Per una parte dei lettori de ilsussidiario.net sono nella migliore delle ipotesi una Cassandra e nella peggiore un dietrologo senza speranza: ammetto di andarne fiero, visti i brillanti risultati ottenuti negli ultimi anni dai cantori della ripresa e dell’ottimismo. Come vedete ho accuratamente evitato anche solo di sfiorare l’argomento delle ultime rivelazioni contenute nel libro di Tim Geithner riguardo al 2011, onde evitare di scontrarmi contro la terza bollatura che mi riguarda: berlusconiano. Non lo sono, ma se difendere la sovranità del popolo italiano da tre tedeschi, quattro massoni e due banchieri che decidono cosa è meglio per noi significa esserlo, allora iscrivetemi pure al club. Tutto questo per dirvi che quando sottolineo a ogni piè sospinto che stiamo per finire in un altro 1992 ma all’ennesima potenza e che lo spread basso di questi giorni è paradossalmente un segnale di pericolo enorme, non lo faccio per partito preso: leggo le cifre e guardo i fatti. Mettiamone in fila qualcuno, fresco fresco di ieri.



Nel primo trimestre dell’anno il Pil è tornato a scendere su base congiunturale dello 0,1%, mentre sull’anno il calo è stato dello 0,5%. Si tratta delle stime Istat espresse in valori concatenati con anno di riferimento 2005, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato (il primo trimestre 2014 ha avuto una giornata lavorativa in meno del precedente e una in meno del primo trimestre 2013). L’ultimo trimestre 2013, con un +0,1% congiunturale, aveva interrotto nove trimestri consecutivi di segni negativi: il Pil acquisito per l’anno in corso è pari al -0,2%.



Scusate, dov’è la crescita? Dov’è la ripresa? E non lo dico solo io, sentite cosa dice Annalisa Piazza, strategist di Newedge: «L’attività italiana continua a contrarsi e il gap di output, già ampio, continua ad allargarsi. Sospetto che gran parte della debolezza sia dovuta al deterioramento del commercio netto, unito al profilo ancora debole della domanda interna. Inoltre, la disoccupazione, ancora su livelli record, non è certo di stimolo ai consumi privati». Ma ora arrivano gli 80 euro in busta paga e vai di champagne per tutti: oppure, se volete seguire la dieta Picierno, potete farci la spesa addirittura per due settimane. Ma andiamo avanti con i dati.



Tra gennaio e marzo i fallimenti aziendali sono stati 3.811, il 4,6% in più rispetto allo stesso periodo del 2013. Stando ai dati del Cerved si tratta di un nuovo record, anche se nei trimestri precedenti i default crescevano a doppia cifra e si registra un calo delle chiusure aziendali con forme diverse dal fallimento. «Nel primo trimestre 2014 si contano in tutto 23mila chiusure aziendali – commenta Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato del Cerved, primo gruppo in Italia nel “credit information” – il 3,5% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo miglioramento è attribuibile alla diminuzione delle liquidazioni volontarie, che hanno fatto registrare un calo del 5%, e delle procedure non fallimentari (-1,4%), che hanno compensato il continuo aumento dei fallimenti». In particolare, dopo i correttivi portati dal “decreto del fare” alle normative sui concordati in bianco con l’introduzione della possibilità per i tribunali di nominare un commissario giudiziale che monitori la condotta del debitore, si è fortemente ridotto il ricorso al pre-concordato: nei primi tre mesi si contano circa 800 domande, in calo del 48% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Quindi ecco la grande ricetta renziana, non fare in modo che le aziende non chiudano ma dilatare i tempi e le modalità della loro eutanasia: potremmo quindi parlare di un “decreto del fare”, sì ma fare il becchino. Per quel che riguarda i soli fallimenti, questi crescono in tutto il territorio a eccezione del Nord-Est, in cui si registra un calo dell’1,8% e dove però nei quattro trimestri precedenti si è registrato un boom con tassi molto più elevati rispetto al resto della penisola. La crescita dei default è continuata nel Nord-Ovest (+3,7%), nel Mezzogiorno e nelle Isole (+5,7%), ma soprattutto nel Centro con un incremento del 10,3%. «A soffrire maggiormente è il settore dei servizi (+7,3%) e quello delle costruzioni (+6,3%). Ancora in leggero rialzo la manifattura (+0,8%), anche se segna una decisa frenata rispetto ai dati dell’ultimo trimestre 2013», conclude De Bernardis.

Sapete cosa succede se andiamo avanti così, ovvero se non costringiamo le banche a erogare credito invece di comprare Btp e Bot col badile per tenere basso lo spread e guadagnare in vista delle nuove operazioni della Bce? Succede che questo Paese diventerà il deserto. Ed è questione molto logica, pressoché meramente matematica: per avere un Pil nell’intero 2014 a +1,0%, come da previsioni governative, dovremo avere nei prossimi tre trimestri crescite attorno allo 0,75% trimestrali, circa 3% annualizzato. Scordatevelo. E guardate che ci sarà da festeggiare se si chiuderà l’anno a crescita zero, visto che per ottenere questo lusinghiero risultato dovremo avere nei prossimi tre trimestri crescite attorno allo 0,25% trimestrali, circa 1% annualizzato: voi ci credete? E attenzione ulteriore, perché per quanto il governo lo neghi, occorrerà quasi certamente una bella manovra correttiva, perché un Pil simile genera automaticamente un bel guaio a livello contabile, visto che uno scostamento di un 1% sul dato previsionale su cui è stato fatto il Def, significa circa 8 miliardi di buco nei conti e nel deficit. Ma a questa gente, al governo, non interessa nulla di risanare il Paese, loro sono stati messi lì in continuità con Monti e Letta per operare da curatori fallimentari e aprire le porte per la svendita dei gioielli di famiglia con la scusa di abbattere il debito pubblico.

