Et voilà, volevate l’Europa? Eccovi serviti con la specialità della casa: l’austerity. Il Fondo monetario internazionale ha infatti raggiunto un accordo preliminare con l’Ucraina per concedere a Kiev un prestito compreso tra i 14 e i 18 miliardi di dollari, il quale permetterà a sua volta di sbloccare aiuti internazionali per quasi 30 miliardi di dollari nei prossimi due anni. Ma durante la conferenza stampa a Kiev dell’altro giorno, un funzionario del Fmi ha annunciato che l’Ucrania in cambio dovrà approvare una serie di misure, le cosiddette “azioni prioritarie” del Fmi, prima del via libera formale da parte del board del Fondo a Washington. Tra queste, ci sono l’adozione delle riforme nel settore energetico e sul regime dei tassi di cambio flessibili. Ma non solo. Come parte dell’accordo, il governo ucraino dovrà tagliare il deficit di budget al 2,5% del Pil entro il 2016.



Non a caso, il governatore della Banca centrale ucraina, Stepan Kubiv, ha affermato che le riforme richieste dal Fondo potrebbero essere “dolorose” per il Paese. L’economia nazionale infatti si trova in una «situazione molto complicata che richiede un cambio di passo, dal populismo a un lavoro più pragmatico», ha aggiunto Kubiv. Mentre il premier Arseniy Yatsenyuk ha annunciato l’aumento dei prezzi della birra e della vodka, trovando però il lato positivo e salutistico della scelta: «Dovremo bere di meno e fare più sport».



Difficile, invece, trovare un lato positivo a quanto il governo aveva annunciato mercoledì, ovvero un aumento del 50% della bolletta del gas per le famiglie e del 40% per le imprese. Una volta che avrà rispettato le pre-condizioni fissate dal Fmi, l’Ucraina potrà disporre della linea di credito del Fondo a partire dalla seconda metà di aprile, spiegano alcune fonti coinvolte nelle negoziazioni. Il via libera dell’Istituto di Washington aprirà poi le porte ai finanziamenti da parte di Stati Uniti e Unione europea che si sono già impegnati in questo senso. Gli Usa hanno infatti annunciato che garantiranno all’Ucraina un miliardo di dollari di garanzie su prestiti e Bruxelles si è impegnata a concedere più di 15 miliardi di dollari in prestiti e garanzie, di cui 2,2 miliardi di crediti dovrebbero essere disponibili entro fine anno. Infine, anche la Banca mondiale ha fatto sapere che potrebbe erogare 3 miliardi di dollari di finanziamenti entro dicembre 2014, di cui uno andrebbe a sostegno del bilancio nazionale. Insomma, basta farsi scassare l’economia ed eterodirigere e i soldi si trovano.



Chi invece comincia a fare i conti con le pressioni finanziarie è la Russia. Nel giorno in cui Vladimir Putin poteva infatti festeggiare il suo 82% di gradimento tra i cittadini della Confederazione, Standard&Poor’s annunciava che stava per spostare in “negative outlook” i rating dei giganti energetici del Paese, Gazprom, Rosneft (fresca di un accordo preliminare con il governo indiano sulla fornitura di gas), Transneft e Lukoil, mentre aveva sospeso il rating di Bank Rossija, la banca colpita dalle sanzioni Usa. E facendo notare come si renda più difficile per il governo supportare compagnie di quella entità in caso di un rafforzamento delle sanzioni, S&P’s diceva chiaramente nella nota che «se dovremo abbassare il rating della Russia, di conseguenza verranno rivisti al ribasso anche quelli delle quattro aziende energetiche».

Eppure, il mercato sembra ancora credere in Mosca e meno in possibili mosse degli Usa per paralizzare l’economia del Paese. Dal 13 marzo scorso, infatti, la Borsa russa ha guadagnato qualcosa come il 40%, come mostra il grafico, con i volumi di scambio quotidiani saliti al record di 72 miliardi di rubli (2 miliardi di dollari) nelle prime tre settimane di marzo contro la media di 35 miliardi di febbraio. Per gli analisti, almeno sul breve termine, la Borsa russa sta beneficiando dell’attuale ambiente di volatilità sui mercati. Insomma, un mercato dinamico da cui qualcuno esce spaventato dalle sanzioni, ma altri, molti, entrano attratti appunto dalla volatilità o dalla ricerca di opportunità, visto che per alcuni attualmente gli assets russi sono molto sottovalutati.

