In Germania sono nervosi. Parecchio nervosi. E la motivazione di questo stato d’animo agitato è sempre la stessa: le banche. Questa volta, però, esiste un fondo di verità che non sia unicamente partigiano nelle preoccupazioni della Bundesbank, ovvero i rischi connessi a un aumento dei tassi per quanto riguarda le detenzioni obbligazionarie. I bond, infatti, stanno letteralmente crollando in mezzo mondo, un po’ per i timori della cosiddetta Trumpflation, ovvero l’inflazione da stimolo interno che le annunciate politiche di investimento del nuovo presidente porterebbero con loro, e un po’ perché il livello record di emissioni comincia a far sorgere il naturale dubbio in qualcuno che non si possa andare avanti a tassi a zero per sempre.
Volete un esempio? Ecco cosa ha dichiarato Didier Le Menestrel, presidente di La Financière de l’Echiquier, in un’intervista a MilanoFinanza: «L’appetito degli investitori per le obbligazioni non si smentisce a giudicare dall’impressionante volume raggiunto dalle ultime emissioni. Appena qualche giorno fa, Danone ha emesso oltre 6 miliardi di euro di debito con scadenze che vanno dai 2 ai 12 anni. Un comodo cuscinetto che permette al direttore finanziario del gruppo alimentare di dormire sonni tranquilli: remunererà i sottoscrittori a un tasso dello 0,17% l’anno per 4 anni e dell’1,20% per i prossimi 12 anni. La ricerca del rendimento a basso rischio è diventata talmente una consuetudine che i più saggi la qualificheranno ormai come una condotta ad alto rischio». Pazzia totale. E cosa dice la Bundesbank al riguardo nel suo rapporto periodico sulla stabilità del sistema? Che le banche tedesche sono robuste, ma soffrono di bassa redditività e potrebbero sottostimare i rischi derivanti da una discesa dei prezzi degli asset o dalla risalita dei tassi. Per l’esattezza, «nell’attuale contesto macroeconomico c’è il pericolo che il mercato possa sottostimare i rischi e non riuscire a tenere adeguatamente conto della possibilità di una discesa dei prezzi delle attività finanziarie e di un salita dei tassi di interesse», ha avvertito il vicepresidente della Banca centrale tedesca, Claudia Buch.
Inoltre, le banche tedesche stanno concedendo prestiti con scadenze più lunghe, di fatto vincolandosi ai tassi di interesse correnti e rendendo il settore meno flessibile rispetto all’andamento del mercato. Inoltre, nonostante la Buba neghi un eccesso di credito o un allentamento nei parametri della sua concessione, i prezzi immobiliari in Germania sono saliti considerevolmente a partire dal 2010: una bella bolla in stile svedese è all’orizzonte, aggravata dalla scelta della Bce di schiantare i tassi? Quali rischi si corrono sul breve/medio termine? Essendo i tassi negativi o pari a zero, un’anomalia che genera comportamenti sempre più pericolosi man mano che ci si abitua, il rischio è quello di una dittatura dell’azzardo morale, ovvero l’accantonamento definitivo di ogni principio di price discovery e fair value di un asset in ossequio al fatto che, nonostante si sia consci che quei prezzi siano fuori dal mondo, c’è la certezza che la giostra delle Banche centrali continuerà a girare ancora un po’. Insomma, il meccanismo di formazione classico della bolle speculative.
Va notato, poi, come negli ultimi tempi i banchieri centrali abbiano fatto filtrare ad arte messaggi che sembrano parlare la lingua di un’ammissione di colpa rispetto a quanto ci si è spinti avanti con le politiche di stimolo monetario, quasi lanciando il sasso di un ritorno alla normalità ormai necessario. Lo ha fatto la Bce facendo filtrare la voce del tapering, lo ha fatto Richard Fisher, ex capo della Fed di Dallas. Chi vincerà, il timore per la Trumpflation che rischia di trovare le Banche centrali con le difese abbassate o l’esportazione record di deflazione dalla Cina di cui vi parlavo ieri, di fatto argomento a favore di politiche di allentamento? Una cosa è certa e penso sia stata valutata con attenzione nell’analisi della Bundesbank rispetto a bond e tassi: negli ultimi giorni di sell-off obbligazionaria, infatti, è successo ciò che ci mostra il grafico. Ovvero, il decennale giapponese martedì è risalito sopra lo 0% di rendimento per la prima volta dal 21 settembre scorso, dinamica avvenuta anche nella mattinata di mercoledì, arrivando allo 0,027%.
Direte voi, siamo alla frazione della frazione: certo, ma avete idea della mole di acquisti che ha compiuto e sta compiendo la Bank of Japan? Anche soltanto uno scostamento minimo può mandare i valori di VaR (Value at risk) in tensione e dar vita a spirali di panico auto-alimentanti. Non a caso, da qualche giorno gli occhi del mercato sono tutti puntati sul Giappone. Per la precisione, sulla decisione della Banca centrale di difendere o meno il livello zero del rendimento del proprio decennale, in caso nelle prossime settimane e mesi la sell-off obbligazionaria globale dovesse prendere vigore.
