A forza di calciare barattoli, temo che Mario Draghi rischi seri problemi al menisco. Per l’ennesima volta il board della Bce ha deciso di non decidere sul Qe, ha mantenuto invariato il costo del denaro e ha delegato alla conferenza stampa finale del governatore l’annuncio del nulla che avanza: il Qe proseguirà oltre marzo 2017? Non si sa. Verrà ampliata la platea di assets acquistabile, modificando i criteri statutari e intervenendo sul principio del capital key? Non si sa. Quando verranno esauriti i Bund acquistabili, verrà modificato il principio di acquisto su quota parte in base alla rappresentanza degli Stati? Non si sa.
Direte voi, cosa si sa allora? Le solite cose, trite e ritrite. E il perché di questo immobilismo sta tutto nel mio articolo di ieri: le Banche centrali, con i vari Qe, hanno varcato il Rubicone di una sostenibile politica monetaria e adesso sono in trappola. Non possono aumentare, perché il collaterale sta già finendo e le distorsioni cominciano a diventare bolle, ma nemmeno operare il tapering, ovvero ridurre il volume di acquisti, altrimenti i mercati azionari si schiantano e i rendimenti obbligazionari vanno alle stelle. Ve lo dico da oltre un anno e mezzo e adesso la realtà mi sta dando ragione.
Il Consiglio direttivo della Bce «ribadisce l’impegno a mantenere una politica ultra-espansiva fino a che l’inflazione non si sarà riportata su un percorso compatibile con il target nel medio periodo (2%), ma nella riunione di oggi non si è discusso di eventuali proroghe oltre la scadenza di marzo 2017», ha dichiarato Mario Draghi, aggiungendo che la Bce «è pronta a intervenire se necessario, usando tutti gli strumenti a disposizione nel quadro del suo mandato». Per Draghi, «la ripresa nell’area dell’euro sta continuando a ritmo moderato e stabile e questo è successo anche nel terzo trimestre allo stesso ritmo all’incirca del trimestre precedente». Insomma, Draghi ammette che nel terzo trimestre è prevista una crescita simile a quella registrata nel secondo, quando il Pil dell’area è salito dello 0,3% su base congiunturale: c’è da essere contenti? No e infatti è lo stesso Draghi a dire che «i rischi sulla crescita restano orientati al ribasso», ricordando però che a dicembre, nel fare le sue valutazioni, il Consiglio disporrà anche delle nuove previsioni economiche dei tecnici della Bce, che copriranno anche il 2019. L’inflazione, invece, dovrebbe risalire nei prossimi mesi grazie a effetti statistici ma Draghi non intravede «alcun segnale di un convincente trend al rialzo dell’inflazione sottostante».
Sono disperati, non c’è niente da fare. «Il mercato è peggiorato temporaneamente quando Draghi ha detto che non è stata discussa l’estensione del Qe: questo non è stato gradito molto dai mercati», ha dichiarato un gestore all’agenzia MF-Dowjones, a detta del quale «il Ftse Mib è poi riuscito a ridurre leggermente i cali dopo l’affermazione del presidente della Bce sul fatto che non c’è stata neanche nessuna discussione sul tapering». Mentre per Michael Metcalfe, responsabile Globale Macro Strategy di State Street Global Markets, «l’orientamento della politica monetaria della Bce sembra sempre più neutrale. Il conto alla rovescia per la fine del Qe si sta avvicinando. Un prolungamento del programma di Quantitative easing potrebbe essere ancora possibile nel mese di dicembre, ma, in assenza di un rallentamento della crescita o di dati deludenti sull’inflazione, non assume lo stesso significato che gli avevamo attribuito l’estate scorsa».
C’è un problema di fondo, lo ribadisco: Draghi ha detto che la politica monetaria straordinaria non potrà durare per sempre, ma al tempo stesso ha detto che non si parla di tapering, guadagnando tempo sul breve, ma senza una prospettiva ciclica. Quando però dichiara che la Bce ha tenuto un seminario sulle varie opzione relative al Qe, dimostra chiaramente ai mercati di aver perso il controllo della situazione. E, non a caso, gli investitori sono sempre più nervosi riguardo a quanto accadrà oltre il marzo del prossimo anno. Molti temono che, dopo anni di incentivazione senza precedenti, i banchieri centrali di tutto il mondo saranno a corto di strumenti per sostenere la crescita e l’inflazione.
Nei giorni scorsi alti funzionari dell’istituto centrale europeo hanno lasciato intendere di essere sempre più attenti agli aspetti negativi del massiccio programma, in particolare alla stretta esercitata sulle banche più deboli dell’Unione europea che hanno incontrato difficoltà nel declinare i tassi di interesse negativi sui clienti. Tanto che l’ultima indagine della banca centrale sul credito bancario – pubblicata martedì scorso – ha sottolineato questo punto, mostrando che i tassi sotto zero stanno comprimendo i profitti del comparto.
