Ammetto di essere politicamente scorretto, perché almeno il giorno di Natale bisognerebbe magari non essere più buoni, ma, almeno, cercare un po’ di luce fra i tanti problemi che ci troviamo ad affrontare quotidianamente. Mi spiace, ma non è il mio caso, perché stavolta c’è da arrabbiarsi veramente, anche se è Natale. L’Ue, di fatto, ha dichiarato guerra al nostro sistema bancario e, utilizzando la vicenda delle quattro banche salvate, sta ponendo le basi per il suo indebolimento raggiungibile attraverso l’acuirsi di tre criticità già presenti (calo della fiducia, sofferenze alte e detenzioni eccessive di debito pubblico) e per tramutare il 2016 in un 1992 in versione 2.0, senza nemmeno dover scomodare Sua Maestà per far attraccare il Britannia a Civitavecchia. Sai che novità!
Il problema vero, però, è un altro: ovvero il fatto che il governo, per una larga parte dei suoi componenti, è complice di quanto sta accadendo e ciò che sentite ai telegiornali o leggete nei titoli di prima pagina dei quotidiani è solo una patetica pantomima per restare in sella dopo l’affaire delle quattro banche salvate.
Partiamo da quanto accaduto mercoledì scorso, ovvero dopo che il governo italiano ha minacciato a mezzo stampa di pubblicare la lettera con cui la Commissione europea ha bloccato l’uso del Fondo di tutela dei depositi nel salvataggio delle popolari di Etruria, Chieti, Marche e Ferrara. Bene, la missiva è saltata fuori e l’ha pubblicata l’agenzia Reuters, debitamente informata da una manina governativa: e Bruxelles cosa ha fatto? Ha risposto, di fatto dimostrando plasticamente che malafede e ipocrisia sono il marchio di fabbrica delle istituzioni Ue coinvolte in questa vicenda. Perché lo dico? Perché le precisazioni trovano il loro architrave in questo, ovvero nell’affermare che la Commissione Ue non ha impedito niente e che le decisioni sono state liberamente prese dal governo italiano. Peccato che la lettera dei commissari alla Concorrenza e Stabilità finanziaria, Margrethe Vestager e Jonathan Hill, dicesse chiaramente che «pur rispettando il fatto che spetta alle autorità italiane determinare l’approccio e i metodi, la Commissione sarebbe sempre a favore di soluzioni private o basate sul mercato, dove possibile e ovviamente questo si riflette nelle regole applicabili».
In sostanza, «se uno stato membro opta per lo schema di garanzia dei depositi per ricapitalizzare una banca allora è soggetto alle regole Ue sugli aiuti di stato». E, quindi, se l’Italia avesse proseguito sulla strada prescelta, sarebbe incorsa nella procedura per violazione delle norme Ue. Patetici ipocriti. Peccato, però, che questo strano gioco di minacce incrociate abbia sortito un unico risultato: mettere il governo al riparo dalle critiche (“Non potevamo fare altro, avete visto la lettera dell’Ue”) e tolto un po’ di pressione dal ventre molle dell’esecutivo, ovvero il conflitto di interessi del ministro Boschi, casualmente negato ufficialmente dall’Antitrust proprio mentre andava in scena il de bello bancario con l’Ue: una sceneggiatura perfetta ma talmente elementare che l’avrebbe capita anche un lattante.
Ma nello stesso giorno, tanto per rafforzare nell’opinione pubblica il concetto di quale aria stia tirando per il sistema bancario del nostro Paese negli ambienti comunitari, la commissaria europea per la Concorrenza, l’inutile Margrethe Vestager, ha bocciato il salvataggio di Banca Tercas, considerando aiuto di Stato la discesa in campo del Fitd – il Fondo di tutela dei depositi bancari – che nel luglio 2014 intervenne per coprire le perdite della banca di Teramo e sostenere la cessione a Banca Popolare di Bari.