La Borsa di Mosca ha postato un aumento dei profitti del 41% a quota 11,6 miliardi di rubli nel 2013 e grazie all’accordo con Euroclear dal prossimo luglio le equities russe saranno disponibili anche per gli investitori delle piattaforme offshore. Questo dato è importante, perché un’eventuale seria crisi dell’economia russa non sarebbe affatto indolore per le banche europee, esposte nel Paese per 194 miliardi di dollari contro i soli 37 miliardi degli istituti statunitensi, dato che spiega bene anche il differente approccio di Usa e Ue all’affaire ucraino.

L’Austria, ad esempio, subirebbe effetti diretti, poiché due delle principali banche del Paese, Raiffeisen Bank e Bank of Austria (quest’ultima un’unità della nostra Unicredit), hanno ampie posizioni aperte sia in Russia che in Ucraina e quasi un terzo dei prestiti concessi in Ucraina da Raiffeisen, pari a circa 1,2 miliardi di euro, sono già classificati in default o come incagli. Molto esposta in Russia anche la francese Societe Generale, ma è l’Austria a fare la parte del leone (o dell’agnello sacrificale), poiché con 17 miliardi di esposizione in quel Paese tocca quota 1,4% dei suoi assets bancari totali.

E attenzione, a farci capire che il clima positivo che regna sul mercato russo potrebbe cambiare repentinamente sono i manager di hedge funds, i quali in questi giorni stanno riposizionando i propri portafogli di investimento in caso Obama facesse seguire i fatti alle minacce di sanzioni più dure, le quali avrebbero immediate implicazioni per i mercati, sia a livello di crescita globale, sia per la valutazione degli assets, sia appunto per stress sul sistema bancario. Quindi cosa fanno i fondi speculativi? Il loro lavoro, costruiscono elementi nei book che servano sia per trarre dei vantaggi, sia per proteggersi dagli eventi: il cosiddetto hedging che dà loro il nome.

Prima cosa, in caso di sanzioni di tipo economico contro Mosca e quindi deterioramento del sentiment di mercato, potrebbe configurarsi uno spostamento di interesse generale verso il dollaro e verso asset-governativi statunitensi, cosa che al Treasury non dispiacerebbe vista la seconda asta di bond, questa volta a 5 anni, che ha conosciuto rendimenti in aumento al livello del maggio 2011. Ci sono poi asset classes che subiranno maggiormente gli scossoni di rinnovata tensione, senza che per questo sia necessaria l’invasione russa dell’Ucraina o peggio. Quindi in molti stanno ponendosi lunghi sul mercato delle granaglie in Europa, proprio per beneficiare di eventuali sanzioni o bandi contro la Russia, long sul palladio – di cui vi ho già parlato – poiché Mosca potrebbe per ritorsione decidere di togliere la sua quota di produzione quasi totale dal mercato e short sul reddito fisso, mossa in questo caso legata alla normalizzazione delle dinamiche di tassi di interesse in Usa ed Europa su cui si scommette. E soprattutto, almeno a Londra, molti manager stanno ponendo sui loro portafogli d’investimento la supervisione dei cosiddetti “macro hedges”, ovvero software che tracciano i book di investimento per assicurare che sia mantenuto un certo livello di rischio.

Insomma, mentre le cancellerie prendono tempo, mentre Obama minaccia ritorsioni e Putin attende alla finestra, certo che l’Europa non correrà il rischio di vedersi chiudere prima i rubinetti energetici (il gas Usa è un’alternativa ma ha costi e tempi) e poi la porta del mercato russo (l’industria automobilistica europea, già in crisi, vende in Russia il 40% della sua produzione, per fare un esempio), i professionisti della finanza studiano tutte le varie alternative possibili, si posizionano su scenari differenti per trarre il massimo beneficio dalla crisi o dall’allentamento della tensione. Poi non ditemi che la geofinanza non esiste. E quando gli hedge funds si muovono così è perché sanno cosa stanno facendo.