Cominciano un minimo di tardivo e parziale mea culpa? No, è cominciato lo scaricabarile e questo punto in particolare – quello delle banche in sofferenza per i tassi in negativo – si tramuterà a breve in un’arma micidiale nelle mani della Bundesbank per andare all’assalto finale di Mario Draghi e della sua leadership, perché se c’è qualcuno che ha patito più di altri queste sono le Landesbanken tedesche. Fornire a Jens Weidmann un’arma simile è stato semplicemente un suicidio annunciato, a meno che Mario Draghi non sapesse già di dover prendere il posto di Matteo Renzi. Per Giles Moec, economista di Bank of America Merrill Lynch a Londra interpellato da Cnbc, «la Bce sta chiaramente accusando un affaticamento dovuto allo stimolo. È frustrata dalla mancanza di sostegno da parte di altre autorità, compresi i governi e probabilmente più preoccupata di quanto non lasci trasparire per le conseguenze a lungo termine dei bassissimi tassi di interesse».
E che i mercati stiano perdendo la pazienza è anche naturale, perché la Bce sta tracheggiando e navigando a vista da marzo, quando ha annunciato un’ampia gamma di misure volte a rafforzare l’economia della regione, tra cui ulteriori acquisti di obbligazioni corporate, nuovi tagli dei tassi di interesse e prestito a basso costo per le banche. Risultato? La crescita economica è rimasta a dir poco tiepida e l’inflazione è ancora intorno allo zero, ben al di sotto dell’obiettivo di poco inferiore al 2%: ripeto quanto ho già scritto, in base alle previsioni della Bce, a questo punto del programma di Qe dovrebbe essere attorno all’1,2-1,3%. Siamo a zero, di fatto e mancano cinque mesi alla fine delle misure di stimolo, almeno stando al planning dell’Eurotower. Inoltre, con tassi di inflazione più elevati a pesare sul reddito reale e una serie di importanti appuntamenti che richiamano alle urne i cittadini europei (referendum italiano, ballottaggio austriaco, elezioni politiche in Francia, Germania e Olanda l’anno prossimo) a motivare l’incertezza degli investitori, la crescita – già molto debole – potrebbe rallentare ulteriormente nei prossimi mesi. Significa entrare in stagnazione nel corso di un programma di stimolo monetario: una follia del genere non si era mai registrata nella storia dell’economia, dovrebbero dedicarle un corso di laurea apposito.
Non a caso, la quasi totalità degli economisti si aspetta che la Bce estenda il Qe di almeno sei mesi oltre la scadenza di marzo 2017, un qualcosa che si sostanzierebbe in circa 500 miliardi di euro di ulteriori acquisti di obbligazioni. Tuttavia, qualsiasi estensione del programma di stimolo solleverebbe questioni spinose: probabilmente sarebbe necessario un rilassamento delle rigide norme che la Bce si è data. In caso contrario, l’Eurotower rischierebbe di rimanere a corto di obbligazioni da comprare, ma un rilassamento dei requisiti potrebbe essere interpretato come la sovvenzione di determinati governi, quelli particolarmente indebitati come il nostro – per capirci – e la Germania alzerebbe immediatamente le barricate, oltretutto in un periodo di grande tensione tra Italia e Commissione Ue sulla Legge di stabilità e sui vincoli economici e finanziari.
Marchel Alexandrovich, economista alla Jefferies di Londra, stima che la Bce esaurirà i Bund tedeschi eligibili all’acquisto in circa due mesi, salvo qualche aggiustamento delle condizioni: per ricordare, l’Eurotower può acquistare titoli di Stato in proporzione alla dimensione di ogni economia, fino a un limite del 33% del volume totale e solo le obbligazioni con un rendimento di oltre -0,4%, il famoso capital key. La Bce sta scherzando con il fuoco se il suo continuo attendismo e la mancanza di chiarezza fanno parte di una strategia: paradossalmente, infatti, le preoccupazioni e la mancanza di chiarezza verso il mercato riguardo il futuro del QeE hanno garantito l’aumento dei rendimenti e incrementato in questo modo il volume di Bund tedeschi nel pool di asset eligibili all’acquisto. Capite però che se la strategia di Mario Draghi si riduce a mezzucci simili, siamo davvero nei guai. E seri.
Ormai stiamo camminando su un filo che si fa sempre più sottile e la tregua che finora la Bce si è garantita con parole vuote e promesse generiche sta per finire, perché l’appuntamento elettorale negli Usa dell’8 novembre impatterà pesantemente sui mercati, comunque vada a finire. Reggerà la fragile impalcatura del Qe ai primi marosi seri oppure comincerà a rimandare sinistri scricchiolii, rischiando di crollare se non si interviene in modalità emergenziale? Penso che Draghi non potrà attendere fino alla riunione di dicembre prima di intervenire su almeno un paio di meccanismi del Qe e questo anticipo forzato sarà la parte più difficile da gestire dell’intera operazione. Natale potrebbe portarci un brutto regalo.