Un comunicato ufficiale informa infatti che «la Commissione ha concluso che il Fitd ha agito per conto dello Stato italiano. Le misure non sono conformi alle norme Ue sugli aiuti di Stato, perché l’Italia non ha presentato un piano di ristrutturazione e le misure non hanno ridotto al minimo né l’aiuto, né le distorsioni della concorrenza che ne derivano. La Commissione valuta positivamente il fatto che banche private stiano valutando la possibilità di sostenere volontariamente Banca Tercas. In ogni caso, i depositanti continuano a godere di una protezione totale». Quest’ultimo riferimento riguarda il cosiddetto piano B, già preparato dalle banche italiane e che prevede il ricorso al braccio volontario dello stesso Fitd, ma questa è solo una delle contromosse del sistema bancario nazionale, che aspettava questa bocciatura annunciata per avere finalmente una decisione formale contro cui muoversi formalmente ricorrendo alla Corte di Giustizia europea.
Insomma, formalmente guerra totale, ma, casualmente, nel primo caso (le quattro banche salvate) lo “scontro” è servito solo a puntellare il governo, un esecutivo che ha una quantità di parenti nel sistema bancario da fare invidia ai discendenti di zio Paperone, mentre nel secondo riguarda una faccenda assolutamente irrilevante, visto che per Tercas è già pronto il piano dei privati, ovvero della banche e quindi non cambia nulla. Ieri, poi, la ciliegina dei 300 milioni di aiuti di Stato all’Ilva, altra faccenda che va avanti da quando portavo i calzoncini corti.
Come mai Matteo Renzi o Pier Carlo Padoan sono stati belli zitti e si sono goduti il teatrino, prendendosi il merito di aver concluso la “Variante di valico”, ovvero un’opera che in qualsiasi Paese civile sarebbe stata terminata nei tempi stabiliti e per il budget stabilito (non il doppio come accaduto qui)? Pensate che se lo scontro fosse reale non ci sarebbero argomenti da portare avanti? Pensate che sia così difficile inchiodare l’Ue al muro della sua ipocrisia? Ma sapete in che mondo viviamo? Parliamoci chiaro e mettiamo dei benedetti numeri in fila.
Se guardiamo agli interventi diretti di governi e banche centrali a favore di banche e intermediari a qualunque titolo in difficoltà, con salvataggi e nazionalizzazioni e uniamo anche le garanzie, solo gli Stati Uniti tra Treasury e Fed hanno mobilitato fino a metà 2012, qualcosa come 2,8 triliardi di dollari, dei quali 562 miliardi in interventi di capitale, 1869 in garanzie, 421 in “altro” cioè prestiti, per un totale di 1678 istituti interessati. A metà anno scorso 1,6 trilioni di dollari erano stati restituiti alle autorità pubbliche Usa, dunque l’aiuto netto in corso restava di 1,2 triliardi e le autorità pubbliche avevano incassato nel frattempo anche 89 miliardi di dollari tra dividendi e altro.
E l’Europa che tanto ci bacchetta? Nell’Unione europea, gli interventi a sostegno di banche e intermediari erano ammontati a 2,7 trilioni di euro (di cui 389 miliardi in capitale, 2,1 trilioni in garanzie, 142 miliardi i prestiti) nei confronti di 437 istituti: a metà 2012 le risorse restituite o “terminate” ammontavano a 1,5 trilioni di euro e gli aiuti netti ancora operanti erano dunque pari a più di 1,1 trilioni. Questi i dati alla metà del 2013, tanto per farvi capire quale sia stato il volume degli “aiuti di Stato” a livello globale per salvare circa 6mila banche dall’inizio della crisi, ovvero in cinque anni.
