Da mesi ormai vi parlo di mercati manipolati e drogati dall’azione delle banche centrali, capaci prima di spedire gli indici azionari alle stelle nonostante la pochezza dei dati macro sottostanti e poi di drenare tutta la liquidità residua dal mercato secondario delle obbligazioni, ormai senza più volumi visto che al “taper” della Fed ha fatto seguito l’Abenomics giapponese che acquista tutto l’acquistabile, eliminando di fatto il concetto stesso di rischio e schiantando gli spread. Il problema è che questo intervento va a inserirsi in un contesto finanziario di manipolazione che è strutturale, partendo dal trading ad alta frequenza che garantisce vantaggi sulla creazione del prezzo dei titoli e dall’insider trading, ovvero l’ottenimento e l’utilizzo di notizie riservate riguardo l’andamento di un titolo o di un’azienda sui mercati al fine di garantirsi un profitto certo nell’investimento, è la più antica ed endemica malattia della finanza.
Bene, quest’ultimo esempio di manipolazione è oggi argomento di grande dibattito negli Usa, con posizioni che fino a pochi anni fa sarebbero state definite a dir poco eretiche dall’ipocrisia generalizzata di chi opera sul mercato. In particolar modo, sono molto sensibili a questa pratica i processi di fusione e acquisizione di aziende, il cosiddetto M&A, che mettono molte persone a conoscenza di mosse che possono cambiare completamente l’andamento di un titolo. La conferma di questo, storicamente, viene offerta dai movimenti anomali di titoli e opzioni poche settimane prima dell’annuncio ufficiale dell’operazione.
Ora, però, forse pare arrivato il redde rationem. Uno studio condotto da due professori della Stern Business School della New York University e da uno della McGill Univesity – Menachem Brenner, Marti G. Subrahmanyam e Patrick Augustin – ha infatti analizzato centinaia di transazioni tra il 1996 e la fine del 2012 e prendendo in esame i movimenti delle opzioni sui titoli azionari – ovvero quegli strumenti che consentono di comprare il titolo in futuro a un prezzo predeterminato -, il report giunge a parecchie conclusioni. La prima è che l’attività inusuale di questi strumenti comincia mediamente 30 giorni prima dell’annuncio ufficiale di accordo e la seconda è che, nonostante la sistematicità di questa pratica, la Sec – l’autorità di vigilanza dei mercati statunitensi – ha avviato pratiche informative soltanto sul 4,7% dei 1859 casi di operazioni M&A trattate nello studio. Il problema è che anche quando la Sec agisce, i tempi giocano a suo sfavore. Ci vogliono infatti mediamente 756 giorni per l’annuncio pubblico di indagine e prima di arrivare all’eventuale condanna del trader infedele passano almeno due anni.
Tra i casi più clamorosi analizzati nello studio ci sono i movimenti anomali su opzioni prima del leverage buyout di Heinz da parte di Warren Buffett e 3G Capital, quando due fratelli brasiliani utilizzarono informazioni riservate sull’operazione, operando attraverso un conto di brokeraggio svizzero di Goldman Sachs detenuto da una società con sede alle isole Cayman. Lo studio evidenzia poi come più grande è l’accordo e più alto il volume di trading sul titolo, più ci sia probabilità di insider trading: operando quando il volume di scambi anomali sale, si ha maggiore possibilità di nascondere i propri trades proprio grazie alla maggiore liquidità dell’azienda finita nel mirino. Ma il dato che maggiormente fa riflettere è quanto, a detta dello studio, l’insider trading sia diffuso: si potrebbe arrivare al 25% di tutti gli accordi tra aziende quotate.
A questo punto, qualcuno sulla scorta dell’evidenza, comincia ad avanzare un’ipotesi: non sarebbe meglio legalizzare l’insider trading, visto che si tratta di fatto di un crimine senza vittima e che comunque la sua diffusione è tale da non permettere il suo contrasto attraverso la Sec? La pensa così, ad esempio, Carol Roth, autrice del libro “The entrepreneur equation”, a detta della quale sarebbe proprio l’investitore medio a beneficiare dell’insider trading, poiché questo rende il mercato più efficiente: «Ovviamente chi beneficia delle informazioni asimmetriche sono i big guys ma anche i little guys possono trarre dei vantaggi avendo più persone che entrano in gioco e danno informazioni al mercato». Di parere ovviamente opposto è Harvey Pitt, capo della Sec dal 2001 al 2003, a detta del quale c’è una sola, semplice parola per descrivere l’insider trading: furto. «L’idea che in qualche modo sia permesso perché questo rende più efficienti i mercati va contro il pensiero economico e legale. Non c’è alcuna giustificazione per l’appropriazione indebita di informazioni altrui e questo crea chiaramente delle vittime», ha dichiarato parlando con Cnbc.
E proprio il concetto di vittime è invece quello su cui si fa forza Carol Roth e chi a Wall Street come nella City la pensa come lei: a suo modo di vedere, non c’è alcuna vittima e se non c’è vittima, non c’è crimine. È semplicemente la creazione di un incentivo al flusso di informazioni verso il mercato: «Più incentivi la gente ad andare in giro e cercare informazioni, più che queste informazioni arriveranno velocemente sul mercato», è la tesi con cui ribatte a Pitt. Una tesi forte, forse azzardata, ma che va impattare con una realtà che il recente studio di cui abbiamo parlato svela nella sua crudezza: l’insider trading è sì un reato, ma è anche parte integrante del modello di business di Wall Street. Insomma, c’è e non si capisce come poterlo debellare, visti i numeri che la Sec fornisce rispetto alle sue investigazioni e alle condanne.
Allora meglio davvero legalizzarlo? Una cosa è certa, nulla rappresenta al meglio la vera natura umana come il mondo della finanza. Ma, soprattutto: vale ancora la pena di credere al concetto stesso di mercato quando questo è tutto tranne che libero e basato su merito e capacità? Quei soldi, quei miliardi che fluttuano e fanno la fortuna di banchieri e grandi traders senza più giungere all’economia reale attraverso credito e investimenti come accadeva prima, cosa sono in realtà? Lungi da me voler distruggere il concetto stesso di capitalismo, ma forse una riflessione, al netto di quanto stiamo patendo da sei anni, andrebbe fatta. E, questa volta, seriamente.