Il 21 settembre scorso, infatti, la BoJ stupì tutti quando annunciò il cosiddetto “QQE with Yield Curve Control”, ovvero l’intenzione della Banca centrale di continuare a comprare debito sovrano per mantenere il rendimento del decennale attorno allo 0%. Paradossalmente, poco prima di questo annuncio, la stessa BoJ aveva velatamente minacciato il tapering degli acquisti per evitare che i rendimenti andassero troppo in basso: ora sta per affrontare il problema opposto, soprattutto per la pressione esercitata dal rischio Trumpflation. Perché è così importante quanto sta accadendo? Perché il mercato obbligazionario sovrano giapponese rischia di essere il proverbiale canarino nella miniera di carbone, sarà lui – in base alle scelte della BoJ – a dirci se esiste ancora fiducia nelle Banche centrali o se il mercato comincia a prezzare un ritorno alla normalità monetaria. Peggio, un dover correre nel far risalire i tassi in caso il timore dell’inflazione Usa generata dagli investimenti futuri promessi da Trump diventasse ingestibile e portasse ad aumenti eccessivi nelle aspettative inflazionistiche, di fatto costringendo la Fed a intervenire magari già in dicembre.
Inoltre, se la BoJ resterà ferma nel suo proposito di difendere il livello zero di rendimento per il decennale in un contesto in cui gli Usa sembrano propensi ad aumentare la spesa fiscale, allora l’argomento di helicopter money per l’economia nipponica tornerà decisamente in auge, trasformando paradossalmente Tokyo nel miglior amico della nuova amministrazione statunitense, almeno in materia economica. Insomma, la BoJ farà anche il lavoro della Fed? Alternativamente, si potrebbe anche dire che Trump è il miglior amico del Giappone, visto che con la sua elezione ha fatto deprezzare lo yen dell’8% in una sola settimana: tutto lavoro in meno per la Bank of Japan. E, soprattutto, senza esborso. Insomma, senza che la BoJ e la Bce continuino nei loro programmi di Qe, decisivi per supportare a livello globale le dinamiche di rendimento, Trump sarà certamente meno libero di spendere sul fronte fiscale, come ha annunciato.
E con il dato di mercoledì che vede la produzione industriale Usa in contrazione per il 14mo mese di fila, la striscia più lunga da 96 anni a questa parte in un contesto di non recessione ufficiale, difficilmente chi è arrivato alla Casa Bianca parlando di America great again, di lavoro, di manifattura e di protezionismo, potrà continuare sulla strada intrapresa da Obama, ovvero sfornare camerieri e baristi e vedere affossate la manifattura e la classe media.
C’è però da mettere in conto un’altra variabile, ovvero il fatto che un eventuale e clamoroso abbandono da parte di Kuroda del “QQE with Yield Curve Control”, ovvero desistere dalla difesa del livello zero per il decennale aumentando gli acquisti, potrebbe portare a un aumento dei rendimenti a livello globale, un qualcosa che farebbe coincidere le necessità di allentamento fiscale di Trump con quella di allentamento monetario della Yellen, ovvero il lancio di una qualche forma di Qe4 da parte della Fed, con grande gioia di chi sta piazzando, non a caso, sempre maggiori volumi di investimento in Borsa, operando la rotazione dai bond che giustifica in parte i cali considerevoli di questi giorni, quasi attendesse l’ennesima mossa che metta il turbo agli indici. Ma un’eventuale liaison tra Washington e Tokyo su temi economici, quasi un supporto vicendevole come due ubriachi che si reggono per camminare fino a casa senza cadere, potrebbe innescare dinamiche che interesserebbero un altro tema caldo per la Bundesbank, non a caso contenuto anch’esso nel bollettino periodico.
La Banca centrale tedesca ha infatti avvertito che è pronta ad abbandonare i lavori per la stesura del nuovo regolamento di Basilea, piuttosto che accettare un accordo inadeguato. La disputa con il comitato di Basilea riguarda le modalità di calcolo del rischio di credito e dei relativi accantonamenti a copertura di tali rischi e proprio dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, Andreas Dombret, membro del Consiglio direttivo della Buba, ha detto di sperare che il lavoro del Comitato di Basilea continui a essere «basato sulla fiducia reciproca», pur ribadendo che la Bundesbank «non è disposta a raggiungere un accordo a tutti i costi». I membri del Comitato di Basilea comprendono anche la Federal Reserve degli Stati Uniti e il Financial Services Agency del Giappone e stanno accelerando per rispettare la scadenza di fine anno per mettere a punto gli ultimi ritocchi sulle norme internazionali sul capitale, note come Basilea III.
Un certo numero di regolatori europei dell’Unione e alcuni politici hanno messo in chiaro che devono essere effettuati cambiamenti radicali alle proposte del Comitato di Basilea, prima che si arrivi alla firma di un accordo. In particolare, hanno insistito sul fatto che le nuove regole non devono aumentare in modo significativo i requisiti globali di capitale ma anche sul fatto che le banche del blocco non devono essere indebitamente punite. Gli Stati Uniti, al contrario, hanno sempre sostenuto standard severi, mentre il Giappone predilige l’approccio del modello interno.
Il Comitato di Basilea si riunirà il prossimo 28-29 novembre a Santiago del Cile per proseguire i negoziati: per allora ci sarà la prima prova generale di collaborazione tra Fed e BoJ? E se sì, saranno le banche tedesche a pagare il conto? Il nervosismo della Bundesbank sembra suggerirci di sì.