Non temete, Angela Merkel non è caduta dalla sedia quando alle 14 di ieri pomeriggio sono arrivate le decisioni del board della Bce: nonostante la telefonata di pochi giorni fa, infatti, formalmente Mario Draghi ha infranto più di un tabù, aprendo di fatto quello che parrebbe un fronte di frizione molto forte con Berlino e con la Bundesbank. La quale, infatti, si è opposta a tutte le decisioni prese ieri, dovendo però giocoforza accettarle ma penso in virtù di un tacito accordo e in cambio di un quacosa che le sta molto a cuore: ovvero, le mosse di ieri sono state le ultime per Mario Draghi per quanto riguardo lo stress del vincolo di mandato dell’Eurotower, in parole povere il QE non ci sarà, almeno sui titoli di Stato. Ma andiamo con ordine e vediamo quanto deciso.



Non solo la Bce ha stupito tutti tagliando i tassi di interesse di 10 punti base al nuovo minimo storico dello 0,05% ma avvierà anche un programma di acquisto di asset backed securities e obbligazioni garantite, due scelte che Mario Draghi ha dovuto ammettere di non essere state prese all’unanimità – indovinate chi era contrario – ma che avranno immediata attuazione, con il programma di acquisto di ABS e covered bond che partirà a ottobre. I dettagli del programma, compreso l’ammontare (si è parlato di 500 miliardi di euro in tre anni), verranno rivelati dopo il prossimo direttivo dell’istituto centrale europeo: “Inizieremo ad acquistare semplici e trasparenti asset backed securities di attività non finanziarie e acquisteremo inoltre un ampio portafoglio di covered bond denominati in euro emessi da istituzioni finanziare monetarie domiciliate nell’area euro”, ha spiegato Draghi, aggiungendo che gli acquisti avranno un impatto considerevole sul bilancio della Bce, nei fatti un’ampliamento dello stato patrimoniale che non va affatto giù ai falchi rigoristi di Berlino.



Ma la Bce non si fermerà qui. Escluso un ulteriore taglio dei tassi di interesse al di sotto dell’attuale 0,05% (“Ora siamo al limite più basso, arrivati al quale non sono più possibili aggiustamenti tecnici”), nel consiglio direttivo di ieri si è anche discusso di un quantitative easing, un piano di acquisti generalizzati di titoli finanziari: “Alcuni hanno messo in chiaro che avrebbero voluto fare di più di quanto deciso” ha riferito il presidente, mentre “altri volevano fare meno”.

Comunque il consiglio direttivo è “unanime nel prendere in considerazione ulteriori misure non convenzionali contro i rischi di bassa inflazione eccessivamente prolungata, nell’area euro, se fosse necessario”, ha detto il numero uno dell’Eurotower, ribadendo che l’inflazione resterà bassa per un periodo prolungato di tempo. La Banca centrale europea ha rivisto al ribasso le previsioni sull’inflazione dell’area euro di quest’anno: è attesa allo 0,6%, mentre le stime di tre mesi fa indicavano un +0,7%, mentre per il 2015 l’inflazione è vista all’1,1%, un livello piuttosto lontano dall’obiettivo del 2% e per il 2016 all’1,4% come tre mesi fa. 



Draghi ha anche osservato che il ritmo di crescita dell’area euro si è “indebolito” a fronte di dinamiche monetarie e del credito che restano sotto tono, un andamento “inferiore alle attese”. In particolare, pesano l’elevata disoccupazione e l’alto tasso di capacità inutilizzata, la perdita di slancio dell’economia che potrebbe minare gli investimenti privati e gli accresciuti rischi geopolitici. Di conseguenza la Bce ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita economia dell’area euro per quest’anno e il prossimo, mentre ha ritoccato al rialzo quelle sul 2016: ora per l’anno in corso stima un +0,9% del Pil dal +1% precedente, per il 2015 un +1,6% da +1,7% e per il 2016 un +1,9% da +1,8%. E poi, il solito richiamo alla politica: per Draghi, infatti, con la crisi che continua a mordere, nell’area euro è necessario “ridare slancio agli sforzi sulle riforme strutturali. I Paesi devono intervenire sui mercati dei prodotti, sul lavoro e con misure volte a rendere più favorevole l’ambiente economico per le imprese”.

E i mercati come hanno reagito a queste decisioni? Le Borse hanno inserito il turbo, trainate in particolar modo dal settore bancario ma soprattutto il cross euro/dollaro e gli spread hanno segnato le reazioni più marcate, come dimostrano questi grafici

 

 

 

Per la prima volta dal luglio 2012 la divisa comune europea è scesa sotto quota 1,30 sul biglietto verde, mentre il nostro spread sul decennale era in area 140 punti base.

