In questi giorni di allarmi e messe in guardia dai cataclismi che potrebbero abbattersi sull’Italia e l’Europa in caso di vittoria del “No” mancava all’appello una sola voce, quella della Bce. È arrivata ieri e, puntualmente, ha venduto al mondo la sua narrativa ipocrita rispetto a quanto sta accadendo, ma, soprattutto, rispetto alle responsabilità per la situazione che ci troviamo a fronteggiare. Vediamo gli appunti dell’Eurotower, per poi cercare di smentirli. La Bce rileva che il sistema finanziario dell’area euro ha dimostrato resistenza alle pressioni negli ultimi mesi, mentre «il livello di stress sistemico si è mantenuto relativamente basso», ma nel suo rapporto semestrale sulla stabilità finanziaria, l’istituzione di Francoforte mette al tempo stesso in guardia dai «rischi di correzioni dei prezzi dei titoli su scala globale, i quali si sono intensificati». Per la Bce, «in parte questo va imputato all’incertezza politica e agli attesi cambiamenti di linea politica negli Stati Uniti», ovviamente anche un riferimento alla recente vittoria di Donald Trump alle presidenziali, ma anche al referendum atteso in Italia il 4 dicembre prossimo. Inoltre, «le vulnerabilità delle banche dell’area euro restano significative a causa di fattori strutturali e dell’inasprimento della curva dei rendimenti», ovvero quando i tassi a lungo termine aumentano più rapidamente di quelli a breve. 

La Bce ha identificato quattro principali rischi sistemici che incombono sull’area euro nei prossimi due anni e che vengono elencati nel rapporto semestrale sulla stabilità finanziaria, presentato ieri a Francoforte dal vicepresidente dell’istituto, Victor Constancio. Il primo è rappresentato dalla possibilità di correzioni dei prezzi su scala globale che potrebbero innescare un effetto contagio, un quadro che ha come possibili inneschi «l’incertezza politica nelle economie avanzate, ma anche le persistenti fragilità nelle economie emergenti». Il secondo rischio identificato dalla Bce è costituito dalla possibile spirale negativa che si potrebbe alimentare con l’effetto combinato di bassa crescita economica e bassa redditività delle banche, trovandosi queste ultime «in alcuni Paesi nella necessità di smaltire elevati livelli di crediti deteriorati». 

Il terzo rischio è rappresentato dal possibile «riaccendersi delle preoccupazioni sulla sostenibilità dei debiti pubblici e privati in un contesto di bassa crescita, se l’incertezza politica dovesse portare a uno stallo delle riforme e livello nazionale e europeo». Infine, l’ultima criticità messa in rilievo dall’analisi è la possibilità che si producano «tensioni sul finanziamento degli investimenti, amplificando i rischi legati alle liquidità e le possibili ricadute per l’intero settore finanziario».

Dunque, la Bce sostanzialmente mette in evidenza tre punti: il rischio di un re-pricing di un mercato in bolla a causa sua e delle altre Banche centrali, la sostenibilità dei debiti pubblici, i quali sono continuati a crescere nelle economie più fragili e nonostante l’assenza di shock politici e la difficoltà di finanziamento degli investimenti, altra criticità creata ad hoc dalla Bce con la sua politica di tassi bassi. Mi spiego: chi è stato a permettere finora finanziamento a pioggia, senza che ci fosse un vincolo affinché quei soldi finissero nell’economia reale e negli investimenti o nella ricerca/sviluppo? La Bce, la quale a differenza della Bank of England non ha posto condizioni per l’impiego di una quota parte di quanto prestava alle banche, lo prestava e basta. 

