Comincio a pensare di non essere più il solo a ritenere il rischio deflazionistico qualcosa di assolutamente serio e incombente. E, devo dire, mi sento in buona compagnia, visto che a confermare come «la Banca centrale europea è pronta ad avviare un ampio programma di acquisto titoli, se lo scenario deflazionistico dovesse peggiorare» è stato ieri il presidente dell’Eurotower in persona, Mario Draghi, parlando a una conferenza ad Amsterdam in occasione dei 200 anni della Banca centrale olandese. Stando al numero uno della Bce, infatti, un peggioramento delle prospettive di inflazione nel medio termine «creerebbe le condizioni per un più ampio programma di acquisto di attività».
Ora, lo so che è lo stesso tipo di discorso fatto negli ultimi sei mesi e soprattutto il 3 aprile scorso, sortendo l’effetto di spedire al ribasso il cross euro/dollaro per qualche giorno, salvo poi rimetterlo sopra 1,3850, ma questa volta penso che Draghi ci stia pensando davvero. Di più, che la cosa sia pronta e vada solo annunciata operativamente. Non si spiegherebbe altrimenti il risultato senza precedenti del sondaggio condotto come sempre da Bloomberg, in base al quale 67 economisti su 67 interpellati convengono sul fatto che non ci sarà alcuna contrazione dell’economia, né dei corsi azionari almeno per i prossimi sei mesi. Insomma, un driver è pronto a mantenere in vita e ben operante il Sert delle banche centrali: quindi, o la Bank of Japan aumenta ancora gli acquisti – rischiando però di drenare tutta la liquidità dal suo mercato azionario sovrano – oppure questa volta toccherà alla Bce mettere il turbo ai mercati. Ma come?
Draghi, ovviamente, è stato abbastanza vago. A detta del numero uno, l’Eurotower «potrebbe rispondere anche con un ulteriore abbassamento del corridoio dei tassi, incluso un tasso sui depositi negativo». Tuttavia il margine di manovra che resta sui tassi di interesse a breve potrebbe non essere sufficiente e quindi questo potrebbe essere il contesto per un più ampio programma di acquisto di asset, ciò che a mio modo di vedere il mercato sta davvero e già prezzando. E infatti, «il Consiglio direttivo della Bce all’unanimità è pronto ad agire con misure sia convenzionali, sia non convenzionali per rispettare il proprio mandato e affrontare con efficacia i rischi di un prolungato periodo di bassa inflazione».
Unanimità: significa “via libera” da parte della Bundesbank, un qualcosa di poco immaginabile fino a soli sei mesi fa, ma come vi ho spiegato in un recente articolo, persino il più influente think tank tedesco ha chiesto a chiare lettere acquisti di massa e pro-quota di bond nell’eurozona per cercare di riattivare la crescita. Insomma, Weimar forse fa un po’ meno paura. Ma questo non basta. Oltre all’inflazione vi è poi «una disfunzione nel meccanismo di trasmissione della politica monetaria, in particolare attraverso il canale del credito. Per cui la Bce potrebbe essere costretta a rispondere con un’operazione di rifinanziamento a più lungo termine (Ltro) mirata a incoraggiare i prestiti bancari». Basta che questa volta, però, si utilizzi il criterio scelto dalla Bank of England per il suo programma “Lending for funding”, ovvero tassi bassi, ma con obbligo di utilizzare una quota non negoziabile di denaro per finanziare famiglie e imprese, altrimenti all’atto della restituzione i tassi di interesse saranno molto più alti di quelli precedentemente concordati. Insomma, questa volta non si utilizzino le banche come primary dealers del debito sovrano per abbassare gli spread – già ai minimi storici – ma per garantire anche gestione del risparmio ed erogazione del credito, di fatto il loro compito statutario.
Sempre a detta di Draghi, Francoforte potrebbe intervenire anche attraverso un programma di acquisto di Abs (attività cartolarizzate), sostenuto dalle necessarie modifiche normative volte a rivitalizzare una cartolarizzazione di alta qualità in Europa: e qui il timore è quello di una bad bank in grande stile, una sorta di pattumiera a cielo aperto per evitare noie agli stress test. Vedremo, ma questa volta, forse, non siamo solo ai proclami. Draghi resta infatti preoccupato anche per l’apprezzamento dell’euro che minaccia le esportazioni: «Un apprezzamento del cambio determina condizioni monetarie più restrittive, una pressione al ribasso sull’inflazione e potenzialmente una minaccia sulla ripresa», ha sottolineato il governatore della Bce, ricordando che un continuo apprezzamento del tasso di cambio «può influenzare le decisioni di politica monetaria. Questo è il motivo per cui abbiamo detto che il tasso di cambio è un fattore di crescente importanza per giudicare le prospettive di stabilità dei prezzi». E questo è il punto chiave: la Bce, nel pieno di una guerra valutaria che vede la Bank of Japan, la Banca del Popolo cinese e la Fed attivissime nel cercare di svalutare per guadagnare quote di export per le loro sovra-capacità, sembra voler mandare un messaggio chiaro: non accetteremo più passivamente un euro che flirta costantemente con quota 1,40 o peggio.
Acquisterà dollari o debito Usa? Questa rimane un’ipotesi sul terreno, ma, forse per combattere un po’ il montante euroscetticismo in vista del voto del 25 maggio, Draghi sembra voler prospettare quella che sarebbe davvero una rivoluzione: la Bce, dopo 16 anni di vita, starebbe infatti riflettendo sulla possibilità di pubblicare i propri resoconti in materia di decisioni di politica monetaria, esattamente come le minute della Fed. «Dal momento in cui la Bce è stata istituita, non due secoli ma solo 16 anni fa – ha detto Draghi – non ha esitato a mantenere il suo impegno sulla stabilità dei prezzi. Ma il suo comportamento e la comunicazione della politica monetaria si sono evoluti e gli obblighi di segnalazione della Bce sono ovviamente cresciuti». Dunque, ha continuato il numero uno dell’Eurotower, c’è «la necessità di una maggiore responsabilità e trasparenza, che si riflette nel nostro accordo interistituzionale con il Parlamento europeo. La pubblicazione di un resoconto più ricco delle nostre decisioni di politica monetaria rappresenta un passo logico successivo nella comunicazione evoluzione della Bce».
Per il numero uno della Bce, dopo 16 anni di funzionamento e sette anni di crisi, l’eurosistema è ora abbastanza «maturo» per impegnarsi maggiormente con il pubblico «su come possiamo fare per adempiere il nostro mandato. Tale interazione è in definitiva la migliore base per una politica monetaria efficace e per mantenere credibilità e fiducia nel nostro istituto che, si spera, durerà per i secoli a venire». Se sarà rivoluzione è presto per dirlo, ma un’apertura di credito tale, in un contesto sì ufficiale ma esterno alla Bce non può che deporre a favore di una svolta. La quale, sia chiaro, è meglio che avvenga il prima possibile, perché al netto del consenso dei 67 economisti, i “cigni neri” sono molto rari ma appaiono di colpo, a difese abbassate. Quindi, l’aspettativa di intervento è sì in grado di funzionare da driver e punto di supporto, ma solo quando è davvero credibile e per un periodo limitato di tempo. Ora quel tempo è venuto.