Tutto bene, quindi? Calma, perché alcune criticità ci sono tutte. Primo, dovremo capire nella prossima riunione del board prevista per il 2 ottobre di che entità si parla per quanto riguarda l’acquisto di ABS, ovvero se davvero le banche potranno contare su questo deleverage istituzionale per tirare un sospiro di sollievo e, a quel punto, utilizzare davvero i soldi delle due aste di rifinanziamento (la prima prevista già questo mese) per finanziare imprese e famiglie, come di fatto imposto dalla Bce.

Formalmente, infatti, Mario Draghi questa volta ha davvero messo gli istituti di credito con le spalle al muro: da un lato beneficiano degli acquisti di ABS, dall’altro hanno il vincolo di utilizzo dei fondi che prenderanno, aggravato dal fatto che avendo portato il tasso sui depositi al -0,20%, parcheggiare eventualmente quei fondi presso l’overnight dell’Eurotower porterebbe con sé un costo ancora più alto. Seconda criticità, se anche il meccanismo messo in campo dalla Bce porterà a una ripartenza del meccanismo di trasmissione del credito, restano due variabili: la prima, come mostra questo grafico,

 

 

è il fatto che le aziende italiane ad oggi non stanno affatto beneficiando del calo dello spread sovrano, cosa che invece fa la gioia delle banche che hanno 400 miliardi di quei titoli in pancia a prezzi elevati, mentre la seconda si sostanzia in quest’altro grafico,

 

Ovvero lo spread che le aziende italiane, portoghesi e spagnole pagano rispetto alle concorrenti tedesche per ottenere finanziamenti bancari dal milione di euro in su. Se non si agisce su quel differenziale, ovvero se non si riesce ad allineare lo spread che gli istituti impongono sui prezzi al netto del tasso Euribor, non si va da nessuna parte, nemmeno con tassi e zero e addirittura negativi sui depositi.

Terza criticità, come vi dicevo all’inizio dell’articolo, temo che questa sia l’ultima, possibile mossa non ortodossa che la Germania concederà a Mario Draghi, visto che per ingoiare decisioni simili al netto della non unanimità nel consiglio, la Bundesbank avrà implicitamente e tacitamente ottenuto dal governatore la promessa che non ci sarà mai acquisto diretto di titoli di Stato in stile Fed, ovvero il QE tanto atteso e che di fatto ieri i mercati prezzavano attraverso le reazioni di Borse, cambi valutari e soprattutto spread sovrani. Durante la conferenza stampa, infatti, Mario Draghi ha ancora una volta solo minacciato quell’arma non convenzionale, limitandosi alla solita formula del  “valuteremo” e del ” “se sarà necessario”, ma in cuor suo sa che, a fronte dell’aggravamento del bilancio dell’Eurotower che già comporterà l’acquisto di ABS, la Buba non permetterà mai ulteriore ampliamento dello stato patrimoniale per comprare debito sovrano.

Insomma, la telefonata fra Draghi e la Merkel, forse, è stata prodromica di questo patto non scritto tra le parti: certamente dopo ieri la Bce ha messo in campo tutte le armi di cui disponeva all’interno del suo mandato e forse qualcosa in più, ma resta da capire da un lato quanto questo basterà ai mercati per ingoiare con il passare dei giorni la convinzione che il QE di fatto non ci sarà e dall’altro quanto realmente queste mosse potranno riattivare il credito e portare a un aumento dell’inflazione, anche minimo ma che almeno inneschi una cambio di direzione.

Non parlerei quindi di sconfitta della linea rigorista ma di un compromesso su misure che parlano la lingua della disperazione, più che della pianificazione di politica monetaria: Draghi sa che la tempesta è in arrivo e vuole cercare di tamponarne gli scossoni più duri ma non è mandando i tassi sui depositi in negativo o comprando ABS che si eviterà un nuovo tonfo sui corsi azionari sopravvalutati che stiamo conoscendo. Serve un altro tipo di shock e alla Fed lo sanno benissimo, serve un evento bellico che trasformi lo scoppio della bolla creata dalle banche centrali in qualcosa di digeribile vista la particolarità e la gravità della situazione, salvo poi innescare il turbo del warfare per stimolare la crescita: serve o una guerra o un false flag, magari durante le esercitazioni Nato nei Paesi Baltici, per portare il mondo sull’orlo del precipizio psicologico e distogliere i pensieri dal casinò delle Borse.

Non ci credete: guardate questo grafico,

 

 

Ci mostra le scommesse al ribasso dei grandi speculatori sull’ulteriore calo del rublo sul dollaro, sono ai livelli massimi di sempre a partire dal luglio scorso. Con Mosca che brucia ogni giorno miliardi di riserve estere per evitare che la sua moneta crolli del tutto e gli outflows di capitali dalla Russia che paiono un’emorragia, il tempo per un redde rationem è alle porte.