Volete sapere cosa ne penso? Ve lo dico chiaro: stanno operando per conto di poteri esterni all’Italia. Non si spiegherebbe altrimenti perché il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, stia studiando l’ipotesi di dismissione del 10% di Eni ed Enel, nella convinzione che per averne il controllo non sia strettamente necessario che lo Stato ne possieda almeno il 30%. Per dirimere la questione, sapete cosa stanno architettando? Si sta pensando a un sistema di azioni con potere di volto multiplo, di conseguenza, lo Stato continuerebbe a essere l’azionista di controllo delle aziende, pur detenendone solamente il 20%. E secondo voi un grosso player che decide di entrare in Eni ed Enel accetterebbe una simile logica? Stanno solo creando le condizioni perché l’Ue bocci questa ipotesi e aprire poi le porte agli stranieri, sempre con la scusa buona per ogni stagione dell’abbattimento del debito pubblico.

Bene, sapete quanto ipotizza di guadagnare il Tesoro dalla cessione del 10% di Eni ed Enel? Circa 10 miliardi, a fronte di un debito pubblico di 2120 miliardi d euro. Direte voi, c’è il piano di privatizzazioni fino al 2017. Vero, infatti a pagina 3 del Def si sottolinea come il programma di privatizzazioni del governo debba produrre «introiti attorno a 0,7 punti percentuali di Pil all’anno dal 2014 e per i tre anni successivi». Tradotto, 11,2 miliardi all’anno fino al 2017 contro gli 8 fino al 2016 ipotizzati da Letta e Saccomanni. Vi paiono cifre che possono abbattere il debito pubblico, se come dimostrato dai dati del Pil non cresciamo e quindi non si agisce sul denominatore? Sono gocce in un mare che continua a diventare sempre più tempestoso, sono svendite in piena regola, visto che andremo oltretutto a introitare meno di quanto guadagniamo attraverso le partecipazioni in Eni ed Enel, società che fanno utili.

Un altro dubbio, poi, riguardo le vere intenzioni di chi ci governa. Come mai ieri sulla Gazzetta Ufficiale francese era pubblicato il nuovo decreto legge con il quale il governo può bloccare scalate estere in compagnie strategiche, ovvero energia, acqua, farmaceutica e trasporti? Perché i francesi hanno sentito il bisogno di tutelarsi in fretta e furia? Solo per difendere Alstom dalla scalata ostile di General Electric o perché hanno capito che certi settori sono vitali e non ci si fa mettere il naso a potenziali competitor? Ditemelo voi, se lo sapete. Io sarò anche dietrologo, ma i fatti mi pare che parlino chiaro.

E attenzione, poi, ormai gli italiani – tra banche e risparmiatori – detengono il 70% del debito pubblico: ancora un po’ e la quota per la quale in caso di default si fanno molto male anche i creditori stranieri sarà lasciata alle spalle. E allora dubito che in molti avranno pietà di noi: o accetteremo le loro regole, facendoci colonizzare de facto, oppure busseranno alla porta Fmi e troika. Ad aprirla, con un bel sorriso, il gran cerimoniere Renzi. Meditate.

 

P.S.: Vi ricordate quando vi dissi che la Grecia era tutt’altro che salva, nonostante i nuovi aiuti (serviti a ripagare i debiti con gli obbligazionisti) e che prima dell’estate sarebbe tornata a farsi sentire? Detto fatto, l’instabilità politica, il rischio di elezioni anticipate – con Syriza in pole position – e la tassa retroattiva sul capital gain ottenuto da entità e soggetti esteri operanti sul debito greco (33% nel primo caso, 20% nel secondo) nel periodo tra 29 febbraio 2012 al 31 dicembre 2013 hanno fatto sì che ieri la Borsa di Atene crollasse, così come il prezzo del nuovo bond a 5 anni (quello che aveva fatto impazzire tutto il parco buoi globale) e gli spread periferici europei vivessero la peggior giornata da un anno a questa parte, Italia compresa, come dimostrano questi grafici.

Attenzione, la speculazione non ama essere tassata (meno che mai retroattivamente e solo perché ha fatto soldi sulle spalle delle promesse della Bce) e lo ha ricordato così alla Grecia, ma il segnale è chiaro e vale per tutti i Piigs: con le banche greche in mano agli hedge funds Usa, bastano due giorni di terremoto finanziario per rispedire Atene all’inferno e i suoi compagni di sventure in guai seri. E ricordatevi sempre il mio nuovo mantra, il 70% del debito italiano è in mano agli italiani…