Ora, poi, la questione è aggravata dal programma di acquisto di bond corporate: le aziende, invece di andare in banca con il cappello in mano, per finanziarsi emettono debito come se non ci fosse un domani, tanto la Bce compra tutto ciò che sia formalmente investment grade e con quel denaro non si ampliano le strutture o si migliorano i macchinari o si investe in ricerca, ma si mettono a posto i buchi di bilanci o si creano tesoretti in vista della fine della pacchia. Ora, al netto di una classe imprenditoriale di cialtroni, la Bce non dovrebbe vigilare, come da statuto? Troppo comodo avere come unico compito la garanzia della stabilità dei prezzi, perché quando si dà vita a operazioni monstre come il Qe è obbligo prima istituzionale che morale di controllare che non si compiano distorsioni sistemiche come quelle che ho appena elencato. Troppo comodo mettere in guardia ora da possibili variazione ribassiste nei prezzi degli assets, quando si è stati il motore immobile della bolla che ha portato le quotazioni a livelli da manicomio. Se so che non esiste rischio di mercato, perché la Bce si trasforma in acquirente di prima e ultima istanza, ovviamente l’azzardo morale prevale sul buonsenso e quindi ci si ritrova con bond iscritti a bilancio su valutazioni ridicole rispetto ai sottostanti macro degli Stati o delle aziende che li emettono. Lo stesso vale per i titoli azionari, gonfiati da politiche di buybacks unicamente improntate al mantenimento delle valutazioni per poter continuare a staccare dividendi e bonus, fregandosene del concetto di price discovery e quindi della logica valutativa di iscrizione a bilancio in base al VaR (Value at Risk). 

Con il suo bel report semestrale, la Bce ha scoperto l’acqua calda: il problema è che quando una Banca centrale comincia a mettere le mani avanti è perché sa che ormai la frittata è fatta e il conto da pagare è dietro l’angolo. Lo stesso vale per le sofferenze bancarie: dobbiamo decidere se la Bce davvero è organo anche di controllo o serve soltanto per fissare il costo del denaro e mantenere in carreggiata l’inflazione. Perché che le banche di alcuni Paesi – Italia e Spagna in testa – abbiano dato vita negli anni a politiche di prestiti allegri, lo sapevano anche i sassi, quindi ora non si può fare gli ipocriti mentre si controlla il piano di ricapitalizzazione di Mps: o si interveniva prima, quando bastava essere amico dell’amico per vedersi concessi prestiti e fidi senza garanzie, oppure adesso si eviti di mettere i bastoni tra le ruote, arrivando di fatto ad eterodirigere le scelte dell’istituto attraverso pressioni sul governo. 

È ora di finirla con questa storiella: la Bce ha colpe enormi, perché in nome del salvataggio di quelle stesse banche cui poi chiede l’impossibile e del contenimento artificiale degli spread per i Paesi più indebitati, ha creato un mondo in cui nessuno conosce più il reale valore di un asset, tutto può valere 100 come 10 ma nessuno lo sa, perché non c’è più criterio valutativo: prima il mercato era fatto da soggetti che investivano rischiando del loro, quindi la price discovery era necessaria e fondamentale per sopravvivere, ora con la Bce onnivora nessuno si preoccupa di detenere un bond di un’azienda con rating a un passo da junk, tanto dà per scontato che l’Eurotower continuerà a comprare e nulla di brutto potrà accadere. 

Temo, invece, che con l’approssimarsi dell’aumento dei tassi Usa, qualcuno verrà a vedere il bluff della Bce. Tanto più che proprio ieri Bruxelles ha presentato un pacchetto di norme che aggiorna i requisiti di capitale per rafforzare la riduzione dei rischi, e ingloba i nuovi standard decisi a Basilea per le banche globalmente sistemiche: «I nuovi requisiti di capitale rifletteranno in modo più accurato i rischi reali per cui le banche sono esposte», scrive la Commissione Ue. Tra le principali novità, la fissazione di un livello minimo di capacità di assorbire le perdite (Tlac) per azzerare i rischi di un eventuale fallimento delle banche globalmente sistemiche e l’introduzione di un nuovo buffer di liquidità che obbligherà le banche a finanziare i loro prestiti di lungo termine con risorse stabili. Per migliorare la capacità delle banche di servire l’economia vengono ridotti gli oneri amministrativi nel campo della remunerazione per le più piccole e diventa permanente il sistema che prevede accantonamenti più bassi per le banche che concedono prestiti alle Pmi, conosciuto come “Sme supporting factor”. 

Tutte cose giuste, soprattutto quest’ultima, ma caricare di aspettative e tensione un comparto già in crisi, prima che sia risolto il nodo delle sofferenze e delle ricapitalizzazione, non rischia di trasformarsi in un boomerang? Così come per l’implementazione di Basilea 4, rischiamo di fare del male cercando di introdurre principi di bene. Il problema è che quando si continua a mentire sapendo di farlo, come si ostina a fare la Bce, è difficile affrontare la realtà con pragmatismo, tocca seguire la regola aurea di Alan Greenspan. Ovvero, quando la situazione si fa davvero seria, un banchiere centrale deve mentire. Abbiamo visto come è andata a finire nel 2007-2008 questa logica.