Ormai i dubbi tra gli investitori sono davvero pochi: stiamo entrando nella fase di pre-esplosione di una fine ciclo sui mercati equity. A confermarlo, ieri, il sondaggio mensile di Bank of America-Merrill Lynch tra i manager di fondi a livello mondiale, il quale ci mostra come gli investitori abbiano raggiunto il secondo livello più alto in tredici anni per quanto riguarda l’allocazioni di capitali nel mercato azionario, a quota 61%, come ci mostra il grafico.

A guidare il gruppo il comparto tecnologico, seguito da energia e banche e con un’esposizione overweight, ovvero sbilanciato, sull’Europa al 35% netto. Per la banca d’affari, il rischio è che . Accadde già nel 2007, come mostra quest’altro grafico  

E ancora all’inizio del 2011, quando la Bce – all’epoca ancora guidata da Trichet – decise di alzare due volte i tassi di interesse, di fatto innescando la fase due del debito pubblico nell’eurozona. Insomma, sembra che gli investitori siano entrati in piena modalità Titanic, ovvero intendano continuare a ballare finché c’è musica, nonostante tutto e nonostante le prime, clamorose stonature che giungono dall’orchestra: la maggior parte delle equities sono infatti sopravvalutate a livelli che non si vedevano dalla bolla dot.com ma l’avidità è tanta e la paura di uscire un attimo prima dal rally rispetto agli altri sembra frenare tutti. I tassi bassi così a lungo e il denaro a pioggia delle banche centrali hanno trasformato i mercati in un enorme casinò: non piangerò certo se qualcuno resterà sepolto dalle sue macerie, quando la realtà tornerà a dettare legge. Ieri vi parlavo degli avvertimenti in tal senso della Banca per i Regolamenti Internazionali e la sua paura per la bassa volatlità e la sopravvalutazione dell’indice S&P 500 in base al misuratore Q di Tobin, mai così alto dal fatidico 2007: tutto inutile, chi opera sa che questa situazione non può durare e vuole accumulare più soldi possibili prima che la musica cessi del tutto. E, paradossalmente, non posso dare loro torto, perché come ci mostra questo grafico,

 

Le detenzioni di cash sono ancora alte, al 4,5%, quindi i fondi hanno ancora liquidità da riversare nel mercato azionario: la stamperia di Fed e Bank of Japan hanno portato a questo. Ora, gli alti livelli di cash disponibile sono teoricamente un segnale di acquisto, mentre qualsiasi livello al di sotto del 3,5% rappresenta un segnale di vendita ma il grafico ci dimostra che questi livelli teorici si rivelarono un controindicatore nel 2007. Il tutto in un contesto in cui l’indice CPB del commercio globale si è contratto per due mesi di fila su una media di tracciamento di tre mesi, in parole povere il chiaro segnale che a livello globale siamo ancora in uno stato di depressione.

 Ora, direte voi, se i tre quarti degli economisti pensano che l’economia globale si rafforzerà da qui al prossimo anno, qualche motivo ci sarà? Sicuramente, peccato che sia lo stesso motivo che li ha portati a certificare la loro certezza ad ogni sondaggio negli ultimi diciotto mesi: dati a suffraggio, zero. Tanto più che il Fondo Monetario Internazionale, tanto per cambiare, si è visto costretto a tagliare le proprie previsioni di crescita a livello globale al 3% per quanto riguarda il 2013, visto il rallentamento pesante della Cina e quello meno marcato ma sensibile di Russia, Brasile, India e Messico: metteteci l’eurozona che non solo non riparte ma continua a inviare segnali macro tutt’altro che confortanti, con le aggravanti di mine antiuomo tipo Banco Espirito Santo pronte a far esplodere gli spread e capite che da stare allegri c’è ben poco. Altro ottimismo forse mal riposto è quello riguardo l’inflazione, con il 71% degli interpellati da Bank of America sicuri che questa si impennerà, la percentuale più alta da marzo 2011: quando presero una sonora cantonata. In questo scenario, la banca d’affari raccomanda ai clienti (players navigati in questo caso, non impiegati che vogliono far fruttare i risparmi, sia ben chiaro) quattro trades contrarian: andare lunghi sui bonds e short sulle equities, lunghi sul dollaro e corti sulla sterlina, lunghi sulle telecomunicazioni e short sull’energia e infine long sui mercati emergenti e, udite udite, short sull’eurozona. Accidenti ma la crisi non era finita? Non eravamo in ripresa? Non potevamo vantare spread da fare invidia alla Svizzera? Certo, a Bank of America possono sbagliarsi come hanno già fatto in passato (il dato sul margine di profitto reso noto ieri lo conferma, anche se mascherato da perdite legate alle spese legali) ma qualcosa si sta muovendo sottotraccia se sempre più investitori ritengono che oggi i mercati emergenti siano più sottovalutati di quanto non fossero nel pieno della crisi Lehman, come ci mostra questo grafico:

 

 

E sapete cos’è quel qualcosa? La “wild card” come dicono in America: le variabili geopolitiche che potrebbero riguardare particolarmente quei Paesi. Guerre, califatti in costruzione, colpi di Stato, invasioni di terra, guerre più o meno dichiarate a Est, belliche ma soprattutto commerciali. Pensate infatti che sia un caso che, mentre il mercato punisce duramente Telecom Portugal per il mancato rimborso di quasi 1 miliardi di euro da parte di Banco Espirito Santo, Bank of America raccomandi le telecomunicazioni? Certo, avrà molti di quei titoli in portafoglio e vorrà venderli al massimo del valore al parco buoi prima della correzione ma le telecomunicazioni sono anche alla base di un settore strategico: l’intelligence. Con il mondo dei grandi players che non compra obbligazioni perché le banche centrali stanno facendolo al posto loro, mantenendo i rendimenti al minimo con i tassi a zero (quindi ancora ricerca del rendimento e carry-trade possibili), sia attraverso gli acquisti da programmi di stimolo – la Bank of Japan sta attualmente comprando il 70% di tutte le nuove emissioni di debito nipponico – che attraverso accumulazione di riserve monetarie, la ruota sembra poter girare all’infinito. Stando agli ultimi dati dell’Fmi, le banche centrali a livello globale hanno aumentato le loro detenzioni di bond di 774 miliardi di dollari nell’ultimo anno, portando il totale a 11,85 triliardi di dollari: denaro che resta fuori dal cosiddetto “private marker”, denaro che è il motore immobile o la mano invisibile, se preferite, di questo mercato da pazzi. Insomma, le banche centrali comprano debito e spingono in questo modo gli investitori verso i titoli azionari, mantenendo le Borse falsamente liquide e sui massimi: in compenso, come è ovvio, l’economia reale a livello globale resta a pezzi, in depressione assoluta. Ora attendiamo la Fed: come al solito, il dito sul grilletto ce l’hanno gli americani. O, forse, questa volta non solo loro.