Non so se alla Bce leggano ilsussidiario.net (non lo escludo ma ne dubito un pochino), in compenso uno degli allarmi che lancio da settimane da queste colonne ha trovato ospitalità anche in un documento ufficiale della Banca centrale. Nell’ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria, infatti, l’Eurotower fa notare come la ricerca di alti profitti da parte degli investitori in un ambiente di mercato con bassi tassi di interesse ha creato un crescente rischio di «un secco e disordinato srotolamento» che potrebbe ributtare l’eurozona nella crisi. Per la Bce, «gli investitori a livello globale che cercano alti profitti sono attualmente la più grande minaccia alla stabilità finanziaria del blocco dei 18 Paesi. Con l’intensificazione della ricerca di rendimento, sono accresciute anche le preoccupazioni riguardo la creazione di sbilanciamenti e la possibilità di un netto e disordinato srotolamento dei recenti flussi d’investimento. Bassi rendimenti perduranti potrebbero creare ulteriore pressione sugli investitori al fine di migliorare i loro profitti, situazione che potrebbe spingere gli investitori verso posizioni altamente esposte alle leva e/o verso assets con poca liquidità».
Alla fine ci sono arrivati anche a Francoforte a capire che questo mercato disfunzionale e manipolato sta creando le condizioni per la versione 2.0 del 2008: meglio tardi che mai. Nonostante il vice-presidente della Bce, Vitor Constancio, abbia rassicurato recentemente tutti, definendo “normale” il processo di afflusso verso l’Europa degli outflows di capitali in fuga dai mercati emergenti, visto che a suo dire le condizioni di investimento e quelle generali sono migliorate nell’Ue, qualcun’altro non la pensa così. E lo ha scritto nero su bianco in un documento ufficiale, nel quale si legge che le politiche di ultra-allentamento monetario hanno distorto i mercati e che la rincorsa verso alti profitti potrebbe generare bolle sui prezzi degli assets: non so dove ma sono certo di aver già letto un concetto simile da qualche parte.
Per la Bce, «tali flussi potrebbero rivelarsi incostanti in assenza di prospettive di forti profitti in termini assoluti, differenziandosi dalle sottostanti nazioni in cui si investe da prospettive macroeconomiche specifiche, nonché da situazione bancarie». In effetti, il primo a spaccare il fronte de “il mercato si autoregola” è stato recentemente l’ex vice-governatore della Bank of England, Charlie Bean, a detta del quale «i bassi livelli di volatilità nei mercati finanziari sono paurose riminiscenze della run-up della crisi finanziaria, dato che le politiche monetarie ultra-accomodanti hanno aumentato la ricerca del rendimento tra gli investitori, attitudine che può portare alla creazione di bolle». Ma c’è di più: sia la Bank of England che la Bce hanno sottolineato con preoccupazione la rinnovata popolarità tra gli investitori verso prodotti corporate ad alto rischio, inclusi i cosiddetti “covenant-lite”, i quali offrono grandi profitti ma quasi zero protezione per chi investe. Inoltre, le due banche centrali hanno puntato l’indice verso i mercati Usa, dove si sta rafforzando sempre di più l’utilizzo di prodotti ad alto rischio di investimento, anche e soprattutto tra clientela retail (il parco buoi, per capirci).
Per finire, altro concetto molto noto ai frequentatori di queste pagine ma che è bello sentire dalla Bce: i debiti sovrani nell’eurozona sono preoccupanti e potrebbero divenire ingestibili se le riforme resteranno in stallo e la crescita resterà ancora a zero in un ambiente di bassa inflazione. Insomma, tutte cose che sapevate già ma che fa sempre bene rinfrescare. Ora vi dirò di più. Guardate questo grafico: compara l’andamento dell’indice S&P 500 della Borsa di New York con quello del rendimento del bond trentennale. Quello in alto ci mostra quanto accadde tra luglio e agosto 2011, quello in basso ci mostra l’andamento attuale: non trovate qualche similitudine?
Nel 2011, quando giunse la correzione, l’indice S&P 500 passò in poche settimane da 4900 punti a 3667: poi questi non sarebbero mercati manipolati e di fatto drogati dalle banche centrali? Signori, viviamo in un mondo dove l’altro giorno il rendimento del decennale Usa ha sfondato al ribasso la soglia psicologica del 2,50%, nei fatti una dimostrazione di quanto lentamente stia crescendo l’economia Usa e quanto pesino le preoccupazioni per i rischi deflattivi. Il tutto, ovviamente, mentre i titoli azionari nell’overnight conoscevano nuovi massimi: il grafico insegna. Ma ancora più folle è il fatto che il debito spagnolo a 10 anni viaggiasse contemporaneamente con un rendimento del 2,827%, solo 30 punti base in più di quello statunitense e che la Germania vedesse un’altra asta, questa volta di Bund a 30 anni, andare tecnicamente fallita, ovvero non coprendo l’intero ammontare offerto!
Nulla ha più senso in questo mercato mosso dalle banche centrali, i fondamentali non contano più niente: pensate che il fondo pensioni giapponese Gpif ha annunciato che comprerà obbligazioni con rating “spazzatura” per aumentare i profitti. Tanti auguri ai pensionati giapponesi, i quali potrebbero ritrovarsi senza i risparmi di una vita per la sete di avidità del fondo che li gestisce e che probabilmente non sta facendo altro che comprare bonds per fare hedging alla sua esposizione long sull’azionario. Eh già, perché l’azionario tira ancora, sfonda massimi dopo massimi. Basti vedere proprio l’indice preso in esame dal grafico precedente, l’S&P 500 di Wall Street.
Ora però guardate il primo grafico a fondo pagina, sempre inerente alla medesima Borsa: chi ha comprato azioni per 160 miliardi di dollari nel primo trimestre di quest’anno, spedendo l’indice alle stelle? Le medesime aziende quotate su quell’indice, sono tutti buybacks, come confermato dagli ultimi dati di CapitalIQ! Se per caso anche il secondo trimestre dovesse conoscere queste cifre, in soli sei mesi avremmo il più grande risultato annuale sui buybacks della storia! Eh già, perché a differenza degli investitori tradizionali che tendono a comprare quando il prezzo è basso e vendere quando è alto, le aziende se ne fregano della ratio sull’asset price, loro ricomprano anche ai massimi i loro titoli per ridurre lo stock di flottante sul mercato e per ottenere l’unico, folle risultato che perseguono: battere le stime per un altro trimestre. Di fatto, pagandone il costo.
E follia nella follia, sempre più aziende sono costrette a emettere debito per finanziare i buybacks azionari e a prezzo sempre più alto, visto che siamo in pieno ambiente di ricerca del rendimento. Non a caso e nonostante tutte le bugie che sentite in giro, il livello di indebitamento netto delle aziende Usa oggi è più alto del 15% rispetto ai livelli del 2008-2009 e ai massimi record di sempre, come ci dimostra il secondo grafico. E sapete perché va così, perché ci si indebita per ricomprare proprie azioni in Borsa? Perché i contratti dei grandi dirigenti di quelle aziende vedono i bonus scattare in base alla performance del titolo: quindi, spendono soldi dell’azienda per ricomprare le proprie azioni ai massimi per ottenere più denaro per sé. Ecco come funziona oggi il mercato, almeno negli Usa. E quali sono queste aziende? Eccole, sono tutte nell’ultimo grafico: buona lettura.
Chissà che la Bce, prima o poi, non si renda conto anche di questo e vada a dare un’occhiatina a come stanno funzionando anche i mercati europei…