Non vi basta? E veniamo allora al caso di specie, ovvero la banca tedesca Hsh Nordbank, in crisi da molti anni, ma capace comunque di godere nel tempo di diversi interventi statali, affinché gli sportelli non chiudessero. Commissario Ue alla concorrenza, non pervenuto. Anzi, lo scorso novembre il governo tedesco ha incassato da Bruxelles il via libera per attivare nuove garanzie statali da 3 miliardi di euro, permettendo così ai manager della banca di Amburgo di poter vendere o liquidare l’istituto in condizioni ordinarie.
Qual è il punto? È che si tratta di una clamorosa presa per i fondelli o, se preferite, del più classico caso di due pesi e due misure. La tedesca Hsh Nordbank è infatti una controllata del Land dello Schleswing-Holstein e del comune di Amburgo, particolarmente esposta ai crediti della navigazione mercantile e già salvata un paio di volte dal governo tedesco. Con la crisi del commercio del 2015, la banca tedesca ha rischiato di chiudere battenti già nel corso di quest’ultimo autunno, almeno fino alla decisione dell’Ue, che ha di fatto permesso a Berlino di intervenire direttamente per tenere aperto l’istituto con fondi propri, alla faccia della concorrenza europea e degli aiuti di Stato. Per quanto continueremo a farci prendere in giro? E per carità di patria non vado indietro nel tempo con i salvataggi delle varie Landesbank e del mega bail-out europeo da 51 miliardi di euro delle banche spagnole.
Come mai Matteo Renzi non ha usato nemmeno uno di questi argomenti contro l’Ue? Forse perché questo scontro-pantomima gli è molto utile per altro, ovvero per spegnere i riflettori sul caso delle quattro popolari e magari evitare che ne si accenda un altro sul lato delle coop, tipo Unicoop Tirreno, il cui rapporto sul consolidato – come denuncia Banca d’Italia – dà un multiplo di 6.2, ovvero prestiti allegri alla luce di una patrimonializzazione insufficiente? O vogliamo parlare di Cooperative operaie Trieste e Coop Carnica, proprio nella regione di cui è governatrice un alto esponente del Pd?
Il problema è che anche le opposizioni tacciono, salvo blaterare inconsistenze e ritriti slogan populisti: vi siete mai chiesti perché il governo ora vuole a tutti i costi la Commissione d’inchiesta sul sistema bancario e gente come Matteo Salvini, che dovrebbe sbavare solo all’idea di poter scoperchiare il pentolone del cosiddetto “capitalismo di relazione”, invece bolla l’ipotesi come inutile e continua a ripetere il suo mantra relativo al rimborso dei truffati? Perché in questo Paese, soprattutto tramite le fondazioni, i partiti hanno gestito e sviluppato rapporti di potere in strettissima connessione con il sistema bancario, da sempre e al di là del colore politico: il più pulito ha la rogna, per usare un detto popolare grezzo ma efficace.
Non credete a quanto vi stanno dicendo e non credete nemmeno alla vulgata in base alla quale tutti gli obbligazionisti sono stati truffati, la percentuale di furbetti che ambiva a un 5% di rendimento risk-free è decisamente più alta di quanto si pensi. Come dire, la botte piena e la moglie ubriaca. Certo, il padre della Boschi non vincerà il premio come miglior banchiere dell’anno, ma mettete un attimo da parte le reazioni di pancia e pensate a una cosa: se per cambiare un telefonino si studiano vari modelli per settimane e per cambiare l’auto ci si concentra magari anche per mesi, valutando prezzo, prestazioni, condizioni d’acquisto, come mai i risparmi di una vita li si affida così al proprio bancario, solo perché lo si conosce da sempre e senza informarsi o chiedere a terzi un parere? Stiamo parlando dei risparmi di una vita, non di uno smartphone!
Siamo propri sicuri di quanto ci stanno raccontando, almeno nella sua totalità di catastrofe sociale? Io so solo che nella mia vita la lezione più importante è quella che mi ha dato la buon’anima di mio padre: ignorantia non excusat. Mai. Soprattutto se si tratta di soldi. Buon Natale.