia affatto da escludere che il Cremlino intenda fermarsi davvero alla Crimea nella sua campagna di “ri-sovietizzazione”. Per i due, «l’ottimismo attuale del mercato è eccessivo e ci aspettiamo ulteriori spinte separatiste nella parte Est dell’Ucraina, in particolare a Donetsk, Luhansk e Kharkiv». E sempre a Nomura sono certi che se le sanzioni emanate a inizio settimana sono apparse molto blande, quasi una luce verde de facto all’annessione della Crimea, il livello diplomatico successivo potrebbe essere molto più duro, fino a comprendere un embargo militare. E per Tim Ash di Standard Bank, le stesse sanzioni potrebbero rivelarsi un’arma funzionale se estese anche ai dirigenti delle principali aziende russe come Gazprom e Rosneft, garantendo così alla Sec, la Consob statunitense, uno strumento ottimale per evitare che paesi e aziende occidentali facciano affari con loro: Pirelli è avvertita, così come la Saras.

Sempre Ash pare avere chiara la vera finalità di Putin: «La Crimea non è mai stata una grande preoccupazione per il Cremlino e la sua annessione non farà terminare la crisi in modo netto. Il principale obiettivo di Putin è ottenere la neutralità politica dell’Ucraina ma questo non accadrà, perché Kiev – con il suo nuovo governo e dopo quanto accaduto – siglerà di corsa l’accordo di associazione con l’Ue». Insomma, tensione che pare destinata a salire, più che a scemare. E poi resta il nodo delle sanzioni, con i paesi più “sensibili” al rapporto commerciale con la Russia come Germania, Italia, Bulgaria, Finlandia e Cipro che predicano cautela dietro le quinte, soprattutto per quanto riguarda l’inclusione dei manager di grandi aziende russe nella lista di chi rischia il congelamento dei propri beni: per Pawlowski, «se si arrivasse a questo, i mercati reagirebbero davvero male». Il problema è che oltre alla già citata arma della Sec, gli Usa puntano a questa opzione di ampliamento anche a scopo destabilizzante interno: se per caso si dovessero scoprire ricchi conti off-shore di boiardi e grandi manager russi, il popolo – che finora è dalla parte di Putin per la stragrande maggioranza – potrebbe non reagire bene, vista anche la recessione economica che attanaglia il Paese e il calo del potere d’acquisto del rublo.

Inoltre, nonostante il presidente russo abbia minacciato di reagire con altrettanta durezza alla politica aggressiva delle sanzioni, difficilmente arriverà a tagliare le fornitura di gas a Germania o Italia, piuttosto potrebbe tentare di dividere il Consiglio europeo minacciando ritorsioni contro i paesi della parte Est dell’Unione, visto che Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania dipendono al 100% dalla Russia per l’approvvigionamento di gas, come ci mostra il grafico a fondo pagina. Non a caso, una strategia cui si sta pensando in caso di acutizzarsi della crisi è quella di utilizzare “navi rigassificatrici” che potrebbero rifornire velocemente di gas naturale liquido le nazioni più piccole e che ancora non sono dotate di terminal ad hoc. Il resto d’Europa, invece, è meno vulnerabile da un potenziale boicottaggio russo delle forniture di gas. Sia perché si va incontro alla stagione calda, sia perché grazie a un inverno mite gli stock sono più abbondanti del normale: la Germania, ad esempio, ha gas sufficiente per un centinaio di giorni, mentre la Polonia aprirà proprio quest’anno il proprio terminal, impianto che le garantirà la metà delle proprie necessità.

C’è poi da sottolineare come una politica di sanzioni ad ampio raggio avrebbe effetti catastrofici sull’economia russa, visto che l’export europeo verso la Russia è pari solo all’1% del Pil totale, mentre l’export russo verso l’Europa pesa per il 15%: un’asimmetria nei rapporti commerciali che Mosca rischia di pagare cara. Inoltre, quanto fatto da Vladimir Putin e il suo rendere platealmente ricattatorio l’oligopolio energetico del suo Paese, potrebbe portare a cambiamenti nelle politiche di molti stati europei, visto che da più parti si fa notare come i consiglieri strategici della Merkel abbiano già ventilato l’ipotesi di un ritorno al nucleare, dopo il bando seguito alla catastrofe di Fukushima, poiché la materia sarebbe ora direttamente legata alla sicurezza nazionale.

Quelli davanti a noi non si prospettano tempi tranquilli. Anche perché, in ambienti militari, si è tornato a parlare con una certa insistenza della volontà di Israele di colpire l’Iran entro quest’anno.